Media
La produzione dei contenuti tv: alla ricerca dei diritti d’autore
"In Italia l'industria dei media è davanti a un bivio: ci sono rischi e opportunità. Dobbiamo andare oltre i vecchi schemi, oltre Rai e Mediaset, e oltre Sky". Con queste parole il famoso giornalista americano e Chairman di FBC Group Alan Friedman ha introdotto i lavori del Quarto Summit sull'Industria della Comunicazione in Italia, promosso dall'Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli , che si è tenuto oggi, 14 dicembre, al Tempio di Adriano a Roma. Il tema centrale è stato quello della produzione dei contenuti audiovisivi dei media italiani, che coinvolgono molti nodi da sciogliere nei prossimi anni: dalle opportunità date alle produzioni indipendenti dai broadcaster, i network che poi diffonderanno i vari programmi, al riconoscimento dei diritti d'autore su di essi, dalle nuove piattaforme tecnologiche che avranno bisogno di questi contenuti, alle nuove forme di comunicazione del Branded Content e del Product Placement.
Proprio sui diritti d'autore si è soffermato Riccardo Viale, Presidente della Fondazione Rossetti, nel discorso di apertura dei lavori, ricordando "l'importanza dell'economia della conoscenza e la difficoltà nel tutelare la proprietà intellettuale". È toccato poi a Flavia Barca, docente di Economia e gestione delle imprese di comunicazione presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Teramo e Coordinatrice IEM – Fondazione Rosselli, illustrare i risultati del Nono Rapporto IEM, dedicato al mercato della produzione televisiva in Italia. Quella della produzione televisiva è un'industria importante ma frammentata: le società attive in questo campo tra il 2002 e il 2004 sono state 505, il fatturato complessivo nel 2004 è stato di 1065 milioni di fatturato; l'industria è in crescita (+ 19,4% nel 2004 rispetto al 2003). Si tratta però di un'industria accentrata, soprattutto a Roma e Milano, dove operano il 66% delle imprese: il 47,4% del fatturato viene da Roma, il 18,4 da Milano. C'è una discreta attività in regioni come Emilia Romagna, Piemonte e Toscana, mentre il Sud è in ritardo. L'11% del settore è coperto da 2 grandi imprese, il 54% dalle medie imprese (sono 25), il 24% dalle piccole (56) e il restante 11% da 340 micro-imprese. Le medie e grandi imprese (27 società), che rappresentano il 6,5% del totale, coprono il 65% del fatturato in Italia.
Tra le società di produzione italiane è forte la tendenza alla specializzazione: si producono documentari (35,6%), fiction (19,4%), intrattenimento (8,7%), cartoon (6,1%) e news (1%), ma il grosso del fatturato è costituito dai produttori di fiction (33,5%) e intrattenimento (25,7%): quest'ultimo è appannaggio delle grandi società. La quasi totalità delle produzioni avviene su commessa, è cioè totalmente finanziata dai broadcaster, mentre solo nei rari casi di fiction tradizionali si ricorre alla co-produzione, e all'investimento partecipa anche il produttore. La produzione su commessa è sì un elemento di sicurezza, ma anche un disincentivo alla crescita dei produttori e all'innovazione: la poca disponibilità finanziaria riduce gli investimenti in ricerca e sviluppo. Un grosso problema è la gestione dei diritti: i broadcaster, essendo finanziatori esclusivi, trattengono in perpetuo i diritti sui programmi, e questo è un ulteriore disincentivo allo sviluppo dei produttori. Quello che emerge dal rapporto è come in Italia manchi una chiara politica industriale sul tema: negli altri paesi, come nel Regno Unito, più volte indicato nel corso dei lavori come il modello ideale da seguire, sono state adottate politiche specifiche per aiutare il settore, stimolando i produttori a crescere, rischiare e intervenire. In Italia, infine, c'è ancora poca attenzione verso i nuovi media: il risultato è che all'ampliamento dei canali di distribuzione non corrisponde un arricchimento dell'offerta dei contenuti.
L'Inghilterra è vista come ideale "Eden" per la produzione: "ora una casa di produzione indipendente può ottenere l'85% dei diritti d'autore su una propria produzione, mentre prima questi erano totalmente nelle mani del broadcaster", ha ricordato Laura Aria , Direttore Contenuti Audiovisivi e Multimediali dell'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, nel suo intervento. È chiaro come la proprietà dei diritti d'autore costituisca un incentivo enorme verso la produzione indipendente. Peter Bazalgette , C.E.O. di Endemol International, creatrice di programmi come Grande Fratello e Affari Tuoi, ha insistito su questo concetto: "Perché produzione indipendente? La competizione porta all'innovazione e all'efficienza, bisogna rischiare negli investimenti e arrivare alla proprietà intellettuale per i produttori". Bazalgette ha continuato nell'elogio del Regno Unito come terra promessa per la produzione: "è secondo solo agli Stati Uniti nelle esportazioni dei programmi. Il 60% dei vincitori dei BAFTA (premi televisivi britannici) sono indipendenti; negli U.S.A. addirittura i vincitori dei premi Emmy sono stati tutti indipendenti tranne uno. In Inghilterra i produttori indipendenti possono ottenere i diritti dei loro spettacoli, così tra il 2001 e il 2005 i ricavi sono cresciuti del 68% e le vendite all'estero del 142%!".
La seconda parte della mattinata è stata dedicata alla tavola rotonda "La produzione indipendente in Italia". Giorgio Gori, Presidente e A.D. di Endemol Italia, ha ricordato come "il mercato televisivo non può essere ridotto al Broadcasting. La crescita è stata più grande dove è stato dato spazio ai produttori indipendenti. Questo non significa svilire i broadcaster, che però ora sono soprattutto aggregatori di contenuti". "Non sono contrario a una liberalizzazione dei diritti" ha detto Alessandro Salem, Direttore Generale Contenuti RTI Mediaset, "ma bisogna capire da dove vengono i finanziamenti, visto che nel Regno Unito il sistema è diverso. L'interesse con il produttore è comune: il broadcaster contribuisce al successo di alcuni brand, quindi ci potrebbe essere una compartecipazione di diritti". "Il sistema è andato in sofferenza perché è mancata la concorrenza in questi anni" ha affermato Antonio Campo Dall'Orto, D.G. Television Telecom Italia Media (La7 e MTV). "Nel momento in cui si abbatteranno le barriere del territorio, probabilmente il sistema non sarà in grado di esportare, perché non si è creata una professionalità sufficiente" ha concluso.
Una delle ragioni della scarsa competitività dei contenuti italiani è stata individuata da Andrea Olcese, C.E.O. di Einstein Multimedia: "Da noi c'è un prime time lunghissimo, una seconda serata che non esiste. All'estero si susseguono 10-12 programmi della durata di mezz'ora, c'è una rotazione fortissima di programmi, mentre da noi ci sono format che durano da 20 anni: così c'è poco spazio per la sperimentazione". A proposito, aggiunge Gori: "Nove volte su dieci quando portiamo i progetti ai direttori di rete, scelgono prodotti esteri già collaudati. C'è un po' di provincialismo: Antonio Ricci dice che per vendere un prodotto bisogna dire che viene dall'Olanda!". "La posizione dei network in Italia è essenzialmente conservatrice, sia nella scelta del prodotto che in quella del palinsesto" concorda Carlo Marchitella, D.G. di Rai Cinema. "Quando ci innamoriamo di un prodotto lo proponiamo fino all'usura: questo è contrario al ricambio, non c'è bilanciamento nell'uso dei generi, ed è deleterio sia per il network che per il mercato."
Riccardo Tozzi, Presidente Sezione Produttori ANICA, ha parlato di cinema e contenuti: "I nuovi media hanno molto bisogno di cinema, ma non possono pagarlo adeguatamente. Quando potranno, non ne avranno bisogno perché avranno sviluppato nuovi contenuti". Ha anche ricordato come il Product Placement nei tre film di Natale in uscita domani costituisca il 15% del finanziamento dei film, un buon risultato. Ma il Product Placement non è ancora permesso in televisione. "Le lobby della carta stampata credono che questo tolga soldi agli investimenti in quel settore, cosa che non è vera" ha affermato polemico Marco Bassetti, Presidente di Endemol Italia. Si è parlato anche di Branded Content, programmi costruiti attorno a un brand, o veri e propri canali sponsorizzati. "Tutte cose che potrebbero aiutare i broadcaster a finanziare la produzione di contenuti", ha concluso Friedman.
La conclusione dei lavori della mattinata è stata affidata a Francesco Rutelli, Ministro per i Beni e le Attività Culturali: non a caso, visto che i numerosi appelli a una regolamentazione del settore hanno come interlocutore il governo. "Questa legislatura deve fare tesoro di queste richieste per le riforme tanto attese" ha affermato il Ministro. "Dobbiamo fare una legge sul cinema, sugli spettacoli dal vivo, e sulla tutela dei diritti d'autore. Mi piacerebbe che l'Italia importasse quello che vuole, ma che esportasse ancora di più. Il cinema è già cresciuto, vorrei che crescesse anche la tv". Rutelli ha concluso con un'illuminante frase di Benigni: "Il cinema è composto da due cose, lo schermo e le sedie: il problema è riempirle entrambe".