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NC n.104 | Rapporto sul Mercato della Comunicazione (UNA-Almed): il benessere dei lavoratori spesso è messo in secondo piano. C’è collaborazione e solidarietà, ma è necessario investire sul dialogo interno e la condivisione dei percorsi di carriera

Un ambiente di lavoro inclusivo e collaborativo, ma con qualche criticità che lo rendono meno appetibile per il target giovane: remunerazione inadeguata, gender-gap e work-life balance. Questi alcuni dei risultati emersi dallo studio frutto della collaborazione dell’associazione UNA con il master in digital communications specialist di Almed.

In un’epoca in cui la comunicazione svolge un ruolo cruciale nella nostra società, riconosciamo l’importanza fondamentale del benessere dei lavoratori della comunicazione. Presso l’Università Cattolica di Milano nei giorni scorsi è stato presentato il Rapporto annuale sul mercato del lavoro nel settore della comunicazione italiana, frutto del lavoro condotto da UNA, Associazione delle agenzie di comunicazione italiane, in collaborazione con il Master in Digital Communications Specialist di Almed, Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

UNA e Almed hanno rilevato che il benessere dei lavoratori della comunicazione è un aspetto che tende spesso a passare in secondo piano, mentre il focus è più sulle notizie, la pubblicità, le strategie di marketing e le campagne di comunicazione. Tuttavia, è essenziale ricordare che qualunque sia la natura della comunicazione, questa si alimenta del lavoro di persone dedicate che seguono tutto il suo percorso, dalla ideazione al rilascio al pubblico attraverso il canale più adeguato. Proprio per questo, UNA è attenta non solo alla qualità della comunicazione in Italia, ma indaga e raccoglie periodicamente il punto di vista delle persone vivono e creano questo settore produttivo ad altissima concentrazione creativa e consulenziale, per comprender- ne lo stato di benessere.

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“La industry della comunicazione italiana punta fortemente sui giovani, ma non possiamo negare che il divario generazionale esista e debba essere gestito non solo dal settore, ma anche dalle istituzioni, dalle aziende, dalle agenzie. E, soprattutto, dai giovani stessi”, spiega Davide Arduini, presidente UNA (in foto). “Come associazione, sentiamo la necessità di dare un segnale, una risposta forte affinché venga valorizzato il contributo che i giovani possono dare al sistema e al settore. Infatti, a breve, ci saranno diverse novità, tra cui l’inclusione di un giovane rappresentante nel contesto del nostro Consiglio Direttivo”.

“Oggi, più che mai, è importante cogliere i segnali preziosi che il mercato del lavoro della comunicazione italiana offre per dare alle aziende un benchmark e note di contesto importanti che consentano di sviluppare e trattenere talenti - afferma Marianna Ghirlanda, direttrice del Centro Studi UNA (in foto sotto) -. La ricerca presentata oggi con Almed ha rilevato dati importanti che speriamo possano essere una bussola per il settore per gli anni a venire”.

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“I risultati della ricerca descrivono un ambiente di lavoro collaborativo e solidale, in cui però è necessario investire di più sulla comunicazione interna e sulla condivisione dei percorsi di carriera”, commenta Nicoletta Vittadini, direttore Master Digital Communication Specialist Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

I principali risultati

La ricerca indaga un campione composto in particolare da Millennials (72,4%) e da over 45 (22%). In 2 casi su 3 si tratta di laureati (laurea triennale o magistrale), ma oltre la metà dei restanti ha comunque intrapreso il percorso universitario dopo il diploma anche se senza concluderlo. Il 15% ha, inoltre, concluso un master post-laurea. Secondo i risultati, le aziende della comunicazione italiane vivono un ambiente di lavoro inclusivo e collaborativo, dove le persone possono contare l’una sull’altra. Oltre l’80%, infatti, ritiene di poter contare sui colleghi in caso di difficoltà. Sebbene sia un ambiente in cui le donne rappresentano la maggioranza della forza lavoro (59,8%), si evidenzia un dato di percezione più basso di 8 punti rispetto ai benchmark di riferimento di Gptw, che diventano 16 nel campione femminile. Alta concentrazione nel Nord Italia (81%) con Milano capitale della comunicazione (56% dei rispondenti).

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Oltre l’80% dei rispondenti ha un contratto a tempo indeterminato e nella quasi totalità dei casi full time, di nuovo in linea con i precedenti dati UNA. Un intervistato su tre è un dipendente senza responsabilità di persone mentre i responsabili sia di primo (supervisione persone) che di medio livello (gestione reparti ma non in board) sono complessivamente il 35%. All’interno del campione, ceo e dirigenti nel board con riporto diretto al ceo rappresentano una quota significativamente maggiore rispetto a quanto evidenziato dalle precedenti rilevazioni: per consentire una migliore interpretazione dei dati, si è deciso di scorporare questo gruppo dal resto dei rispondenti per tutte le valutazioni relative al top management.

Restano, inoltre, alcune criticità all’interno dei board, nonostante si rilevi una maggiore presenza rosa rispetto a molte altre realtà e industry italiane, in base al precedente osservatorio e in confronto con il panel Gptw. La diversità percepita nel management è un aspetto più critico per le donne, che per il 24,1% si dichiarano in disaccordo contro il 16,9% degli uomini. L’inclusione rispetto all’orientamento sessuale, origine etnica e disabilità è percepita come compiuta, ma non ancora sul fronte del genere, culturalmente più esposto ai carichi e alle responsabilità connessi alla famiglia.

Il work-life balance rappresenta uno dei punti più critici: sono meno della metà i lavoratori della comunicazione che percepiscono la propria azienda impegnata a incoraggiarlo, con una significativa disparità tra piccole realtà molto virtuose e medio-grandi aziende (51-200 addetti), con un divario di genere: sono il 54,6% gli uomini che riconoscono l’impegno dell’azienda in tal senso, contro il 43,5% delle donne, una percentuale significativamente inferiore. Questo è un tema molto sentito dalle giovani generazioni, in particolare della fascia 25-34 anni. Le società di consulenza hanno una percezione meno positiva in termini di supporto al bilanciamento tra lavoro e vita personale, rispetto alle grandi aziende, dove i ritmi di lavoro e gli strumenti messi a disposizione sembrano aiutare di più le persone nel trovare un proprio equilibrio.

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La soddisfazione per l’equilibrio tra vita lavorativa e privata incoraggiato dalle aziende è infatti significativamente maggiore nelle piccole imprese mentre diminuisce all’aumentare della dimensione aziendale, pur riconoscendo alle grandi aziende (200+ addetti) la disponibilità a fornire strumenti di conciliazione, riconosciuti più presenti nelle agenzie media e di social media management. Le aziende fra 51 e 200 dipendenti sono quelle dove emergono maggiori criticità. Tra i più presenti strumenti di conciliazione dopo la pandemia c’è sicuramente lo smart working, attivato dalla maggior parte delle organizzazioni (89%), trasversalmente a tutte le dimensioni aziendali e dalla totalità delle aziende con oltre 200 addetti. Da notare tuttavia come la misura non rappresenti una peculiarità del settore: tra le aziende dell’osservatorio di Great Place To Work, ben il 98% attiva qualche forma di smart-working, e il 45% non ha posto limiti o regole stringenti rispetto alle modalità di organizzazione, lasciando al rapporto capo-collaboratori la gestione delle modalità di lavoro smart.

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Nell’ottica del bilanciamento fra lavoro e vita privata, la possibilità di attivare lo smart working appare come una possibilità decisamente importante (81%) nello scegliere il posto di lavoro. In particolare, la presenza dello smart working costituisce un fattore deter- minante soprattutto per le donne (86,4%), ma vi è comunque una significativa percentuale di uomini (72,2%) che lo ritiene un valore aggiunto nella scelta della realtà lavorativa. L’interesse per questo strumento nella scelta dell’azienda risulta piuttosto trasversale e pesa maggiormente nelle fasce d’età centrali fra i 25 e i 54 anni.

Il settore è percepito come un ambiente stimolante in termini di proattività e confronto, atto alla valorizzazione, ma che di compenso non è adeguatamente remunerato. La percezione di una retribuzione equa è una nota dolente abbastanza condivisa anche dalle aziende dell’osservatorio di Gptw, ma è un tema particolarmente caldo per il settore, specialmente in rapporto alle grandi aziende. A dimostrarsi marcatamente più insoddisfatte sono le donne, in disaccordo con l’equità della retribuzione per il lavoro svolto il 46,6% della componente femminile rispetto al 34,8% dei colleghi maschi.

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Le principali aree di opportunità che rendono il settore della comunicazione attrattivo sono la valorizzazione del contributo dei singoli, la fiducia nel management e la chiarezza del percorso di carriera. Dall’analisi emerge una cauta fiducia nel management non tanto per il comportamento, percepito come onesto ed eticamente corretto dal 64,1%, quanto per una visione relativamente critica della competenza gestionale, riscontrata pienamente solo dal 18,4%, mentre il 38,6% dei rispondenti esprime caute o evidenti criticità (dati al netto dei CEO). In particolare, emerge un quadro sostanzialmente positivo, ma non di lungo periodo. Le aziende della comunicazione sono un posto in cui si lavora con piacere (65,2%), in cui si è orgogliosi di lavorare (64%), in cui si consiglierebbe di entrare (64,8%) e in cui si tornerebbe a fare domanda di assunzione (62%) ma in cui non rimanere a lungo: solo 1 persona su 4 immagina di restare nell’attuale posto di lavoro per più di 5 anni, la maggioranza (33.3%) immagina di continuare a lavorare per l’azienda per un periodo medio di 3 anni mentre è decisamente alta la percentuale di coloro che immaginano di cambiare entro un anno: 30,7%. Ciò sottolinea la criticità delle aziende della comunicazione nel garantire la realizzazione del potenziale delle persone e rappresentare un percorso di carriera soddisfacente con buone prospettive per il futuro.

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Nota positiva per l’ambiente di lavoro delle agenzie di comunicazione, caratterizzato dalla valorizzazione di un atteggiamento proattivo, riconosciuto da oltre l’80% degli intervistati, e dalla diffusa percezione di poter affrontare argomenti potenzialmente conflittuali sia nel team sia con i superiori. Inoltre, è ampiamente diffusa la sensazione di essere apprezzati per il proprio lavoro e impegno, supportata da una concreta comunicazione da parte dei responsabili. Anche il confronto con i benchmark di Gptw conferma che la capacità da parte delle agenzie di riconoscere e apprezzare l’impegno e il contributo delle persone sono punti positivi della cultura organizzativa del settore. l’equità della retribuzione, invece, resta un nodo problematico: analizzando i dati al netto dei ceo, la metà delle persone non conviene che le persone vengano pagate in modo equo per il lavoro che svolgono, a fronte di un 6,9% di completamente d’accordo.

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