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Cannes Lions 2019. Italia in crisi di creatività. Giovanni Porro (Havas Milan): “I brand puntano a vendere più che a prendere posizione e stabilire un rapporto con i consumatori. I dati non mi spaventano e l’AI apre scenari nuovi anche per la creatività"

Giurato nella sessione Film, creativo di lungo corso, vincitore di una decina di leoni al Festival della Creatività di Cannes tra i quali 'The Sculptor - Peugeot 206', il celeberrimo oro conquistato nel 2002, l’executive creative director di Havas Milan spiega perché l’Italia vince poco a Cannes e spiega cosa serve. Quanto alla tecnologia l’AI potrebbe fare il lavoro di ‘mestiere’ dei creativi. Per il genio serve ancora l’uomo, ma in futuro chissà.

(Cannes. Dal nostro inviato Salvatore Sagone). Giurato nella sessione Tv e Cinema, creativo di lungo corso, vincitore di una decina di leoni al Festival della Creatività di Cannes tra i quali 'The Sculptor - Peugeot 206', il celeberrimo oro conquistato nel 2002 per il quale è passato alla storia, incontriamo Giovanni Porro all’Havas Café poco dopo l’intervento di Yannick Bollorè, Chairman & CEO di Havas Group e Chairman di Vivendi (vedi news). Proprio il figlio del più noto Vincent aveva appena presentato i risultati di una interessante ricerca secondo la quale i consumatori attribuiscono sempre maggiore importanza alle marche che danno un valore aggiunto alla propria persona e, aspetto ancora più interessante, alla collettività.

Da questa considerazione parte la nostra intervista all'executive creative director di Havas Milan che ci porterà lontano in un futuro che già si può immaginare, ma che potrebbe riservare colpi di scena inattesi. Abbiamo infatti parlato di creatività che vince a Cannes e che convince i consumatori, di dati, di intelligenza artificiale. Anticipiamo la conclusione di questa intervista. “Il nostro lavoro, per più della metà, è fatto di mestiere – afferma Porro - . E questo lavoro potrebbe essere fatto benissimo dalle macchine. Il genio al momento le macchine non lo possono creare, in futuro chissà…”. Affermazioni forti, che certamente faranno sobbalzare sulla sedia più di un creativo, ma che sono pronunciate da uno che di creatività ne ha macinata tanta e ha atteggiamento ‘laico’ e curioso.

Iniziamo. Come ti spieghi il disastro dell’Italia che quest’anno, se non fosse stato per i bellissimi leoni vinti da Publicis Italy (vedi video intervista a Bertelli), sarebbe addirittura sparita dal Palmares?

In generale lasciami dire il livello medio delle campagne è decisamente sotto tono a parte casi come la campagna multisoggetto di Droga 5 per il New York Time (guarda il video), vincitrice del Grand Prix Film Craft e Nike 'Dream Crazy' (guarda il video), che ha vinto due Grand Prix, in Outdoor e in Entertainment for Sport. Tornando all’Italia il disastro non mi sorprende più di tanto. Il nostro è un mercato involuto, la crisi ha creato apprensione e prudenza da parte dei clienti. Un atteggiamento che ha condizionato le agenzie abbassando l’asticella qualitativa della comunicazione. Insomma, in Italia ci sono espressioni di un buon mestiere ma non si va oltre.

Forse una chiave di lettura l’ha data la ricerca presentata da Yannick Bollorè secondo la quale i consumatori si aspettano che le marche siano coinvolte nel processo di miglioramento personale e collettivo. Che ne pensi?

Il problema è esattamente questo. In Italia la comunicazione dei brand punta a vendere qualcosa più che a stabilire un rapporto col consumatore. Un rapporto dove le marche prendono posizione, dichiarano cosa pensano del mondo e quale contributo intendono dare per migliorarlo. Questo approccio a Cannes viene tenuto in altissima considerazione.

Vuol dire che le giurie del Festival, composte dai creativi, interpretano bene le istanze dei consumatori.
Certamente. E’ sempre più necessario che le marche diano un segnale di complicità nei confronti dei consumatori. A questo proposito voglio citare la campagna di Publicis Diesel, ‘Be a follower’ (guarda il video) premiata con un leone d’oro nella categoria social, che prende una posizione anche a costo di non incontrare il favore di tutti.

Quindi esiste una ricetta per vincere a Cannes…

Diciamo che a Cannes hai tre opzioni: puoi fare roba figa col valore aggiunto di cui abbiamo appena parlato; puoi altrimenti prendere una posizione molto chiara, come ha fatto Diesel; oppure fare ridere come solitamente riesce a fare Heineken. Il problema è che in Italia di produzioni importanti non ne facciamo più e facciamo ridere, quando ci riusciamo, in un modo nostro, all’italiana, che al di fuori dei nostri confini non viene apprezzato.

Prima c’erano le campagne di prodotto da un lato e quelle sociali dall’altro. Possiamo quindi dire che oggi assistiamo a una convergenza di questi due approcci?

Senza dubbio. Oggi valori come il cambiamento climatico, l’impatto che i prodotti hanno sull’ambiente, la sostenibilità, eccetera, sono valori che significano sopravvivenza. E i consumatori, soprattutto i giovani, i millennials, vogliono, pretendono che i marchi dichiarino il proprio purpose. E questo, sia chiaro, riguarda tutte le tipologie di prodotto e beni di consumo, dalle merendine alle auto.

Cambiamo argomento e parliamo di tecnologia, creatività, dati e intelligenza artificiale. Qual è il suo pensiero in merito al presente e al futuro del mestiere di creativo?

Argomento interessante. Iniziamo col dire che i dati, attraverso le ricerche, noi creativi li abbiamo sempre utilizzati e continueremo a utilizzarli. In ogni caso il dato va riempito di contenuti. Ci porta a pochi centimetri dal consumatore ma dobbiamo poi convincerlo ad acquistare il nostro prodotto o servizio. Quindi i dati rappresentano una grande opportunità per noi creativi e, anche in questo senso, comprendo la scelta di David Droga di unirsi ad Accenture. E poi permettimi di dire una cosa.

Prego…

La tecnologia in qualsiasi forma si esprima, dati compresi, è essa stessa una forma di creatività assoluta. Oggi gli artisti sono gli scienziati che riescono a realizzare cose fino a poco tempo fa soltanto immaginabili.

E cosa pensa dell’intelligenza artificiale?

Apre le porte a una dimensione fantastica. E’ il mito di Frankenstein che diventa realtà, è il sogno dell’uomo.

Non teme che prima o poi possa addirittura sostituire il mestiere dei creativi inventando le storie da proporre ai consumatori?

Non mi sentirei di escludere questa possibilità. In fondo, in passato è già successo con gli scacchi dove i computer, programmati comunque dall’uomo, sono riusciti a creare un programma capace di battere i migliori scacchisti del mondo proprio immagazzinando i dati delle partite giocate dai migliori interpreti di questo gioco. Nel nostro settore qualcosa di simile era stato fatto circa 10 anni da un’agenzia, di cui preferisco non fare il nome, che aveva ideato dei template strategici e di esecuzione che permettevano di realizzare approcci pubblicitari simili a quelli che hanno vinto a Cannes. Quindi, teoricamente, l’intelligenza artificiale potrebbe combinare i modelli esistenti o realizzati nel passato per proporre nuove soluzioni.

Cosa verrebbe fuori, dunque, da tutto questo?

Ne verrebbe fuori un creativo di medio livello che potrebbe rispondere alla maggior parte delle campagne di mestiere che ci chiedono le aziende. Ma per generare qualcosa di veramente originale e geniale devi usare le informazioni conosciute e ricombinarle per creare connessioni nuove. Al momento questo lavoro lo sanno fare soltanto gli esseri umani. Domani chissà.

Ti rendi conto che le tue dichiarazioni faranno scalpore tra i tuoi colleghi?

Non credo. Penso che chi si sente minacciato dall’intelligenza artificiale considera se stesso poco intelligente. In futuro i creativi potrebbero diventare i migliori programmatori per generare la migliore intelligenza creativa. E, in ogni caso, ci sarà sempre qualcuno che analizzerà e selezionerà le proposte da portare ai clienti. Vorrei comunque tranquillizzare tutti, rispetto alla creatività al momento noi umani siamo più avanti e veloci rispetto alle macchine.