Partner

Trends & Vision 2024 by OMG/3. Giraldi (H&S): “Una ‘Smart Agency’, veloce nel servizio con la forza del Gruppo alle spalle”. Federighi (Fuse): “Specialisti dell’entertainment, per dare valore ai contenuti di brand”

L’andamento del 2023 e le prospettive per il 2024, la crescita di branded content e influencer marketing, la necessità di misurare questo genere di attività e le difficoltà di orientamento in un universo mediatico sempre più a rischio di essere popolato da fake news: questi i temi principali toccati nel corso dell’intervista a Emanuele Giraldi (Hearts&Science) e Ludovica Federighi (Fuse), nel terzo episodio della serie di VideoContent dedicati a OMG.

Terzo appuntamento con il VideoContent by Adc Group dedicato a Omnicom Media Group: dopo le interviste a Francesca Costanzo (OMD) e Alessio Di Domizio (Transact) (leggi news: https://www.adcgroup.it/adv-express-tv/partner/trends-vision-2024-by-omg.html), e l’incontro con Lorenzo Moltrasio (PHD) e Gaetano Polignano (Trkkn) (leggi news: https://www.adcgroup.it/adv-express-tv/partner/trends-e-vision-2024-omg.html), protagonisti del nuovo incontro sono Emanuele Giraldi, managing director di Hearts&Science e Ludovica Federighi, Head of Fuse.

Un bilancio dell’andamento registrato nel 2023, le aspettative e le prospettive per il 2024; la crescente importanza delle attività, ma anche i rischi, nelle aree del branded content e dell’influencer marketing; la necessità di una misurazione più precisa e puntuale in questi settori; le difficoltà di orientamento in un universo mediatico sempre più a rischio di essere popolato da fake news e la responsabilità sociale dei comunicatori: questi i temi affrontati nel corso dell’intervista da Emanuele Giraldi, Managing Director di Hearts&Science, e da Ludovica Federighi, Head of Fuse, nel terzo episodio della serie di VideoContent by ADC Group dedicata a OMG.

“Il 2023 è stato un anno speciale per l'agenzia – ha esordito Giraldi –, in cui di fatto abbiamo raccolto i frutti del grande lavoro degli anni precedenti, fin da quando siamo nati in piena pandemia, praticamente su Teams! Trovandoci in quella condizione abbiamo dovuto inventarci la nostra strada nel segno delle connessioni con il mercato, con il mondo della creatività, con il mondo dell'imprenditoria e con il mondo degli editori e delle concessionarie”.

Questo modo di lavorare ha permesso all’agenzia di crescere fino a oggi: “Grazie alle acquisizioni del 2020 – indica Giraldi – abbiamo raggiunto la taglia intermedia di una Smart Agency, non piccola come le agenzie specializzate, né troppo grande come le multinazionali: una dimensione che ci permette di essere veloci nel servizio con i clienti ma anche abili da un punto di vista tecnico grazie alla forza delle unit specializzate di Omnicom Media Group. È il modello della Agency As A Platform, ed è quello che di fatto l'anno lo scorso ci ha permesso di ottenere grandi risultati e la vittoria di clienti come Armani, Jaguar Land Rover, Versuni, Drivalia, FCA Bank (poi ribattezzata CA Auto Bank). Conm l'ultimo arrivato, Koelliker, anche quest'anno sta già dando i suoi primi frutti”.

A proposito della differenza tra Hearts&Science e quella delle altre agenzie del gruppo OMG, Giraldi definisce la proposta complementare: “La nostra è una visione client first – spiega –. Di fatto, le esigenze del cliente sono quelle che determinano
l'organizzazione migliore: in pratica noi offriamo i servizi, la scala e i benchmark del Gruppo ma con un approccio relazionale che è più vicino a quello della boutique che non a quello della grande multinazionale. La tipologia di clienti incide ed è
chiaramente diversa: abbiamo molti clienti locali, l'85% del nostro billing è italiano –nel mondo, ma italiano –, quindi anche come scala internazionale la stiamo costruendo da qui. Abbiamo un grande cliente internazionale come Jaguar Land Rover, o anche Versuni che fa sempre parte di un network internazionale, ma crediamo che da questo punto di vista il 2024 sarà un anno di svolta per la scala del gruppo”.

Federighi: “Il proliferare del Branded Content rischia di generare Brand Weariness”
Fuse, che da molti anni è specializzata nell’area del Branded Content ed Entertainment, è una delle unit di OMG cui anche Hearts&Science si appoggia per un servizio consulenziale specifico ai suoi clienti. E Ludovica Federighi testimonia l’attuale stato di salute di questa disciplina tutto sommato nuova nella sua elaborazione scientifica, anche se non nel suo approccio ai problemi di comunicazione dei brand soprattutto in tema della loro ‘credibilità’. Molte ricerche dicono infatti che ormai le aziende sono più affidabili e credibili dei tradizionali opinion leader o addirittura delle istituzioni: ma nell’esperienza di Fuse questo non è più così vero.
“La fiducia di cui parlavano le ricerche, che in realtà risalgono a fine 2022 inizio 2023, era il risultato di una sfiducia importante invece verso le istituzioni che derivava dalla pandemia e quant'altro – spiega Federighi –. In quel momento i brand in modo naturale, senza far più di tanto, avevano guadagnato la fiducia dei consumatori facendo contenuti sui social di varia natura. Oggi siamo invece in una fase un po' diversa, di proliferazione dei contenuti. Pensiamo all'invasione dei brand su Sanremo: un caso di studio bellissimo, straordinario per chi fa il nostro lavoro! Ma questa proliferazione ha generato ‘brand weariness’, una naturale stanchezza e quindi diffidenza da parte delle audience nei confronti di brand che fanno troppi contenuti, troppo autoreferenziali e centrati sul prodotto, contenuti commerciali spacciati per intrattenimento, educazione, informazione o quant'altro. È una tendenza a cui bisogna stare molto attenti, perché genera totale sfiducia nei confronti del brand o quantomeno disinteresse totale”.

Le persone si rivolgono a chi gli dà un qualcosa di più, un motivo per diventare il loro punto di riferimento, ma a farlo non sono necessariamente un brand o un'istituzione, aggiunge Federighi citando l’esempio di Ghali e del suo statement proprio dal palco
di Sanremo: “Le persone e le community si radunano intorno a chi sa dargli valore. A volte sono i brand, a volte non lo sono”.

Quello che fa e che ha sempre fatto Fuse è cercare di dare il più possibile ai brand questo tipo di consapevolezza: “Se fai contenuti devi entrare nella mentalità di chi li produce veramente, di chi fa intrattenimento, di chi fa educazione, di chi fa
informazione – prosegue la manager –. In qualche misura più che al proprio messaggio e a come si comunica il proprio brand si deve pensare a chi riceve quel messaggio e quindi a che tipo di bisogno si va a rispondere. Esattamente come fanno i produttori di contenuti di intrattenimento veri e propri. Questo è il tipo di lavoro che facciamo a livello consulenziale: è ovvio che per farlo ci vuole un'expertise specifica e per questo ci definiamo degli specialisti dell’intrattenimento.


È anche vero che il pubblico ama questo tipo di contenuto e che riconosce i brand quando riescono a farlo nel modo corretto.
In generale il branded content e il branded entertainment sono una leva che riesce spesso e volentieri a scalfire quel muro di disattenzione che c'è e che quest'anno abbiamo studiato moltissimo con Omnicom”.

 

Da influencer a creator, con doveri e responsabilità editoriali
A proposito di fiducia, di rapporto tra brand e consumatori, di opinion leader e di influencer, i casi recenti hanno un po' scoperto i nervi di un ‘sistema’ giovane come quello dell'influencer marketing. Al di là del chiaro riferimento al caso Ferragni quali sono per Fuse le prospettive per quest'area di attività?
La risposta di Federighi è chiara: “Il mercato dell'influencer marketing cresce e continuerà a crescere. C'è chi ha detto che è morto, che gli influencer non conteranno più niente, non ci fideremo più, eccetera. Ma non è così, principalmente per due motivi. Il primo è che è una leva strategica davvero importante per i brand: per intendersi, nessuna delle aziende con cui lavoriamo ha ritirato gli investimenti dopo il caso Ferragni. C'è sicuramente più attenzione, si studia meglio cosa si può e
non si può fare, si studiano le regole: ma si rimane saldi nell'investimento, perché funziona ed è misurabile”.

E non solo: “Una ricerca dice che addirittura il 67% delle persone ritiene di potersi fidare degli influencer perché è in grado di capire cosa è falso e cosa è vero. È come se avessero acquisito una maggiore consapevolezza, reale o presunta, nei confronti
dei contenuti degli influencer: si fidano di più semplicemente perché si fidano di più di se stessi e della loro capacità di valutarli”.

Tutto ciò ha modificato ed evoluto il ruolo dell’influencer marketing, di per sé una definizione che in realtà è ormai scorretta e persino obsoleta: “Gli influencer erano quelli che dalla loro cameretta, dalla loro casa, ci raccontavano senza filtri la loro vita. Oggi parliamo di creator: chi lavora sui social, come blogger, con i podcast e così via, in realtà fa un lavoro da editore vero e proprio. E questo status, questa responsabilità anche editoriale, gli è stata data anche dalle nuove regole dell'Agcom. Ed è in questo modo che noi dobbiamo approcciarli”.

 

Dall’uplift alla conversione: una questione di misura
Il tema della misurazione, cui ha accennato Federighi, è effettivamente un tema centrale per le aziende, e anche nell’ambito dell’influencer marketing è sempre più necessaria: come si sta muovendo Hearts&Science da questo punto di vista?
“Una premessa – replica Giraldi –: quando si fa una campagna qualsiasi, si misura l'effetto di una serie di scelte che sono l'insieme delle alternative valutate ottimali per raggiungere un determinato obiettivo rispetto all'obiettivo stesso. La misurazione sugli influencer avviene esattamente nello stesso modo. Se ci fermassimo al dato oggettivo, cioè che le piattaforme non danno accesso alle informazioni dirette sulle performance di alcuni contenuti, diremmo che quell’attività è immisurabile. In realtà staremmo misurando la cosa sbagliata”.

Un po’ come se si usasse la tradizionale metrica televisiva del GRP’s per misurare l’efficacia di uno spot, spiega Giraldi, perché “Il GRP’s è un'unità di costo, non di efficacia. Se invece usciamo dalla metrica del costo e vediamo la metrica della resa, da cui poi capiamo se il costo era stato appropriato o meno, allora le misurazioni possono essere fatte attraverso uplift sulla parte alta del funnel piuttosto che attraverso la fase di conversione”.

Di fatto, anche in ambito influencer marketing si misurano le stesse cose che si misuriamo su tutti gli altri canali. “Si possono misurare tutti i soft KPI attraverso sistemi diversi – precisa Giraldi – che prevedono generalmente delle interviste quantitative fatte su campioni costruiti sulla base del singolo talent o dell'audience che uno vuole raggiungere come target di riferimento. In alcuni casi abbiamo anche fatto dei modelli di regressione a partire dall'andamento delle ricerche online: sulla base di attività fatte da influencer, quindi, si può vedere quale sia poi la ricaduta per esempio sulla search, e se ne deduce l'impatto attribuibile all'influencer”.

‘Media Literacy’ e responsabilità sociale dei comunicatori
Legato al tema della fiducia è anche quello dei fenomeni fake, news e non solo. Un tema cui il managing director di Hearts&Science tiene particolarmente, facendone una questione di responsabilità sociale per l’intera industry della comunicazione:
“Non ho intenzione di fare grandi proclami – commenta Giraldi –, ma penso che l'obiettivo che ci stiamo dando come agenzia non sia solo quello di risolvere i bproblemi dei clienti, anche se sicuramente sono la nostra priorità, ma di allargare il perimetro a tutto il mercato. Noi abbiamo una responsabilità: investiamo nella visibilità delle marche perché da una parte vogliamo cambiare i comportamenti delle persone al fine di raggiungere gli obiettivi dei clienti, e dall'altra lo vogliamo farediffondendo una consapevolezza che di fatto l'informazione non è un gioco, ma uno degli elementi critici che permettono di avere una società equilibrata”.

Negli ultimi 20 anni, prosegue Giraldi, si è diffusa la percezione che se una cosa si può fare su internet allora è giusta o è legittima, e se una cosa è su internet allora è vera: “Ma non sono vere né l’una né l’altra – avverte –. In altri paesi, soprattutto negli Stati Uniti, su questo aspetto c'è un grande progresso. Si chiama media literacy, alfabetismo mediatico potremmo dire, un arredo che sia non solo opportuno ma necessario che noi agenzie, il mondo degli editori, il mondo delle marche, la comunicazione generale prenda coscienza del fatto che se vogliamo avere una risposta di un certo tipo da parte delle persone dobbiamo anche prevedere delle regole che non annacquino il valore della comunicazione attraverso la diffusione di falsi che poi di fatto generano la diffidenza”.

E aggiunge: “Siccome non mi fido più delle istituzioni, del giornale o del brand, non mi fido più di niente, mi vado a fidare poi di qualcosa che penso sia la notizia giusta per me: ma sappiamo che gli algoritmi spesso lavorano per Mimesis, quindi ci fanno vedere quello che noi vogliamo vedere. Di conseguenza si costruisce una società molto più frammentata e distante, e soprattutto si alimentano fenomeni dannosi, anche fisicamente: ad esempio nel caso dei bambini che si affacciano al mondo digitale purtroppo fin dai due anni e mezzo in poi. Sono tutti comportamenti che fanno parte di questo exploit del mondo tecnologico, del mondo di internet che non è più agli albori ma in una fase di maturità, e possiamo cominciare a controllare”.

TR