Editoriale

Editoriale. Cambia la creatività, cambia Cannes. Cambierà anche la comunicazione italiana?

I lavori più potenti che hanno vinto in questa 72esima edizione del Festival offrono soluzioni vere a veri problemi e cambiano il comportamento dei consumatori. Per l'Italia anche questo è stato un anno deludente. Senza la formula d’agenzia ideata da Bruno Bertelli, il nostro Paese a livello internazionale, di fatto, non esisterebbe. Mancano insight davvero potenti, che siano ancorati ai veri bisogni e che diano un contributo per migliorare la vita delle persone e, quindi, la società.

Mi sono preso un po’ di tempo prima di scrivere il mio personale bilancio sull’ultima edizione del Festival della Creatività di Cannes per fare sedimentare la grande quantità di stimoli ricevuti. Molto è stato già detto e scritto e anch’io voglio aggiungere qualche considerazione sull’evoluzione della creatività così come l’ho vista in questa 72esima edizione. Con una premessa in qualche modo ovvia ma non scontata: Cannes è la più grande vetrina mondiale della creatività, fa bene alle carriere dei creativi che vincono gli ambiti leoni, fa bene ai network o alle agenzie che partecipano e vincono, fa bene alla reputazione dei brand e dei paesi che si affermano sulla Croisette e, soprattutto, stabilisce nuovi benchmark per la comunicazione commerciale. Ho usato non a caso la parola comunicazione perché sempre di più le campagne vincono grazie a un approccio strategico che va oltre la creatività fine a sé stessa e mette in collegamento la forza e la risonanza valoriale dei brand con i destinatari dei messaggi grazie a insight potenti. Il tutto senza tralasciare la qualità dell’esecuzione e, soprattutto, l’impatto, il cambiamento che genera nelle abitudini dei consumatori e nella società.

La campagna Axa, vincitrice di ben tre Grand Prix (Titanium, Direct e Creative Business Transformation) e 7 leoni ideata da Publicis Conseil di Parigi alla cui guida troviamo il nostro Marco Venturelli (vedi intervista) ne è l’emblema.

L’insight, potentissimo, risiede nell’aggiungere tre semplici parole nel contratto assicurativo sulla casa: oltre a incidenti, furti e incendi, l’assicurazione copre anche i danni e “le violenze domestiche”. Una svolta epocale che cambia la vita a tantissime donne che, in questo modo vengono assistite economicamente e tutelate in una nuova dimora, in una situazione sicura.

E poi la campagna Lucky Yatra (Grand Prix PR) per le Ferrovie Indiane dove circa il 40% dei passeggeri non pagava il biglietto.

La soluzione è a dire poco geniale, abbinare il codice di ciascun biglietto a una lotteria istantanea, boom di ticket acquistati.

Altro esempio, la campagna The Amazon Greenventory (Grand Prix nel Sustainable Development Goals) che ha smentito l’idea che il profitto in Amazzonia debba passare per la distruzione. Invece, grazie a tecnologie avanzate, intelligenza artificiale e droni, il brand della cosmesi Natura ha mappato 400 chilometri quadrati di foresta Amazzonica, un vero e proprio censimento arboreo che ha avuto un impatto potente sulle comunità locali, migliorandone le tecniche di raccolta e incrementandone il reddito.

 

Chiudo questa breve carrellata, che potrebbe annoverare numerosi altri esempi, con la campagna ‘Caption with intention’ (Grand Prix Design Lions; Brand Experience & Activation Lions)  promosso dalla Academy Of Motion Picture Arts & Sciences (gli Oscar) con un’idea che trasforma radicalmente l’esperienza di fruizione del video per il pubblico non udente dove i sottotitoli sono in sincronia perfetta con le parole pronunciate e i caratteri sono animati, colorati e cambiano dimensioni e font a seconda delle emozioni, del tono e dal ritmo usati dagli attori.

Cos’hanno in comune queste quattro campagne? Un insight potentissimo e, come, ha efficacemente dichiarato Tom Beckman, Global Chief Creative Officer Weber Shandwick Global e presidente della Giuria PR, i lavori più potenti offrono soluzioni vere a veri problemi. Quindi, lo scopo della creatività non è vincere leoni, come ha ben sottolineato uno degli ultimi grandi maestri della pubblicità, Sir John Hegarty, ma avere un impatto, cambiare il comportamento dei consumatori.

E adesso veniamo all’Italia. La verità è evidente: anche questo è stato un anno deludente. Eppure le premesse non erano proprio pessime: delle 437 entries 78 campagne hanno conquistato la short list, pari al 17,8% (dove la media mondiale si aggira poco al di sopra del 10%) ma i leoni sono stati 22 di cui 21 conquistati da Le Pub (vedi news) e uno da Landor. Un risultato comunque migliore rispetto al ’24 dove la percentuale dei lavori entrati in shortlist era del 13,4% sul totale di 440 campagne iscritte ma con un bottino di leoni qualitativamente più consistente: 7 ori, 11 argenti e 8 bronzi, sempre ottenuto in massima parte da Le Pub (20 su 26). Il problema è proprio questo, senza la formula d’agenzia ideata da Bruno Bertelli l’Italia a livello internazionale, di fatto, non esisterebbe.

Allora, come se ne esce, cosa manca all’advertising Made in Italy per compiere quel salto qualitativo che ci riporterebbe a competere alla pari delle altre economie più sviluppate del pianeta? Voglio rendere semplice una risposta che si scontra con problematiche molto complesse: mancano insight davvero potenti, che siano ancorati ai veri bisogni dei consumatori e che diano un contributo per migliorare la vita delle persone e, quindi, la società (“soluzioni vere a veri problemi”, cit.). Questo perché nel patto con le aziende latitano fiducia, visione e coraggio di assumersi dei rischi (se vi va, andate ad ascoltare l’intervista che ho fatto a Marco Venturelli e capirete come funzionano le cose all’estero). I motivi per i quali siamo arrivati a questo punto sono tanti, spesso detti e ridetti. A me non piace piangermi addosso o buttare la croce sulle spalle di nessuno. Quello che mi preme è andare avanti e, come giornalista che analizza questo settore da qualche decina d’anni, dare un contributo costruttivo al dibattito. Ad maiora semper!

Salvatore Sagone

Presidente ADC Group