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VideoContent Centri Media e Concessionarie 2024/1. L’anno che verrà

Partendo dalle stime aggiornate da UNA per ADC Group, i rappresentanti delle realtà che quotidianamente ne determinano gli sviluppi hanno discusso di mercato e investimenti, e di come le diverse strutture si stanno adattando ed evolvendo. Ospiti in studio: Francesca Abete, Managing Partner di Havas Media Network, Federica Setti, portavoce del Media Hub di UNA oltre che Chief Research Officer di GroupM, Raffaele Pastore, Direttore Generale dell’UPA.

Obiettivo della tavola rotonda è stato disegnare una panoramica a 360 gradi di uno scenario mediatico in costante evoluzione, sempre più caratterizzato da digital e social, ma anche da nuovi mezzi e nuove misurazioni, il riferimento specifico è al tema dell’ attention. In due parole oggetto della discussione è stata la ‘Media Innovation’, prendendo spunto dei numeri per approfondire come sono cambiate le esigenze delle aziende e come si è evoluta la loro domanda nei confronti delle agenzie; e viceversa, quali sono le risposte che le agenzie stanno dando ai clienti e quali i punti di forza della loro offerta.

I driver del mercato
Il giro di microfono è iniziato con l’intervento di Federica Setti, portavoice del Media Hub UNA e Chief Rersearch Officer GroupM, che ha presentato i numeri più significativi del mercato proponendo un’update del lavoro svolto costantemente dal Media Hub di Una, un tavolo di lavoro dedicato agli investimenti pubblicitari che ormai si incontra non quotidianamente, ma molto spesso.

“Gli ultimi anni ci hanno insegnato che il mercato è estremamente volatile, fortunatamente in modo positivo – esordisce Setti –. Il nostro punto di vista sul 2024 e le prime stime che avevamo condiviso in occasione di ‘Comunicare Domani’ alla fine del 2023, sono state riviste significativamente perché il mercato è partito alla grande: nonostante un contesto sia geopolitico che economico di forte attenzione, il primo trimestre segna infatti delle performance estremamente positive”.

Quali sono i driver che oggi stanno caratterizzando questo trend di mercato?
“Il primo grande driver è quello degli eventi sportivi. Il 2024 è un anno pari e siamo tornati, diciamo così, alla normalità dei grandi eventi che si svolgono da giugno in poi con gli Europei di Calcio e le Olimpiadi. I primi sostanzialmente avranno il ruolo principale perché si giocherano in Germania, ma anche i Giochi quest’anno sono di nuovo in Europa e sicuramente attrarranno gli investitori pubblicitari grazie al fuso orario. Un secondo pillar riguarda il ritorno o la ripresa di alcune categorie mercelogiche che avevamo sempre visto trainare il mercato pubblicitario ma che dopo il periodo pandemico erano un po’ cambiate: abbiamo visto il ritorno in modo importante dell’Automotive già dalla fine dell’anno scorso, anche se il suo media mix è un po’ cambiato, la stabilità e il consolidamento del Largo Consumo e di tutte le sue principali sotto-categorie, per arrivare al Media & Entertainment. A questo proposito, il 2024 sarà l’anno degli streamer: l’ingresso sul mercato di Prime e della sua offerta pubblicitaria così come il lancio di Disney+ potranno caratterizzare significativamente il panorama”.

Alla luce di questi driver, quali sono le proiezioni di UNA per il risultato finale di quest’anno?
“Per rispondere partirei dal passato, perché il 2023 ha mostrato un andamento particolarmente vigoroso secondo le nostre stime, che ricordo sono ‘net net’ e riguardano tutto il mercato, anche quello non rilevato dagli organi ufficiali includendo quindi gli OTT, la coda lunga e così via. Il mercato ha chiuso a +4%, grazie anche a un finale dell’anno che è andato molto bene grazie alla spinta non solo del digitale ma della televisione. Per quest’anno prevediamo una performance di nuovo estremamente positiva attorno al +4,2%, quindi vediamo un mercato florido, o come direbbe Raffaele Pastore anticiclico rispetto alla situazione e al contesto”.

“Questo +4,2% è sostanzialmente fatto da due macro-mezzi, televisione e digital, che ormai rappresentano oltre l’80-85% della raccolta pubblicitaria complessiva. È importante sottolineare, poi lo vedremo più in dettaglio, che i 3,9 miliardi di euro della Tv vanno letti come somma di di Tv lineare e Advanced Tv. I motivi di questa forte crescita della televisione sono quelli che ho citato precedentemente, oltre a un primo trimestre andato molto bene per tutto il mezzo. Il digitale continua ad avere una spinta positiva, anche se forse, rispetto a quanto abbiamo visto negli anni passati, è oggi un po’ più calmierato”.

Se da un lato il 2024 del digital è partito un po’ più lentamente, dall’altro, prosegue Setti, va chiarito anche che il lavoro del Media Hub sui dati sta andando verso la ricongiunzione delle extension digitali con i mezzi di appartenenza: per questo motivo, voci che in passato erano spesso inserite nel calderone ‘digitale’, come tutto il mondo dell’Advanced Tv, oggi è fatto rientrare nel comparto televisivo.
Per quanto riguarda gli altri mezzi, Setti sottolinea la sorprendente performance della radio negli ultimi due anni, con una previsione del +3,7% per il 2024 e quindi in ulteriore crescita su un anno già ampiamente positivo.

Anche l’Out Of Home sta vivendo un momento di grande spolvero grazie alla sua crescente dimensione digitale e al programmatic, che hanno permesso al comparto di riallinearsi al periodo pre-pandemico. Idem per il Cinema, che benché piccolo in termini di volumi, ha sicuramente beneficiato di titoli importanti ed è riuscito a contrastare la fortissima concorrenza degli OTT.

Linear e Advanced: una nuova lettura della Tv
Ribadito il ‘segnale forte’ della crescita complessiva degli investimenti che nel 2023 ammontavano a oltre un miliardo di euro in più rispetto al dato del 2019, Federica Setti ha dedicato un focus particolare alla lettura delle componenti dello scenario televisivo.

“Da circa un anno abbiamo cominciato a mettere sul mercato una fotografia nuova della televisione, cercando di definirne meglio caratteristiche e peculiarità. Oggi crediamo sia importante parlare di Tv lineare e di Advanced Tv, due settori caratterizzati da numeri diversi ma per i quali interessante è vedere dove e come si stanno inidirizzando gli investimenti pubblicitari dei clienti. La televisione lineare nel nostro perimetro raggruppa anche tutto il mondo del calcio all’interno delle piattaforme Dazn e Prime perché dal punto di vista del consumatore la sua fruizione è assolutamente similare a quella lineare così come l’offerta pubblicitaria.

Stimiamo quindi una televisione in generale al +3%, ma questo più 3% varrebbe anche per la sola televisione lineare escluso il calcio grazie, come detto all’inizio, agli eventi e alle categorie merceologiche di cui abbiamo già parlato”.
Entrando nei dettagli riguardanti l’Advanced Tv, secondo le stime di Una la raccolta arriverà nel 2024 a raggiungere i 491 milioni di euro: “Al suo interno, il grosso è appannaggio di tutta la componente Addressable On Demand dei broadcaster – come RaiPlay e Mediaset Infinity –, attraverso il primo e il secondo schermo. Poi ci sono gli streamer, all’interno dei quali è stimato anche l’ingresso dei nuovi player, quindi sia Prime che Disney Plus. Terza componente l’offerta delle piattaforme digital via Connected TV, in cui come è facile immaginare il grosso lo fa YouTube. I quasi 500 milioni di euro che stiamo proiettando rappresentano una crescita del +28,9% sul 2023: parliamo di circa 110 milioni in più che indicano come il ‘mondo nuovo’ della Tv stia davvero catturando l’attenzione degli investitori pubblicitari, grandi o piccoli che siano. È evidente che si tratta di un canale che va assolutamente preso in considerazione”.

Argomento ancor più valido se si tiene conto che ormai le Smart TV in Italia hanno raggiunto una penetrazione altissima delle famiglie, e quelle effettivamente connesse sono circa 18 milioni.

“Ricapitolando, nonostante una televisione lineare forte che quest’anno drenerà risorse per gli eventi, l’Advanced Tv è destinata a crescere del +28,9%, mentre la sua quota sull’offerta televisiva totale pesa ormai per il 12,5% (2,2 punti in più rispetto al 2023). Se poi si pensa che ormai un investimento pubblicitario su due è destinato al video, in tutte le sue componenti, in termini di ‘total video’ (Tv + Video On Line), la sola Advanced TV pesa quasi il 10%”.

È chiaro, ha concluso Federica Setti, che si sta proiettando un panorama sicuramente fatto di stime, di numeri non certificati da una terza parte: “Quel che ci preme è raccontare un mondo che sta cambiando, e per farlo abbiamo dovuto necessariamente allargare lo sguardo. Lo possiamo fare attraverso un monitoraggio davvero costante e per il quale vanno ringraziate le competenze di ogni singolo centro media che fa parte di UNA”.

Aziende: sentiment positivo
Al momento della registrazione della tavola rotonda, i dati numerici frutto della consueta survey primaverile condotta da UPA fra le proprie associate non erano disponibili, ma il Direttore Generale dell’associazione, Raffaele Pastore, ha confermato ai nostri microfoni come il sentiment diffuso fra le aziende investitrici fosse comunque positivo. Già dal 2020, ha raccontato Pastore, la rilevazione è stata spostata più avanti nel corso dell’anno per consentire alle aziende la maggior cautela necessaria a stimare i propri budget. “Ricordiamoci che in quell’annus horribilis siamo passati in modo esplosivo dal -4% di gennaio al +13% di dicembre, e questo ha portato alla crescita del 2021/2022, confermatasi nel 2023 – ha ribadito –. E anche nel 2024 la partenza dell’anno è stata sicuramente positiva con un +2/3%. Il tutto sarà ricordato come una di quelle fasi anticicliche della pubblicità, in cui nonostante un’economia abbastanza stagnante e i consumi in contrazione, ma per fortuna un’inflazione in arretramento e un’occupazione crescente, è passata non solo come messaggio culturale ma come cosa vera e operativa l’idea di investire, investire e investire in comunicazione soprattutto nei periodi in cui sembra più complicato. Questo è ciò che è avvenuto a partire dal 2020 e in tutti questi anni, perché si è compreso che il mantenimento del valore della marca passa attraverso una comunicazione incessante”.

Anche se forse meno rappresentate in seno a UPA, qual è stato e qual è secondo Pastore
l’atteggiamento delle piccole e medie imprese?

“Noi ne rappresentiamo una piccola parte e ovviamente ci piacerebbe rappresentarne una parte ancora più ampia – è stata la risposta –, ma le piccole medie imprese sono sicuramente più caute da punto di vista degli investimenti: bisogna dire però che nel nuovo ecosistema di canali e mezzi digitali la soglia di accesso si abbassa, e queste aziende stanno mostrando la volontà di investire anche se dal nostro punto di vista mantengono un profilo che comunque deve ancora arrivare a una piena maturità o consapevolezza della comunicazione non come costo ma come pianificazione strategica per lo sviluppo della propria marca. Però sono processi lunghi ma sicuramente impostati”.


Dal ‘media plan’ alla ‘media experience’
In questo ecosistema mediatico in costante evoluzione e trasformazione in cui digitale e analogico si compenetrano, dando nuove opportunità ma anche ponendo nuove sfide alle aziende che devono investire, come si sta adattando e modificando il modo di planificare da parte delle agenzie media?
I ‘nuovi’ ecosistemi, sostiene Francesca Abete, Managing Partner di Havas Media Network, sono presenti all’interno degli studi e delle analisi delle agenzie da tempo, in particolare da quando nel periodo Covid si è presa coscienza di questa importante e rilevante trasformazione.

“La Tv ha rivisto dei picchi di audience che non vedeva da tanto tempo e ci si è accorti delle sue potenzialità: gli investimenti e le audience, soprattutto sui grandi eventi, dimostrano che in realtà è un mezzo ancora molto importante nel mercato italiano, e specifico italiano perché nel panorama europeo siamo un po’ una particolarità. Allo stesso tempo, il periodo pandemico ha dotato le famiglie di una connessione stabile e quindi di strumenti che già erano nati e cresciuti ma che finalmente avevano delle audience più solide e consistenti sulle quali le agenzie hanno potuto elaborare una proposta, un’offerta effettiva. Pensiamo all’Addressable Tv, che non è nata nel 2023 ma si è evoluta negli anni, che non aveva ancora volumi abbastanza consistenti per poter fare proposte di lungo periodo: oggi, in realtà, permette di raggiungere quasi la metà delle famiglie italiane, e si stima che nel 2024 saranno più del 50%. Questo vuol dire che una campagna in Addressable ora porta dei risultati e permette di stimolare modi nuovi di pianificare la Tv lineare, quindi anche i piccoli investitori che non si avvicinavano al mezzo oggi possono ragionare nei termini di una pianificazione tattica, geolocalizzata, piuttosto che su target specifici”.

Ma non solo, ha proseguito Abete: “Con l’imminente ingresso nel contesto pubblicitario di Prime piuttosto che di Disney+, che rappresentano nuove offerte con una base solida di possibili e potenziali utenti, occorre ragionare all’interno di un’ecosistema ‘video’ più strutturato che non è solo televisione o Addressable, Prime piuttosto che Netflix: è tutto il mondo nuovo del video online, che a sua volta non è fatto soltanto da grandi editori o piattaforme video, ma è anche banalmente tutto il mondo social, in cui nell’ottica degli utenti l’attività video è sempre più rilevante e parte della loro costante fruizione”.

“Oggi è cambiato anche il nostro modo di vedere tutto questo, perché dobbiamo lavorare su questa complessità ragionando in un’ottica di insieme e di multicanalità, andando a studiare e ad analizzare anche gli scenari ‘verticali’: da più di un anno sviluppiamo analisi di scenario sul video e sull’audio, perché questo ci aiuta a creare una specializzazione con un’ottica più allargata. La gestione della complessità, inoltre, passa anche attraverso la formazione dei clienti stessi, rispondendo alla loro richiesta di capire e comprendere i nuovi strumenti, i nuovi canali, i nuovi KPI, le nuove metriche di misurazione. E insieme riusciamo anche a comprendere quelle che sono le esigenze più specifiche del cliente”.

Formazione, ma anche tool, aggiunge Abete, che chiarisce: “I tool di mercato non ci supportano e soprattutto non ci aiutano a districarci nella complessità. Per questo in Havas abbiamo sviluppato e miglioriamo di anno in anno degli strumenti che ci aiutano a ragionare sull’attenzione, sulla predisposizione all’ascolto, sulla fiducia che un mezzo, un canale o un
programma sviluppano per l’utente
, e questo ci aiuta a fare delle scelte. I clienti non hanno budget infiniti, non possono investire su tutto con la medesima rilevanza: questa conoscenza in termini di formazione, aggiornamento costante e misurazione ci aiuta quindi a essere più consistenti”.

A fronte di questo scenario trasformativo, come stanno cambiando le agenzie e come in particolare è cambiata Havas Media Network al proprio interno?
“Da diverso tempo non ragioniamo più per i nostri clienti in ottica di media plan, quindi solo in termini di efficienza del budget, ma ragioniamo in ottica di ‘media experience’. Questo significa tenere conto di dove sono le audience e di che tipo di rapporto hanno con i diversi mezzi, ma anche ragionare in un’ottica di efficacia del mezzo e di contesto della comunicazione, tenendo conto cioè del momento in cui le persone stanno fruendo di un determinato contenuto e del contenuto stesso.
Anche per i clienti è importante seguire l’intero processo di comunicazione e ragionare considerando la rilevanza del contenuto e il contesto all’interno del quale ci si sta muovendo: insomma, essere presenti all’interno del modello di fruzione del processo di flusso in maniera sinergica, per non comunicare in maniera distonica”.

Abete ha quindi illustrato come tutto ciò sia stato messo in pratica concretamente: “Ormai da un anno ci siamo ristrutturati a livello organizzativo e i nostri esperti e i nostri media manager lavorano di fatto sulle macroaree del video, dell’audio e del publishing, cioè tutte le attività display o statiche con le quali possiamo fare comunicazione. Questo non significa perdere la
specializzazione o la verticalità, e lavorare in questo modo ci permette innanzitutto di evitare
i disallineamenti”.

Pensiamo a una campagna pianificata nell’ecosistema video di cui parlavamo poco fa: lavorare sulla macro area video ci permette di avere un budget gestito in maniera sinergica per il cliente, di poter misurare i risultati ed eventualmente fare delle scelte non vincolate al budget destinato alla tv o al video online, ma adattabili alle mutevoli esigenze del cliente stesso: ormai il mercato anche per i clienti cambia continuamente e il nostro compito è riuscire a essere al passo, riuscire a seguirli ed essere loro consulenti per le strategie multichannel.

A questa che è sicuramente la parte più operativa e più pragmatica del lavoro delle agenzie, è però importante aggiungere un ragionamento in termini di audience: “Le audience oggi vogliono un contatto con i brand – spiega infatti Abete –. Comunicare solo in termini di paid media è riduttivo: i centri media, le agenzie di comunicazione, e i clienti stessi sentono l’esigenza di una relazione con l’utente e farlo vuol dire andare al di là della sola Tv e al di là anche dell’Advanced Tv e della capacità dei mezzi di ingaggiare gli utenti in termini di volumi. Occorrono infatti attività integrate nel piano media e all’interno del processo di comunicazione che possano lavorare sulla media experience, come dicevamo prima, anche a livello di contenuti: sicuramente la produzione di contenuti ad hoc crea ulteriore complessità, crea maggiori attività da tenere sotto controllo, ma risponde di più alle esigenze di contatto con il brand dei consumatori. Pensiamo banalmente alle creatività dinamiche del digitale e alla possibilità di dare ad ognuno il proprio contenuto che è sicuramente un elemento; ma lavo-rare anche su eventi e progettualità che possano in qualche modo ingaggiare l’utente e far sentire il brand vicino ai propri interessi è sicuramente la strada giusta”.


Un approccio ‘olistico’ alla media research
Se il mercato prosegue come abbiamo visto nel suo percorso di crescita, non bisogna dimenticare sul tavolo rimangono alcuni problemi di non facile soluzione: primo fra tutti quello delle misurazioni.
In virtù del suo ruolo di Chief Research Officer di GroupM, Federica Setti ha più volte sottolineato come da un lato siano sempre più numerosi e anche precisi gli strumenti che misurano verticalmente le singole discipline e mezzi, ma dall’altro la necessità di una visione ‘comune’ che ancora stenta a decollare.

“Recentemente – ha raccontato Setti – al Marketing Forum mi è stato domandato se ormai viviamo in un mondo ‘countable’: ho risposto che secondo me la parola ‘countable’ è oggi un po’ un ossimoro. È vero che contiamo tutto in modo estremamente preciso e granulare e che rendicontiamo ogni attività, ma lo facciamo in modo singolarmente frammentato: questa è la grande frustrazione in questo momento, perché spesso dobbiamo mettere insieme cose diverse che alla base hanno metodologie diverse e anche naming convention diverse”.

I JIC stanno facendo un lavoro grandioso verso la costruzione della Total Audience e di nuovi modelli di misurazione, sottolinea, ma “CIò su cui il mercato deve ancora lavorare è la definizione di un parametro di riferimento unico per la valutazione dei contatti, e questo lavoro abbiamo iniziato a farlo in UNA, e recentemente anche insieme a UPA e agli editori.
Per non rischiare di prendere strade diverse dobbiamo tutti fare sistema e farlo in fretta, altrimenti il rischio è di avere tutto misurato nella sua verticalità, ma non avere mai una vista comune, senza la quale diventa difficile dare risposte ai clienti. Come diceva Francesca, noi singole agenzie ci siamo attrezzate ad avere ognuna i suoi strumenti proprietari: ma sicuramente strumenti di terza parte, super partes, ci abilitano a essere estremamente più oggettivi”.

UPA è presente in tutti i JIC nonché promotrice dell’evoluzione e del costante miglioramento all’interno del sistema Audi. Quale l’opinione di Pastore sulla mancanza di una visione maggiormente olistica della media research?
“Nonostante la mia assidua frequentazione di JIC – interviene ironicamente Pastore –, sono rimasto in fondo una persona normale, almeno apparentemente! A parte le battute, mi sembra importante far notare alcune cose che sono emerse in maniera molto significativa oggi. Abbiamo visto il valore del mercato che tiene e che cresce, ma la cosa più interessante secondo me e anche secondo i colleghi di UNA, è il cambiamento della struttura interna del mercato: l’ibridazione dei mezzi cosiddetti tradizionali con il digitale non è una cosa neutra, non è una una fusione a freddo che produce dei mostri: produce invece molte più possibilità, molte cose diverse e cambia completamente la struttura stessa del mercato.

Oggi abbiamo visto anche che chi ragiona su questi aspetti arriva a capire che una visione ‘per mezzi’ non dico sia antiquata ma non è comunque l’unica con cui si può guardare al mercato: tant’è vero che da qualsiasi punto si comincia a ragionare si arriva più a parlare per veicoli che per mezzi, e veicoli vuol dire il veicolo del video, dell’audio, del publishing”. Pastore porta l’esempio del nuovo corso Auditel: “Finalmente su questo mercato ci sarà un’unica metodologia per misurare i video, in maniera nativa. Sembrerà poco, ma non lo è.
Chi è dentro a queste tematiche sa bene che essersi lasciati alle spalle il fatto che i video digitali televisivi venivano misurati in un modo e quelli digitali in un altro, per di più fra loro incomparabili, è un passo avanti grandioso”.

Ora il primo obiettivo, prosegue il DG UPA, è fare in modo che tutti i JIC, quelli esistenti e quelli che sono ancora da costruire – vedi la costutizione della ‘nuo-va’ Audiradio –, si uniformino innanzitutto alla stessa ricerca di base, quindi alla stessa raffigurazione della popolazione: “Questo consentirà a tutti i pianificatori di avere dei riferimenti comuni e quindi di guardare i target con le stesse proporzioni. Una misurazione standardizzata del video permette di costruire una uniformità di metriche di base indispensabili per poter poi costruire tutte le metriche accessorie o complesse che ci possano essere. In altre parole, quindi, la standardizzazione non è una limitazione: di fatto è avere una lingua comune e una sintassi che permette di parlare tutte le lingue che si vuole”.

Pastore racconta poi di un seminario interno UPA durenate il quale i parteci-panti hanno convenuto che oggi nella comunicazione pubblicitaria non c’è alcun limite di canali, non c’è alcun limite di ambiti, non c’è alcun limite tecnologico, non c’è alcun limite di creatività. Oggi, forse per la prima volta, è possibile qualsiasi cosa, dal mettere un QR code per strada a mettere la televisione nel giornale o i giornali nella televisione: “Rispetto a questo fatto che non ci sono limiti, che tutto è possibile, la mia domanda alle aziende che erano presenti è stata: comunicare è diventato più facile o più difficile? Mi ha sorpreso la risposta perché mi hanno detto che è più entusiasmante”.

A fronte dell’entusiasmo, però, è diffusa la convinzione che manchi una soluzione risolutiva capace di produrre una metrica cross-mediale in grado di valutare una ‘total campaign’. “Ognuno usa il suo accrocchio e il suo aggiusto, anche se magari fatto benissimo, per mettere insieme in maniera i dati di cui dispone. Manca però quella sintassi di cui dicevo prima: ecco quindi che l’obiettivo è cercare che dal 2024 in avanti si arrivi a un’unica sintassi  in grado di eliminare le soluzioni individuali per arrivare a uno standard condiviso da tutto il mercato e di cui si avvantageranno tutti.

Quale ruolo per l’IA?
In quali ambiti e con quali effetti potrà innestarsi, anche nel campo delle ricerche e della
misurazione, l’Intelligenza Artificiale?
“Credo ci siano tre livelli di misurazione di cui possiamo parlare in generale e in relazione all’intelligenza artificiale. Il primo è la base di qualunque approccio strategico: pensiamo alle possibilità che l’IA ci darà nell’avere analisi più approfondite dei consumatori, tali per cui invece di avere delle ‘personas’ o comunque dei target sviluppati da sistemi di correlazione di dati statici, potremo creare delle ‘customer personas’ sulla base di insight molto profondi, di un’analisi del consumer journey molto specifica, elaborando così elaborare più mirate e più precise rispetto a quanto facciamo oggi.

Del secondo livello parlerò dopo, collegandomi a quello che dicevano i colleghi, e vediamo invece il terzo step, che riguarda la fine del processo, quando al termine di una campagna o di determinate attività la domanda che i clienti ci pongono è: che impatto ha avuto questa campagna? Normalmente rispondiamo con modelli di misurazione e modelli econometrici,  sistemi complessi per integrare gli aspetti di business con gli aspetti di comunicazione. Ecco: con l’IA questi modelli saranno molto più precisi e i grandi player tech del mercato, penso ad Adobe e Google, ci stanno già lavorando. E avremo la possibilità di utilizzarli non più solo per verificare cosa è accaduto, ma anche in maniera predittiva per settare le campagne successive sulla base di analisi molto più puntuali. Quindi la parte alta della misurazione e la parte alla fine del processo saranno sicuramente intaccate dall’intelligenza artificiale”.

Per l’attività di mezzo, la parte ‘on going’ che segue la pianificazione, quello che oggi manca è il dato: senza un dato solido e consistente che possa fare da base all’analisi dell’intelligenza artificiale, è prematuro pensare di poterla utilizzare come base per lavorare le campagne dei clienti.

In Havas, e penso in tutti i centri media, si sta guardando all’intelligenza artificiale con una certa responsabilità. Noi siamo responsabili non solo del budget ma dei risultati delle attività dei clienti, e quindi prima di lanciarsi a prescindere in nuove opportunità è giusto che testiamo, valutiamo e comprendiamo, e poi agiamo soltanto in un secondo momento.
L’intelligenza artificiale è già qui ma sta nascendo adesso: la dobbiamo testare con intelligenza. Nella quotidianità, l’intelligenza artificiale sta subentrando a sollevare tutto ciò che è lavoro più manuale, ma questo rende ancora più rilevante la parte di analisi, di attenzione e di studio: oggi come oggi una raccolta di informazioni, una raccolta dati non dura più tre settimane ma magari un giorno o due”.
Il digitale è naturalmente il mezzo primario all’interno del quale l’intelligenza artificiale è già entrata, il machine learning è una realtà. “Pensiamo ai chatbot, ormai una realtà sia in termini di strumenti di digital marketing che in termini pubblicitari che in tutto il mondo si  stanno sviluppando: sono veri e sono reali e sono sempre più precisi, e tra un po’ risponderanno meglio dei nostri call center! Dal punto di vista prettamente media si tradurranno in una generazione di lead sempre più profilati che ci permetteranno di dare risultati di performance molto importanti. Poi c’è tutto il mondo del programmatic, pensiamo
ai CPM dinamici, la possibilità di modificare la pianificazione non solo in base all’andamento della campagna, come oggi avviene in maniera naturale, ma anche in base a tutti i sistemi di machine learning che supportano la campagna stessa”.

Tornando alla questione del dato ‘mancante’, Abete chiarisce che il riferimento è esattamente a quello che diceva Setti: “Quello che manca è il dato correlato. Per poter lavorare in ottica di Intelligenza Artificiale è necessario che tutti i dati che oggi esistono abbiano un sistema di correlazione gli uni con gli altri, un minimo comun denominatore di lettura o comunque un sistema che possa permettere di dare questi dati all’intelligenza artificiale cum grano salis. In questo momento sono tutte basi di dato diverse, metodologie differenti, alcune un po’ obsolete che con l’intelligenza artificiale poco si sposano. In conclusione, l’intelligenza artificiale è pronta: siamo noi con gli altri strumenti a non esserlo ancora”.

“Togliendo il cappello di UNA e indossando quello di GroupM – interviene Setti – posso fare un esempio concreto. In WPP abbiamo una piattaforma di intelligenza artificiale sviluppata a livello internazionale soprattutto per l’ambito creativo ma anche per l’ambito gestione dati.Nella mia squadra c’è un team dedicato alla ricerca sul consumatore, e abbiamo provato a dare in pancia a questa intelligenza artificiale la parte di ricerca con le classiche domande aperte: e l’IA ci ha aiutato molto a semplificare il lavoro. Il tema grosso è che si stanno investendo tantissimi soldi nello sviluppo di piattaforme digitali – la società di WPP che gestisce i dati a livello internazionale si chiama Choreograph e sta creando proprio una piattaforma –, dentro le quali inseriremo tantissimi dati. La macchina li mangia, li digerisce e ce li sputa fuori: a quel punto l’intelligenza umana sarà ancora centrale nel tirare fuori gli insight e nell’orchestrazione di tutte le diverse dinamiche che possono uscire da questi dati. Il punto è che siamo agli albori, ma mi aspetto che questo sarà un treno che è già partito e che presto sfreccerà velocissimo”.

“Anche Havas con CSA, la nostra area dedicata a tutti gli aspetti più di ‘science’ – concorda Abete – , stiamo sviluppando numerosi strumenti. Il tema oggi è che prima di renderli disponibili sul mercato li dobbiamo tutti testare, e i dati che in questo momento sono a disposizione come dati terzi possono funzio-nare per le attività interne di analisi e di studio, ma non sono ancora consistenti per essere utilizzati in maniera diretta”.

Nel corso dell’assemblea UPA dello scorso anno, al Teatro Strehler, l’intervento del professor Walter Quattrociocchi aveva gettato un po’ di acqua sul fuoco dell’entusiasmo nei confronti dell’intelligenza artificiale: qual è, se c’è, la posizione ufficiale di UPA in tema di IA?
“No, una posizione ufficiale di UPA non c’è perché in realtà tutte le aziende usano strumenti di intelligenza artificiale, a loro modo e nei loro ambiti: probabilmente nella comunicazione pubblicitaria diventerà uno dei tanti tool che ci sono. Se posso togliere anch’io il cappello di UPA e lasciare solo quello di Raffaele Pastore, consiglierei di seguire le indicazioni di Quattrociocchi perché in una nuova recente intervista ha detto una cosa fondamentale, che secondo me serve a raffreddare gli animi e a dare un sano pragmatismo. Una cosa molto semplice: oggi esistono solo due cose, i dati e gli algoritmi. Tutto il resto è delirio, delirio puro. Un’eccellente base dati con un algoritmo così così non produce nulla. Un’eccellente algoritmo con una base dati fatta male non produce nulla. Un’eccellente base dati, esaustiva del proprio ambito, unita a un algoritmo fatto bene, dà luogo a una capacità predittiva che somiglia all’intelligenza umana. Mi sembra che questo sia il modo più normale per in- quadrare lo straordinario tool che presto avremo a disposizione, a fianco alla nostra intelligenza. Tutto il resto è delirio”.

Se la cosa importante sono i database, è molto interessante che in questo mercato le aziende stanno cercando di creare dei ‘data lake’ dei propri dati, gli editori stanno cercando di farlo, le telco hanno già cominciato, la grande di-stribuzione con il Retail Media: “Alla fine stiamo tutti ponendoci lo stesso problema. Sullo sfondo rimangono dei problemi non da poco di privacy da salvaguardare: avremo forse dati più ‘veri’ ma anche dati più riconducibili a una singola persona. E lì – ha concluso Pastore –, entriamo in un campo in cui è bene che qualcuno abbia detto che non ci si deve entrare, come nel recente AI Act”.

Tommaso Ridolfi