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Festival Of Media - 10a edizione: trasparenza e fiducia sempre al centro del dibattito

Gli ultimi 10 anni hanno letteralmente sconvolto il mondo della comunicazione e dei media: agenzie, marketer, editori e concessionarie di tutto il mondo si sono incontrati a Roma per la decima edizione del Festival Of Media Global: si è parlato di trend sociali, economici e creativi, ma quelli su trasparenza e innovazione si sono rivelati - e non è una sorpresa - gli interventi più ‘caldi’ della prima giornata.
(Roma - dal nostro inviato Tommaso Ridolfi). Trend sociali ed economici, trend creativi, trend squisitamente 'professionali': dalla crescente urbanizzazione mondiale allo storytelling, dal branded content al ruolo delle agenzie e la necessità di un ‘sistema’ più trasparente in cui torni a esserci fiducia fra tutte le parti in causa. Questi i principali temi toccati durante la prima giornata di lavori della decima edizione del Festival Of Media Global, che dopo due anni a Venezia, due a Valencia e due a Montreux è stato per la terza volta organizzato a Roma.
 
Come cambia la società: la crescita delle città
 
Alasdair Ross, Global Product Director dell'Economist Intelligence Unit (foto 2 della gallery), ha aperto la mattinata illustrando i cambiamenti in atto in tutto il pianeta sul fronte dell’urbanizzazione e dello sviluppo demografico: cambiamenti in atto da tempo ma che in futuro sono destinati ad accelerare e a spostare gradualmente l’attenzione dei brand e degli investitori verso aree del pianeta diverse: “Non esistono più paesi ricchi e paesi poveri - ha spiegato infatti snocciolando una lunghissima serie di dati -. Le città sono e saranno sempre più motori di collaborazione e di innovazione, la loro popolazione sarà sempre più ‘ricca’ e al loro interno crescerà il ruolo femminile: ciò che farà la differenza sarà la classe ‘media’, un concetto relativo a seconda della geografia, trasformando sempre più persone in consumatori di telefoni, tv, auto e di tutto il resto. E soprattutto in zone come Cina, India, Indonesia e più in generale in tuta l’Asia, o come l’Africa, soprattutto settentrionale, si creeranno opportunità di business eccezionali”.
 
Per contro, ha fatto notare, non tutte le città stanno crescendo: “Soprattutto quelle di dimensioni medie o medio-piccole, e soprattutto in Europa Occidentale, le migrazioni, l’evoluzione dell’industria, il declino della natalità e l’allungamento della vita media stanno al contrario riducendo le loro dimensioni. Come tutte le opportunità - ha concluso però - l’urbanizzazione porterà con sè dei rischi: instabilità, diseguaglianzi sociali ed economiche, disoccupazione giovanile, criminalità… Trovare un equilibrio non sarà facile”.
 
Come è cambiata la produzione: collaborazione e storytelling
 
Sono pressoché infiniti i credits e i successi di Steve Golin (foto 2 della gallery), produttore che nella sua carriera ha spaziato dal cinema alla televisione, dalla pubblicità ai video musicali. Fra i più recenti basta ricordare Revenant e Il caso Spotlight, mentre fra i suoi lavori più originali figura ‘The hire’, la serie di 8 cortometraggi realizzati per BMW nel 2001 e 2002 che rappresentano ancora oggi esempi forse insuperati di branded content e che diedero il ‘la’ al Festival di Cannes per creare i Titanium Lions.
Co-fondatore prima di Propaganda Film e poi di Anonymous Content, Golin ha testimoniato dal suo punto di vista il cambiamento delle relazioni fra agenzie e clienti: “Oggi il 25% del nostro lavoro non passa più dalle agenzie ma è fatto direttamente con il brand - ha detto -: una relazione che funziona anche tenendo conto del fatto che almeno un quarto dei registi è all’origine un ex creativo pubblicitario… Non è solo questione di disintermediazione delle agenzie: ciò che conta è la fiducia. E ciò che ho imparato negli anni è che i risultati migliori sono sempre quelli in cui siamo coinvolti fin dall’inizio, che l’agenzia sia presente o meno”.

Dagli spot e i videoclip degli esordi, oggi Anonymous si occupa anche di cinema e soprattutto televisione: “Fino a pochi anni fa la tv non era al centro dell’attenzione dell’industria hollywoodiana. Oggi lo è diventata. Come produttore posso dire che sono forme differenti di storytelling - ha aggiunto Golin - che richiedono diversi gradi di impegno e diversi tipi di talenti, e che oggi costringono a pensare a tutte le diverse piattaforme cui il prodotto finale è destinato. Un esempio recente è un film di circa 25 minuti realizzato insieme a Ogilvy per Coca-Cola, editato e tagliato successivamente in decine di formati differenti per il broadcast o per l’online. Ma ripeto: alla base di tutto ci deve essere la collaborazione e la fiducia da parte dei clienti, in primis quando si tratta di sfruttare quella colossale opportunità che è il branded content - proprio come è successo con i film per BMW di oltre 15 anni fa”.
 
Dominic Proctor: le sfide passate, presenti e future delle media agency
 
Nel suo intervento, il Global President di GroupM, Dominic Proctor (foto 3 della gallery), ha ripercorso in modo originale i molteplici temi toccati dal dibattito sulla relazione fra agenzie e clienti nei 10 anni del Festival: “Quando il Festival è nato, nel 2007 a Venezia, Facebook non esisteva ancora. Ma oggi siamo a Roma, la città che molto prima dei social network ha inventato like e dislike - ha esordito mostrando una scena dal film Il Gladiatore in cui l’imperatore alzava o abbassava il pollice per decidere il destino di chi aveva combattuto nell’Arena -. In quella prima edizione ci domandavamo ancora se le agenzie media avessero diritto a ‘un posto a tavola’ insieme ai clienti e alle agenzie creative. Ci eravamo detti che il nostro ruolo di agenti, e quindi di intermediari, era quello di gestire il cambiamento in atto, già allora vorticoso. Su questo argomento il mio pollice non va né in su né in giù: non era una guerra e non c’è stato un vincitore perché, pur essendo circondati da molte più voci e opinioni di allora, i clienti non hanno ancora fatto una scelta definitiva sui loro ‘advisor’. Posso però aggiungere che oggi più di un advisor alle aziende servono dei ‘system integrator’, ma che come allora quel seggio resta vacante”.
 
Pollice in su per il digital - “Che ha rivoluzionato il modo in cui tutti lavoriamo ed è un elemento cardine della trasformazione” -, ma pollice verso al Branded Content: “Nessuno è ancora riuscito davvero a renderlo ‘scalabile’ nonostante l’enorme opportunità che rappresentava allora e che rappresenta oggi” ha detto Proctor, che si è invece mantenuto neutrale sul tema dei talenti: “Siamo riusciti ad attirare persone giovani di estrazioni molto diverse rispetto a prima, e questo è positivo, ma al tempo stesso continuiamo a non riuscire a conquistare i laureati a ‘cinque stelle’. Molto meglio è andata sul fronte dei partner e competitor, quelli che allora avevamo definito i ‘frenemies’: siamo tutti cresciuti, i rispettivi ruoli si sono evoluti e direi che ce la siamo cavata più che bene”.
 
Venendo al presente, il presidente di GroupM non ha espresso like o dislike, ma ha ricordato le questioni più calde: “Credo sia ben chiaro a tutti che la nostra industria abbia urgente necessità di un livello di trasparenza e di fiducia molto maggiore fra tutti gli anelli della sua catena del valore - clienti, agenzie, media e anche consumatori. Così come è chiaro che c’è un diffuso problema di ‘integrità’ sul digital dovuto a frodi, adblocking, viewability: un problema che spetta all’intera industria risolvere, dai regolatori fino ai propritari delle piattaforme. Senza integrità non può neppure esserci un marketplace”.
 
Infine, guardando al futuro, Proctor ha sottolineato la difficoltà di predire le tempistiche, anche se la direzione in cui ci si muove è abbastanza chiara: “La nostra ‘dipendenza’ dai dati crescerà esponenzialmente - ha affermato - e dovremo domandarci, in un mondo completamente data-driven quale sarà il contributo delle agenzie: la mia risposta è che il nostro compito sarà supervisionare l’automazione assicurando alle marche un alto livello di oggettività e di creatività. Una previsione estremamente facile è lo sviluppo del mobile e delle app: ma la crescita di ogni ordine e tipo di device, compresi i wearable e gli ‘implantable’, comporterà la necessità di tracciarli, senza dimenticare il problema di cui si parla poco ma che sarà di fondamentale importanza, ossia la necessità di messaggi ben più creativi di quelli odierni in questo tipo di ambiente. Altra facile predizione è il boom dell’ecommerce, che già adesso vale il 10% del fatturato commerciale mondiale. Nonostante i rischi cui ci espone la tecnologia - ha concluso - ci sarà sempre bisogno del ‘fattore umano’ che le agenzie porteranno al business dei clienti anche in un mondo governato dagli algoritmi. E la chiave per il successo sarà la collaborazione di tutti i diversi specialisti”.
 
La voce dei clienti
 
I temi trattati da Proctor sono tornati più volte al centro del dibattito in altre sessioni. Matt Green, Global Media & Global Digital Marketing della World Federation of Advertisers (foto 4 della gallery), ha illustrato per esempio i dati di un’indagine WFA sui desiderata dei clienti suoi associati: talenti, collaborazione e trasparenza sono le tre risposte chiave. “Se il 90% dei brand intervistati ritiene che non ci sia trasparenza sufficiente nel mercato, e il 75% giudica la preparazione delle agenzie in tema di tecnologia insufficiente nel fornire una consulenza ‘imparziale, è evidente che le aziende hanno cominciato a notare le crepe nel sistema - ha detto Green -. Così come è interessante che la maggior parte dei clienti pensi che da qui a 5 anni chiederà alle agenzie un maggior livello di servizio, ma soprattutto che chiederà un servizio ‘diverso’”.
 
Nel dibattito che è seguito, Ben Jankowski, Global Media Head MasterCard, Fiona Lam, Head of Media and Investment Volvo, Sital Banerjee, Senior Director e Global Head of Media Philips e Mark Butterfield, Head of Global Media Boehringer-Ingelheim, hanno concordato sul fatto che il ruolo del marketing - vendere prodotti o servizi - non è cambiato e non cambierà: “Per continuare a farlo ci aspettiamo che le agenzie ci supportino in molte nuove aree di frontiera - hanno detto Banerjee e Lam - e che comprendano molto più di oggi i problemi che la ‘digital tranformation’ ci sta creando. Ma questa trasformazione è solo un mezzo verso il fine ultimo di migliorare il nostro business, perciò alle agenzie chiediamo che si attrezzino adeguatamente e che ci aiutino a identificare gli insight giusti per i nostri consumatori futuri”.
“In Scandinavia - ha proseguito Lam - il livello di fiducia fra le persone è ancora molto alto, anche quello verso le agenzie. E non possiamo sottrarre tempo al processo di trasformazione e riorganizzazione che è ormai una costante e non si ferma mai mentre gli headquarter esigono risultati concreti di trimestre in trimestre: e chi gestisce i budget media è il primo verso cui si punta il dito se le cose non vanno”.
“Il nostro ruolo - ha aggiunto Butterfield - è costruire il customer journey più adatto ai nostri clienti. Ma un viaggio non si può fare con un veicolo rotto o senza un mezzo di trasporto affidabile. E l’affidabilità è quella che è venuta meno nella nostra industry. E’ ora di passare ai fatti e di discutere apertamente di valore e di fee, perché questi sono i nodi da sciogliere”.
 
“Come recita un detto, però, è difficile pensare quando si ha la testa in fiamme: una delle prime reazioni da parte di molti grandi brand è stata quella di portarsi in casa un crescente numero di attività media digitali. E’ una strada corretta? ” ha domandato Jankowski agli altri panelisti.
Sia per Butterfield che per Banjeree “E’ una questione di economie di scala e di maggior controllo e sicurezza - ha detto il primo -: il digital non diventerà più chiaro e trasparente sotto il proflio dei costi - ed è qui che le agenzie devono aiutarci - altrimenti non escludo che anche noi potremmo optare per la soluzione in house”. Banjeree ha invece spiegato che questa strada Philips in parte l’ha già presa: “Ci sono cose di cui possiamo e forse anche dobbiamo occuparci internamente e direttamente, come nel caso del social e delle relative analytics per una questione di velocità e di tempestività necessaria a reagire alle conversazioni online. Fra i fattori da considerare ci sono infatti la possibilità che l’uso di un partner rallenti il processo oppure ne aumenti i costi. E non possiamo permetterci sprechi né di uno né dell’altro”.