Editoriale

Space Available Here. Una patente per i creativi?

Nella sua rubrica Pasquale Diaferia riflette su un'iniziativa pubblicitaria Nivea for men, che allo stadio di San Siro prima di Milan-Carpi ha messo in scena una finta Haka interpretata da figuranti nei panni dei giocatori del Milan, scimmiottando quella interpretata dagli All Black prima di ogni gara di rugby. "Non discuto l’idea, non amo criticare le campagne dei colleghi, preferisco di solito sottolineare i successi e le buone idee. Ma in questo caso l’attività social della marca ha prodotto un clamoroso autogol. Ripresa da grandi quotidiani europei, ma soprattutto da quelli neozelandesi e australiani (leggi il daily telegraph qui) la performance è stata ridicolizzata, e addirittura definita con un colorito neologismo: “Social Suicide”".
 
Diciamola tutta: stavolta, l’agenzia che ha organizzato l’attività social per Nivea allo stadio di San Siro prima di Milan-Carpi l’ha fatta proprio grossa.

clicca per ingrandireProbabilmente volevano usare la scenografia naturale dello stadio pieno di gente per realizzare un bel video virale, usando una tecnica già sperimentata, per esempio da Heineken all’Olimpico di Roma, in occasione del ritorno di Real-Roma. O da Emirates allo stadio da Luz di Lisbona. Dove una serie di belle hostess hanno finto di mettere in scena delle finte misure di sicurezza di un aereo, coinvolgendo in una divertente kermesse i quasi 100mila tifosi dello stadio che vide giocare il grande Eusebio.

Qui invece, è stata messa in scena una finta Haka dei giocatori del Milan. Figuranti, ovviamente, che hanno provato a muovere le mani sul viso cercando di unire i gesti di cura della pelle del prodotto for man della marca di Beiersdorf, con le gestualità ed il sonoro della famosa Haka, con la quale gli All Black terrorizzano gli avversari prima di ogni gara di rugby.

Non discuto l’idea, non amo criticare le campagne dei colleghi, preferisco di solito sottolineare i successi e le buone idee. Ma in questo caso l’attività social della marca ha prodotto un clamoroso autogol. Ripresa da grandi quotidiani europei, ma soprattutto da quelli neozelandesi e australiani (leggi il daily telegraph qui) la performance è stata ridicolizzata, e addirittura definita con un colorito neologismo: “Social Suicide”.

Ripeto, nessuna valutazione personale. Facciamo un mestiere dove, a differenza dei medici che i loro errori li seppelliscono al cimitero, noi li mettiamo in piazza: in tv, sui muri o, come in questo caso, sui social network.

Che l’iniziativa sia stata abortita lo conferma l’imbarazzo di entrambi i player: quello che un tempo era il glorioso club calcistico rossonero, come la poderosa multinazionale tedesca. Il video è stato ritirato, l’attività sui social interrotta, i commenti fatti sparire, dove possibile. Se la risolveranno agenzia e cliente, la questione.

Ma quello che resta, scolpito nella roccia, è la brutta figura quasi globale del nostro paese di creativi. Ripresa da tutte le testate on line, l’indignazione, senza nessuna reazione sensata degli autori, ha portato nefasta pubblicità alla nostra categoria. Immagino l’imbarazzo, al prossimo Festival di Cannes, per i giurati italiani quando qualche neozelandese, piuttosto che il solito ironico inglese, citeranno il social suicide dell’Haka all’italiana.

Ma il vero, grande problema sarà il nostro mercato interno. Impossibile comprendere come sterilizzare questo effetto sul nostro palcoscenico, sempre combattuto tra la grande timidezza dei clienti ed i disperati tentativi dei creativi che vogliono provare a cogliere le opportunità che il digitale offre anche a sistemi mediatici ormai un po’ periferici come il nostro, almeno dal punto di vista della creatività.

Sara difficile riuscire a farsi approvare dai clienti attività aggressive, o dove si cercherà di usare linguaggi contemporanei. Sento già il nuovo mantra del solito, prudente, direttore marketing: “Mi raccomando, non finiamo nella Nivea…”

Mi permetto semplicemente di lanciare una piccola provocazione, per evitare che un secondo social suicide ci metta definitivamente nei paesi di terza fascia in rapporto con i resto del mondo: che gli amministratori delegati della agenzie, smettano di assecondare la tendenza a far fare carriera a creativi molto impiegatizi e capaci di dire solo si. Che le scuole spieghino ai loro allievi paganti che questo è un mestiere in cui non si deve cercare il suicidio dell’idea per l’idea, ma l’idea che funziona, che produce valore di marca. Che i clienti comprendano che è solo la reputazione ed il talento dei creativi la garanzia di buona riuscita di un progetto di comunicazione. Non la voglia di scopiazzare una tecnica, o il desiderio di “fare anche noi come hanno fatto quelli lì, in quell’altro paese.”

Non chiediamo, come aveva fatto Popper qualche decennio fa per la televisione, una patente per i comunicatori. Ma che almeno siano i creativi a cercare di tenere alta la bandiera di quello che resta uno dei mestieri più belli del mondo. Evitando i suicidi di massa.

Grazie di cuore.

Pasquale Diaferia @pipiccola