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Festival Of Media: piu' dati, ma meno fiducia

I dati sono al centro delle trasformazioni che toccano ogni aspetto della comunicazione, digitale in primis. Ma sono anche alla base delle discussioni su trasparenza e fiducia, elementi fondamentali della relazione fra agenzie e clienti ma altrettanto di quella con gli altri anelli della catena del valore della digital economy, media e consumatori. Fra i suggerimenti proposti dagli interventi al Festival of Media di Roma il passaggio dalla comunicazione di un messaggio a quello dell’esperienza.
(Roma - dal nostro inviato Tommaso Ridolfi). Fiducia e trasparenza sempre al centro dell’attenzione dei brand globali e delle agenzie riunite a Roma la settimana scorsa per la decima edizione del Festival Of Media Global. Ma oltre a quelli che coinvolgono direttamente il rapporto fra gli investitori e i loro partner/consulenti, problemi di fiducia e trasparenza coinvolgono anche le altre parti in gioco, consumatori e mezzi: se il perno della digital economy è quello dei dati, catalizzatori del processo di cambiamento, è attorno a questi che è necessario trovare un nuovo equilibrio e ricostruire la fiducia senza la quale - come ha affermato ieri il Global President di GroupM, Dominic Proctor - vengono meno i presupposti stessi del mercato della comunicazione.

“I dati sono la nuova currency del mercato - hanno detto Will Swayne (foto 1), e Sanjay Nazerali (foto 2), rispettivamente Global President e Global Chief Strategy Officer di Carat -,gli agenti che stanno trasformando il modo in cui tutto ciò che facciamo è misurato, e insieme ciò che dà rilevanza e potenza alla comunicazione sempre più personalizzata dei brand verso i consumatori. Eppure la situazione appare paradossale: proprio nel momento in cui i dati possono aiutarci a realizzare una comunicazione rilevante, personalizzata e di valore, i consumatori non ne vogliono sapere e sono esplosi fenomeni come l’adblocking, la sempre più frequente cancellazione dei cookies, la vera e propria ossessione per la privacy. In sostanza, lentamente ma costantemente, negli ultimi anni la loro fiducia nei confronti delle marche è andata scomparendo”.
 
Per quali ragioni?
“Storicamente - ha proseguito Nazerali -, prima che esistessero i media, le persone si fidavano della chiesa, degli stati o dei sovrani: era una questione di regole. Nell’epoca dei mass media la gente si fidava dei brand e della pubblicità: credevano alle loro promesse. Oggi, nell’era dei media digitali, le persone si fidano delle altre persone, delle loro esperienze e conversazioni attraverso i social. E il problema è che in larghissima parte le marche e la pubblicità non hanno quasi mai voce in capitolo in queste conversazioni”.
“Per entrare a farne parte - ha aggiunto Swayne - occore un set di strumenti completamente diverso da quello della scorsa epoca: nuove tecnologie, contenuti, community, influenzatori… Ad agenzie e clienti servono nuove skill per affrontare tutto questo”.
 
“Sono ormai moltissimi anni che MasterCard ha ricostruito e rifondato la sua marca attraverso il posizionamento dell’emozione ‘priceless’ - ha sottolineato Ben Jankowski (foto 3), Group Head Global Media della società -. All’inizio lo dicevamo ai consumatori attraverso l’advertising, poi con la sponsorizzazione di eventi musicali o sportivi: oggi continuiamo su questa strada ma sappiamo che non basta più, e la nostra strategia è diventata quella dell’ empowerement, del dare alle persone la possibilità di provare direttamente un’esperienza che ‘non ha prezzo’”.
 
Bisogna però fare attenzione, chiariscono Swayne e Nazerali: “Il grado e il livello di fiducia possono essere diversissimi a seconda del settore, dell’audience o anche del momento: per questa ragione abbiamo inserito nel nostro database Consumer Connection System uno specifico tool che consente di costruire un media mix mirato alla costruzione di fiducia, ottimizzato per ogni mercato e ogni target group. I media possono interpretare infatti un ruolo di primissimo piano in questo processo, ma per costruire una relazione stabile e duratura con il consumatore è necessario capire quale mezzo utilizzare per ciascuno dei driver che abbiamo identificato come ‘generatore’ di fiducia: competenza, credibilità, affidabilità, nessun atteggiamento opportunistico, trasparenza, provenienza, intimità e reciproca condivisione”.

Nuove metriche per transparency & viewability?
 
Molte nuvole si sono addensate nell’ultimo biennio sul cielo della comunicazione globale. I problemi sono ormai universalmente riconosciuti: dalla ‘persistenza’ dei rebates (i DN) a tutti i livelli, fino alla viewability e alle frodi dovute al traffico non umano nell’area del digitale. La conseguenza è che molti si stanno domandando se e quanto questi problemi stiano minando l’efficacia della comunicazione, domanda che tocca direttamente il digitale ma contemporaneamente l’intero universo dei mezzi.
“Andrebbe ovviamente contro il buon senso dichiarare che la pubblicità non è efficace tout court - ha detto Gabe Greenberg, CEO della Global Audience Based Buying Conference (GABBCON), introducendo una tavola rotonda dedicata alla media transparency (foto 4) -, e dovremmo cercare di focalizzare la nostra attenzione sugli aspetti più concreti e più importanti. Nel digital, per esempio, sono state in un certo senso proprio le aziende ha creare il problema: hanno concentrato tutta la loro attenzione sul clickthrough ed è in quel momento che è nato il problema delle frodi e dei bot…”.
 
“L’innovazione tecnologica - concorda Gerry D'Angelo, Director Media MEU e Global Digital Media Partnerships di Mondelez - ha tutte le potenzialità per disgregare il mercato e creare un’enorme confusione. Credo che non ci si debba far prendere dal panico, accecati dai numeri, ma puntare dritti agli obiettivi e alle priorità che ognuno di noi si è dato. La viewability, per esempio, è qualcosa che ancora stiamo cercando di definire con esattezza, soprattutto nel campo del video dove ci sono la maggior parte delle innovazioni. A parte ciò, so che è una banalità se dico che non c’è alcuna ragione di investire in cose che la gente non vede o non può vedere: ma stiamo ancora cercando di capire cosa e come misurare con precisione”.
 
Dichiarando la piena e completa trasparenza della sua agenzia, il Global CEO di Initiative, Jim Elms, mette in guardia dalla ‘faciloneria’ con cui spesso si approccia l’argomento: “Trasparenza è una parola ‘alla moda’, ma noi siamo già totalmente aperti, onesti e trasparenti nei confronti dei clienti. Non si può generalizzare e tutto dipende dai rapporti fra persona e persona”.

Diverso il discorso della viewability: “A mio modo di vedere si tratta di un problema tecnico/tecnologico - sostiene Elms -. La realtà è che aspirare a una viewability del 100% è legittimo e doveroso - Initiative ha fatto e continua a fare studi e ricerche per valutarne ogni aspetto, dall’impatto di una rapidissima occhiata a un banner al pieno view-through di un filmato… - ma ci sono problemi colossali nel misurarla. Alla fine, la vera questione per i marketer e per i loro consulenti è quella dell’attribution: il graal sarebe infatti riuscire a misurare e capire come e quanto tutto funziona olisticamente, nel suo insieme, non pezzo per pezzo”.
 
“La nostra prospettiva - ribatte Richard Brooke, European Media Strategy & Operations Director di Unilever - è che ciò che si paga deve essere garantito: il nostro lavoro è produrre pubblicità, buona pubblicità, ed esigiamo che quando è pianificata sia vista dal consumatore cui è diretta, e che questi possa ‘rispondere’ acquistando i nostri prodotti. Sono d’accordo che il problema è nelle metriche adoperate: la Tv è il mezzo che in questo momento è il mezzo che si evolve alla velocità maggiore, e non a caso anche in quest’area si stanno cercando nuove soluzioni per misurarne l’efficacia. Se quelle attuali non funzionano credo che le responsabilità vadano condivise fra tutti: agenzie, clienti, associazioni, istituti di ricerca, e per il digital le stesse piattaforme tecnologiche di cui ci avvaliamo”.
 
“È vero - conferma D’Angelo -: continuiamo a confrontare le pianificazioni digital con quelle sugli altri mezzi: ma quando acquistiamo un billboard o un 30 secondi radio o tv non ci poniamo affatto le domande che ci poniamo nel digital. E' vero che la sua promessa è stata fin dall'inizio la totale misurabilità, ma la nostra potrebbe forse essere una reazione esagerata alle tante e diverse cifre che ci sentiamo dire. Nel calcolo del ROI, mezzo, messaggio e viewability sono tutti connessi: come diceva Elms, la difficoltà maggiore sta nel comprendere il funzionamento dell’intero sistema e nel trovare nuove unità di misura che indichino il grado di successo di ogni iniziativa di adv”.