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Kantar/Consumatori, Brand e Comunicazione. Capeci: “Le marche come piattaforme di incontro tra generazioni. Spazio ai giovani, più pensiero di qualità e meno semplificazione. Da giugno ripresa della socialità, del fuori casa e degli eventi"

Si rinnova l’appuntamento con la rubrica nata dalla collaborazione fra ADVexpress e Kantar Insight Division. Il Ceo Italy, Greece & Israel, Federico Capeci, spiega ai nostri microfoni le tesi esposte nel suo nuovo libro ‘Generazioni’: la necessità di una ‘sinergia intergenerazionale’, nella società come nel marketing e nella comunicazione, in cui le aziende hanno l’opportunità di trasformarsi in vere e proprie piattaforme di scambio fra le generazioni. E smentendo chi sostiene che la maggioranza degli italiani sia ‘no-vax’, anticipa le opportunità che grazie al ‘South Working’ si apriranno da giugno in avanti per il mondo del ‘fuori casa’ e degli eventi, portando benefici soprattutto al Mezzogiorno.

 

Copertina

Edito da FrancoAngeli, ‘Generazioni. Chi siamo, che cosa vogliamo, come possiamo dialogare’ è il nuovo libro di Federico Capeci, alla base del quale è un’approfondita riflessione su come affrontare e risolvere non solo la questione ‘giovanile’ ma quella intergenerazionale.

“Guardando i dati delle nostre ricerche – esordisce il Ceo Italy, Greece & Israel di Kantar Insight Division nella video intervista – mi sono accorto che nei consumi, tra i cittadini, nel sentiment della popolazione, in famiglia e nei posti di lavoro, esiste oramai un’interazione e un’inter-relazione così forte fra tutte le generazioni che va capita un po’ più nel dettaglio. Approfondendo tutte le generazioni dal dopoguerra a oggi e le differenze fra di loro, il libro vuole proporre un’idea di scambio, o meglio di sinergia intergenerazionale”.

Solo una volta capito quanto e in che cosa siamo diversi, spiega Capeci, diventa possibile stabilire un rapporto che ci accresca veramente. “La tesi del libro è che al di là delle grandi differenze non possiamo semplicemente aspirare a una logica di ‘passaggio generazionale’ che non avverrà: perché la vita media si è allungata talmente tanto che non è possibile sottrarre una forza dall’ambito lavorativo per farne entrare un’altra; e perché imporre all’anziano di lasciar spazio al giovane è un passaggio che propone di per sé un conflitto. Dobbiamo sciogliere questo tema e ogni genitore lo deve fare con i suoi figli. Di fatto costruiamo la generazione successiva con l’idea di migliorarci, di rappresentare qualcosa che noi non siamo mai stati: ma nel momento in cui
questa si afferma lo specchio diventa pesante e non riusciamo ad accettarlo”.

Un modello di riferimento per le aziende
“Sia in termini di marketing e di comunicazione, sia all’interno delle stesse aziende – prosegue Capeci –sta iniziando a sperimentarsi la logica che vede una generazione diversa dall’altra per il ruolo che ciascuna riveste all’interno dell’azienda o nel mondo dei consumi”. Nei paesi anglosassoni, per esempio, da tempo sperimentano il metodo che vede la progressiva
‘decrescita’ di un Ceo, a fronte di un progetto di mentorship verso il successore: “È un po’ diverso dal nostro territorio – commenta Capeci –, dove il Ceo o comanda o si licenzia per non entrare in logiche di demansionamento impossibili e impensabili nel nostro Paese”. Il libro punta a raccontare questa opportunità con la piena consapevolezza dei diversi e numerosi paletti pre-esistenti. “Per esempio – osserva Capeci – la società viene cambiata dai giovani. Punto. Su questo non si può prescindere, perché i giovani hanno una struttura mentale tale da vedere il futuro come un’opportunità di cambiamento. E siccome la società evolve con i cambiamenti siamo in mano ai giovani”.

Il fatto è che quando i giovani non sentono questa responsabilità, perché non hanno una visione chiara del futuro, la catena si interrompe: “Entrano in gioco i ruoli di cui dicevo prima: è l’adulto o l’anziano che deve capire che il suo ruolo è quello di fornire il contesto affinché questa responsabilità dei giovani possa agirsi. In azienda, per esempio, ci sono generazioni come quella dei baby-boomer che sono degli ottimi mentor o come la Generazione X che sono ottimi manager, e altre come quelle post Millennial che sono invece ottimi challenger. Se si fa confusione fra questi tre Dna generazionali, dando a un Millennial l’obiettivo di fare il project manager o a un GenX quello di fare il challenger, al di là delle peculiarità personali che possono sempre esserci, non si creano sinergie”.


I riflessi sul marketing, la comunicazione o i media
La sinergia generazionale è tema molto vicino al modo con cui si approcciano i mezzi e la comunicazione: secondo Capeci, infatti, spesso si è portati a sbagliare per eccesso di semplificazione. “Ma per creare sinergie dobbiamo ragionare su quante generazioni oggi abbiamo di fronte. La prima cosa da evitare, per esempio, è sicuramente escludere l’una o l’altra generazione, creando aziende troppo giovanilistiche o piuttosto con toni ancora Anni ’80… Una strategia possibile è parlare a tutte le generazioni: quello che fa la differenza non è il cosa ma il come lo si racconta, gestendo esperienze e touchpoint più in linea con ciascuna generazione. Fino ad arrivare a un’altra tesi del libro, secondo la quale oggi moltissime aziende e marche avrebbero la possibilità di stabilire loro stesse come piattaforma di scambio intergenerazionale”.

Capeci cita due esempi del passato, Mulino Bianco e Gillette. “Il cracker Mulino Bianco di decenni fa nacque proprio come piattaforma d’incontro intergenerazionale tra la mamma della ‘silent generation’, che andava a comprare il pane tutte le mattine, e la figlia ‘baby boomer’ con il suo carattere rivoluzionario che voleva emanciparsi rispetto a quello stile di vita. Il cracker, e in particolare il Mulino Bianco, era diventato questo punto di incontro molto bello fra generazioni”.
Lo stesso, ricorda il manager, ha fatto Procter & Gamble in una straordinaria iniziativa – “Perché in questi casi si deve andare oltre l’idea di una semplice campagna – per la festa del papà: nell’insegnare al figlio il passaggio all’età adulta, anche Gillette diventava una piattaforma di scambio intergenerazionale. Anche nella comunicazione e nel marketing c’è quindi la possibilità di forzarsi a mettere insieme tutte queste prospettive”.

Al dunque, Capeci contesta “La semplificazione con cui spessissimo si analizzano i dati e si propongono strategie. O si è il brand che parla ai giovani, o quello che parla agli adulti, oppure ancora quello che si rivolge alla responsabile acquisti sessantenne, idealmente madre di quattro figli, che va al supermercato. Ma il mondo dei consumi oggi non è più proprio così”.
La pandemia, e il lockdown che ci ha fatto stare in casa 24/7, ha favorito questo dialogo fra generazioni o, al contrario, lo ha reso più critico e problematico?
“Ci sono alcune piattaforme che hanno beneficiato dell’incontro generazionale come le piattaforme di streaming e di musica, che sono diventate un grande argomento di conversazione e di scambio conoscitivo fra le varie generazioni. Stando più insieme, attraverso la musica ci si è conosciuti anche di più, quindi una figlia ha fatto conoscere la musica al papà, il papà alla moglie e via dicendo. Dobbiamo ammettere, però, che ci sono state anche delle situazioni estremamente difficili: penso in particolare ai bambini che possono aver vissuto situazioni di stress davvero eccessivo, la lontananza dai propri sistemi di socializzazione e di formazione, che può aver generato qualche situazione da risolvere”.

 

‘Finestra’ estiva per la ripresa degli eventi

Guardando a quelle che potrebbero essere le opportunità e le tendenze del futuro più immediato, Capeci prende spunto da alcuni indizi. “Il primo è che a registrare una crescita in questo periodo – indipendentemente dalla ‘fortuna’ del settore in cui operano – sono le aziende passate da un concetto di quantità a uno di qualità, iniziando a ragionare non tanto sul ‘fare meno’ ma sul ‘fare diversamente’.

Il secondo indizio è il tema del ‘South Working’, che sarà sicuramente molto impattante in termini di consumo e del ‘fuori casa’, perché decentralizzerà dalle grandi metropoli verso le zone balneari già da giugno – e il Mezzogiorno ne beneficerà, speriamo, significativamente.
Il terzo indizio riguarda l’ansia già presente ma che emergerà ancor di più all’avvicinarsi dei mesi estivi”.
Queste tre cose portano a ipotizzare, da giugno in poi, una probabile ripresa anche del mondo degli eventi e della socialità: “Tra il vaccino, le varianti che conosciamo e gli effetti positivi del vaccino prima del richiamo, avremo una ‘finestra’ a giugno-luglio-agosto sicuramente da sfruttare – indica Capeci –. Più che ragionare in termini di ‘usciremo o no’, comincerei a pensare al dove e come usciremo. Ci saranno alcune regioni, in particolare del Sud o, paradossalmente, montane, che potranno darci tantissime soddisfazioni in termini di consumi proprio a giugno e luglio, perché sicuramente in quei mesi molte persone andranno a lavorare in smart working, portando con sé il proprio portafoglio e i propri consumi”.

Prendendo spunto da una ricerca Kantar che indica nell’Italia il paese con la più alta maggioranza di cittadini risultata incline al vaccino, Capeci chiude l’intervista su un’ulteriore nota di ottimismo e di buon auspicio, ma non manca di stigmatizzare le vere e proprie ‘fake news’ che molti hanno diffuso sull’argomento: “Su questo tema ci sono stati livelli di sciacallaggio e di strumentalizzazione disumani – conclude infatti –. Non è vero che gli italiani sono ‘no-vax’ o hanno paura. Bisognerebbe raccogliere i dati bene prima di andare in televisione e dire certe cose che poi hanno un effetto domino”.

 

Tommaso Ridolfi