Editoriale
Space Available Here. Quella cosa informe che chiamiamo pubblicità
Nella sua rubrica Pasquale Diaferia si esercita nella parodia di un pezzo di Giuseppe Genna che ha fortemente criticato l'assetto politico e istituzionale della ex capitale morale. Diaferia prova ad applicare la stessa visione all'industry dela pubblicità, traendo le sue conclusioni. "E se Genna afferma che “l’imitazione del fallimento è un’opera difficile”, mi permetto di concludere in modo altrettanto secco: per chi ha guidato la nostra Industry, dimostrare che il loro fallimento sia di successo risulterà davvero impossibile".
Venerdì scorso Internazionale ospita un bel pezzo di Giuseppe Genna (http://www.internazionale.it/opinione/giuseppe-genna/2014/11/21/quella-cosa-informe-che-ci-ostiniamo-a-chiamare-milano): una visione lucida e critica che lo posiziona come l’Arbasino del nuovo millennio. Nel frattempo il sottoscritto, in modo assolutamente più modesto, stava riflettendo su come la capitale della pubblicità, come quella morale, abbia altrettanto calpestato il suo potenziale, gettando alle ortiche talento, creatività, risorse economiche.
Dice Genna che sono le istituzioni ad aver frantumato la città. Come esempio di sintesi, la giunta Maroni lascia vuoti diecimila appartamenti di edilizia popolare mentre quella opposta di Pisapia svuota con i manganelli le case occupate a puro scopo preventivo (le elezioni si avvicinano pericolosamente, checchè se ne dica). Allo stesso modo tutte le maggiori associazioni ed istituzioni del nostro mestiere, perfino quelle digitali, hanno lasciato negli ultimi dieci anni che la televisione svuotasse lo sviluppo del digitale, per puro reciproco interesse di bottega. Strano che adesso il risveglio sia duro, con i 100 digital champions nominati da Renzi che arrivano da tutti gli ambienti, meno che dalle nostre associazioni di agenzie e di creativi.
Le stesse associazioni che cercano di recuperare l’irrilevanza accumulata in questi fatidici ultimi dieci anni. Non si usano i manganelli, ma la violenza pare essere la stessa: per esempio chiudendo liste di discussione storiche, svuotando d'imperio spazi su cui hanno scritto Baldoni, Barbella e Pirella.
Oppure organizzando manifestazioni di tre giorni in prestigiosi teatri a cui invitare solo sodali, in cui stringersi le mani tra amici e fratelli, cercando di ricordarsi a vicenda di essere vivi e provando a contarsi vicendevolmente. Peccato che poi nessuno degli invitati che contano, politici, clienti, ceo e giornalisti, dedichi qualche minuto di presenza ad eventi così decisivi.
Nel frattempo, il gruppo Wpp, che dalla maggiore associazione di agenzie è uscito da un pezzo, organizza in un piccolo campo da tennis coperto un fenomenale seminar. Basta mezza giornata, con la sobrietà dei ricchi di lunga pezza. Arrivano governatori, presidenti di commissioni parlamentari, editorialisti, ambasciatori. E clienti, clienti a non finire. Sir Martin Sorrel, il Ceo più Ceo di tutti, dimostra cosa significa essere rilevanti ed influenti. Ricorda al paese che la sua reputazione è in pericolo, se non si interviene sul serio. Ed alla nostra comunità che il futuro è fatto di mercati emergenti, digitale, big data. Non di analogico e relazioni pericolose, aggiungo io.
Supportato dai suoi uomini, il successo dell’incontro del Boss di Wpp dimostra che è inutile continuare a frenare l’innovazione. E’ inutile cercare di riportare indietro il tempo, proponendo analisi sulle cose che sono successe e che tutti conoscono: quelle che stanno succedendo sono molto più importanti. E’ inutile tentare di stabilire cosa è di qualità: è il concetto stesso di qualità che sta cambiando. In questo, dopo dieci anni di mia orgogliosa indipendenza e di netto rifiuto delle gestioni puramente finanziarie della creatività, riconosco la vera utilità dell’essere un Grande Gruppo Globale di Comunicazione. Significa avere tre cose fondamentali: la capacità di programmare, la visione per influenzare il futuro, le risorse per imporre il cambiamento. Significa avere qualcosa da proporre, in opposizione al “nulla generato da questo ultimo decennio”.
Dallo stesso nulla, per citare ancora Genna, nasce lo sfascio sia della Milano sociale che di quella pubblicitaria: lo testimoniano le incapacità a livello politico, come le irrilevanze di chi ha guidato la nostra Industry in posizioni chiave. E’ venuto il momento, per molti finti dirigenti ed altrettanti presunti guru, che hanno usato le loro posizioni dominanti per mantenere vivi solo i propri interessi, di rendersi conto che è il caso di spostarsi di lato. Meglio non insistere nel goffo tentativo di trasformare l’irrilevanza in magnifiche sorti e progressive.
E se Genna afferma che “l’imitazione del fallimento è un’opera difficile”, mi permetto di concludere in modo altrettanto secco: per chi ha guidato la nostra Industry, dimostrare che il loro fallimento sia di successo risulterà davvero impossibile.
(pasquale diaferia Twitter @pipiccola)
Dice Genna che sono le istituzioni ad aver frantumato la città. Come esempio di sintesi, la giunta Maroni lascia vuoti diecimila appartamenti di edilizia popolare mentre quella opposta di Pisapia svuota con i manganelli le case occupate a puro scopo preventivo (le elezioni si avvicinano pericolosamente, checchè se ne dica). Allo stesso modo tutte le maggiori associazioni ed istituzioni del nostro mestiere, perfino quelle digitali, hanno lasciato negli ultimi dieci anni che la televisione svuotasse lo sviluppo del digitale, per puro reciproco interesse di bottega. Strano che adesso il risveglio sia duro, con i 100 digital champions nominati da Renzi che arrivano da tutti gli ambienti, meno che dalle nostre associazioni di agenzie e di creativi.
Le stesse associazioni che cercano di recuperare l’irrilevanza accumulata in questi fatidici ultimi dieci anni. Non si usano i manganelli, ma la violenza pare essere la stessa: per esempio chiudendo liste di discussione storiche, svuotando d'imperio spazi su cui hanno scritto Baldoni, Barbella e Pirella.
Oppure organizzando manifestazioni di tre giorni in prestigiosi teatri a cui invitare solo sodali, in cui stringersi le mani tra amici e fratelli, cercando di ricordarsi a vicenda di essere vivi e provando a contarsi vicendevolmente. Peccato che poi nessuno degli invitati che contano, politici, clienti, ceo e giornalisti, dedichi qualche minuto di presenza ad eventi così decisivi.
Nel frattempo, il gruppo Wpp, che dalla maggiore associazione di agenzie è uscito da un pezzo, organizza in un piccolo campo da tennis coperto un fenomenale seminar. Basta mezza giornata, con la sobrietà dei ricchi di lunga pezza. Arrivano governatori, presidenti di commissioni parlamentari, editorialisti, ambasciatori. E clienti, clienti a non finire. Sir Martin Sorrel, il Ceo più Ceo di tutti, dimostra cosa significa essere rilevanti ed influenti. Ricorda al paese che la sua reputazione è in pericolo, se non si interviene sul serio. Ed alla nostra comunità che il futuro è fatto di mercati emergenti, digitale, big data. Non di analogico e relazioni pericolose, aggiungo io.
Supportato dai suoi uomini, il successo dell’incontro del Boss di Wpp dimostra che è inutile continuare a frenare l’innovazione. E’ inutile cercare di riportare indietro il tempo, proponendo analisi sulle cose che sono successe e che tutti conoscono: quelle che stanno succedendo sono molto più importanti. E’ inutile tentare di stabilire cosa è di qualità: è il concetto stesso di qualità che sta cambiando. In questo, dopo dieci anni di mia orgogliosa indipendenza e di netto rifiuto delle gestioni puramente finanziarie della creatività, riconosco la vera utilità dell’essere un Grande Gruppo Globale di Comunicazione. Significa avere tre cose fondamentali: la capacità di programmare, la visione per influenzare il futuro, le risorse per imporre il cambiamento. Significa avere qualcosa da proporre, in opposizione al “nulla generato da questo ultimo decennio”.
Dallo stesso nulla, per citare ancora Genna, nasce lo sfascio sia della Milano sociale che di quella pubblicitaria: lo testimoniano le incapacità a livello politico, come le irrilevanze di chi ha guidato la nostra Industry in posizioni chiave. E’ venuto il momento, per molti finti dirigenti ed altrettanti presunti guru, che hanno usato le loro posizioni dominanti per mantenere vivi solo i propri interessi, di rendersi conto che è il caso di spostarsi di lato. Meglio non insistere nel goffo tentativo di trasformare l’irrilevanza in magnifiche sorti e progressive.
E se Genna afferma che “l’imitazione del fallimento è un’opera difficile”, mi permetto di concludere in modo altrettanto secco: per chi ha guidato la nostra Industry, dimostrare che il loro fallimento sia di successo risulterà davvero impossibile.
(pasquale diaferia Twitter @pipiccola)