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Noseda (M+C Saatchi): “Per colmare il digital divide bisogna fare cultura”

Al co-fondatore di M+C Saatchi Milano (questo il nuovo nome dell'agenzia dopo il rebranding) CEO di M+C Saatchi Europe e presidente di IAB ITALIA viene assegnato il premio dell’editore ‘ambasciatore della comunicazione digitale’ agli NC Digital Awards 2024 come personalità che meglio ha saputo promuovere il valore culturale ed economico della comunicazione presso l’opinione pubblica e le istituzioni. All’insegna di un pensiero ‘brutally simple’ che sappia colmare il digital divide. L'intervista integrale al manager, che qui pubblichiamo, è inserita all'interno del numero di novembre, dicembre e gennaio 2025 di NC - Nuova Comunicazione, che qui pubblichiamo.

Nelle scuole dovrebbero insegnare la cultura del digitale proprio come una volta veniva insegnata l’educazione civica. È fondamentale diffondere la consapevolezza del mezzo per imparare a sfruttarlo al meglio, senza rischiare di spegnere il cervello o di viverlo in modo bulimico”. A ricevere il Premio dell’Editore agli NC Digital Awards 2024 come ‘Ambasciatore della Comunicazione Digitale’ è stato Carlo Noseda, membro dell’executive leadership team globale di M+C Saatchi, co-fondatore e ceo M+C Saatchi Milano, che è stato intervistato all'interno del numero di novembre, dicembre e gennaio 2025 di NC - Nuova Comunicazione, che qui pubblichiamo.

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Il premio viene assegnato alla personalità che meglio ha saputo promuovere il valore culturale ed economico della comunicazione presso l’opinione pubblica e le istituzioni. Dal 2014, Noseda è anche presidente di Iab Italia: il manager ha saputo trasformare l’associazione da una categoria di settore a una vera e propria associazione di filiera, capace di rappresentare l’intero sistema della comunicazione digitale italiana, caso unico nel Paese. Sotto la sua guida, Iab Forum, l’evento di riferimento per l’interactive advertising, ha ampliato la sua portata oltre i confini della pubblicità, diventando un punto di riferimento multidisciplinare per l’innovazione e la divulgazione della cultura digitale. Nel suo ruolo, Carlo ha anche promosso le competenze digitali attraverso eventi come la Milano Digital Week, che ha ideato e fondato e, recentissimo, Intersections, il nuovo evento dedicato al mondo del marketing, della creatività e della tecnologia nato dalla fusione tra Iab Forum e IF! Italians Festival. Ha inoltre rafforzato i rapporti tra Iab Italia e le Istituzioni, collaborando su temi centrali come la privacy, la misurazione del digital advertising, l’etica, la responsabilità e la sostenibilità digitale. Il suo lavoro è fonte di ispirazione per tutti coloro che fanno comunicazione.

 

Il premio è assegnato alla personalità che meglio ha saputo promuovere il valore culturale ed economico della comunicazione. Cosa significa, oggi?

Innanzitutto, credo che il premio sia un’occasione meravigliosa di condivisione: avere gente in una sala ‘costretta’ ad ascoltarti per due ore senza rispondere al telefono, è un lusso. È un po’ come tornare alla passivi- tà davanti al televisore quando ci si sedeva con tutta la famiglia a guardare le trasmissioni, ascoltandole e commentandole, senza skippare. Tornando alla comunicazione, mi sono dato l’obiettivo di contribuire alla diffusione della cultura digitale nel nostro Paese. Comunicare è una responsabilità enorme e troppo spesso ci dimentichiamo che facciamo un mestiere importantissimo perché con i nostri messaggi cambiamo la percezione dei prodotti, possiamo addirittura migliorare la vita delle persone, ma anche peggiorarla.

La comunicazione deve finire nelle mani giuste, a maggior ragione nel tempo presente e futuro dove siamo tutti chiamati a ‘promptare’ con l’intelligenza artificiale e, quindi, a porre le giuste domande. Fare domande è più difficile che cercare su Google. Ho due figli di 16 e 15 anni e dico sempre che noi siamo la generazione che cercava sulla Treccani o su internet, mentre loro saranno la generazione dei filosofi che si farà tante domande e che ne farà tante. E se non sai fare domande, sei tagliato fuori.

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Cosa ne pensa del ruolo dell’Intelligenza Artificiale?

Penso che tra meno di un anno ci guarderemo indietro e ci chiederemo come abbiamo fatto a non sfruttarla prima. È un po’ come se oggi ci chiedessero come si lavora senza le e-mail, sembra che ci siano da sempre. Invece 20 anni fa mandavamo report e preventivi via fax, pare fantascienza. Credo quindi che sia un’opportunità enorme, uno strumento che consente di agire in meno tempo e meglio. Certo, bisogna avere le skill. Ecco perché con Iab facciamo in modo che le aziende sappiano quali sono le opportunità che il digitale offre e con l’agenzia facciamo in modo che i nostri clienti le sfruttino appieno, nel nostro ruolo di connettori.

 

Dal 2014 lei è alla guida di Iab Italia. Com’era l’associazione quando è arrivato e a che punto è oggi? Quando sono entrato era una ‘riga’ del piano media e adesso è la ‘colla’ del piano media, nel senso che se una volta c’erano above the line, below the line e digital, adesso tutto è digital e non si può prescindere dall’usarlo per connettere tutti i puntini. Quindi se prima IAB era un’associazione di categoria, adesso è nevralgica perché racchiude tutte le categorie. Non è un caso che il nostro Iab Forum sia diventato Intersections e che l’anno prossimo avremo a bordo anche Upa. Quando sono entrato Iab si rivolgeva principalmente alla filiera dei servizi del digitale mentre oggi è espressione di tutti gli attori di domanda e offerta. Inoltre, è un’associazione con un team di gente bravissima a interpretare il cambiamento e a fare eventi. Siamo dei ‘google translator’ di ciò che sta succedendo, decodifichiamo il cambiamento e lo somministriamo attraverso le nostre attività.

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 Ha citato Intersections. Come nasce?

Nasce perché detestiamo gli sprechi. Non esiste solo una sostenibilità ecologica, ma esiste anche una sostenibilità di business, del creare e sfruttare format che dureranno a lungo. Quando Iab Forum è arrivato a un punto di maturità impensabile, insieme agli altri presidenti ci siamo resi conto che era interessante incrociare idee e pensieri, anche se diversi. Anzi, meglio se diversi. Anziché fare tante rette parallele, abbiamo deciso di intersecarci per vedere che succede. E succedono cose molto belle.

 

Come nasce invece la Milano Digital Week?

Nasce qualche anno fa grazie al rapporto con l’assessore alla Trasformazione Digitale del Comune di Milano Roberta Cocco. Dopo la Design Week e molte altre ‘week’, sembra scontato averla ideata. Ma credetemi, è facile avere idee ma non è facile metterle a terra. La Digital Week è un altro piccolo tassello di un disegno semplice e coerente per far sì che tutti possano conoscere il mondo del digitale. Perché il vero digital divide culturale... Siamo in un Paese in cui gli amministratori delegati stampano ancora le mail!

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Lei in questi anni ha avuto anche il merito di rafforzare il legame con le istituzioni...

Non è facile perché governi e parlamentari cambiano alla velocità della luce e ogni volta si ricomincia da capo. Ma, nei momenti chiave, siamo riusciti a stabilire dei punti di sviluppo, come la regolamentazione del lavoro degli influencer, della web tax e altri temi cruciali. C’è da dire che siamo molto più ascoltati rispetto a quanto non lo fossimo prima. E la Milano Digital Week è un esempio perfetto di un lavoro fatto in tandem con le istituzioni.

 

Quale contributo pensa di aver dato alla crescita della cultura digitale nel settore?

Mi piacerebbe che lo dicessero gli altri. Diciamo che credo di non aver mai rappresentato ‘una parte’, ma di aver sempre cercato di rappresentare ‘il tutto’ in modo libero. E di essere riuscito ad aprire le porte di Iab generando dei vasi comunicanti, mentre prima era un’associazione più autoreferenziale.

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Lei ha affermato che il digitale alimenta il pensiero Brutally Simple. Cosa significa?

Oggi in comunicazione bisogna essere semplici perché siamo bombardati dai messaggi. Quando compriamo i prodotti non ci sono nemmeno più le istruzioni, tutto deve essere intuitivo. E quindi, anche la gamification deve essere estremamente intuitiva. ‘Brutalità’ è termine forte, ma bisogna saper essere brutalmente semplici. Anche perché oggi è cambiato tutto: solo 15 anni fa lavoravamo per mesi sulla strategia di una campagna che veniva prodotta in altri mesi e sganciata come una bomba. Solo dopo mesi di on air della campagna si valutavano i risultati di vendita e l’awareness. Adesso tu lo fai in un giorno: prendi un messaggio, lo crafti, lo butti online, ci metti un po’ di media e vedi subito il canale che performa meglio. Sembra fantascienza. E con l’AI sarà ancora più immediato. Che ruolo avranno dunque, le agenzie? Quello di educare i clienti a sfruttare queste opportunità al meglio. Se ci opponiamo, veniamo cancellati.

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Quale valore hanno le risorse umane per lei e per l’azienda in cui opera?

L’essere umano è un bene prezioso, quello che fa la differenza in una standardizzazione di processi è l’imperfezione. Siamo la magia dell’unscripted, come dicono gli inglesi, in un mondo i cui tutto sarà scripted. La tecnologia non può sbagliare, noi sì. Dovremmo reintrodurre il lusso di poter sbagliare. Qui se fallisci sei bollato a vita. Gli americani in questo sono diversi, ti insegnano a sbagliare e si aspettano che tu abbia fallito. I luoghi di lavoro devono essere palestre dove si può allenare l’agilità di pensiero. I nostri genitori facevano un lavoro in una vita intera. Noi faremo tre lavori in una vita. I nostri figli faranno tre lavori contemporaneamente, ciò nello stesso istante, con più cantieri aperti. Io a chi è in agenzia dico sempre: “tu non lavori per M+C Saatchi, tu lavori con M&C Saatchi. Siamo un software a tua disposizione per permetterti di fare bene le cose, come una membership, non un datore di lavoro. Questo è il futuro del nostro modo di lavorare e l’AI si innesta in tale contesto”.

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Quali consigli per chi volesse intraprendere un mestiere come il suo?

Il primo è quello di pensarci bene perché è totalizzante, diventa la tua vita. È un privilegio enorme perché ogni giorno fai mille cose diverse e sei aggiornato su tutto, però devi essere non curioso. Curiosissimo. Devi studiare, farti opinioni su tutto, dal ristorante appena aperto alla nuova tecnologia. Non lo spegni, questo mestiere. Qualsiasi cosa faccio durante il giorno, la collego al mio lavoro, non esiste una disconnessione, unisco sempre i puntini. E si vede se non ti piace ‘servire’: siamo dei ristoratori anche noi, devi saper far sedere a tavola il tuo cliente e capire cosa gli piace e cosa non gli piace. Concedendoti il lusso di cambiare idea. Questo concetto è per me fondamentale. Oggi se cambi idea sei ritenuto uno sfigato. Ma siamo sicuri che chi cambia idea sia un perdente? Magari si dà del tempo per valutare più aspetti. Non è detto che il decisionista sia sempre vincente. In un mondo in costante e velocissima evoluzione, dobbiamo sentirci liberi di cambiare idea. Sempre.

SERENA ROBERTI