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Intelligenza artificiale: un’opportunità per crescere, ma servono dati e obiettivi chiari. I chatbot l’applicazione al momento più diffusa. Zampori (Quantcast): “Ci sono tutte le condizioni per uno sviluppo esponenziale della AI”
Assistenti virtuali, vetture a guida autonoma, robot: le possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale sono tantissime e alcune sono già entrate nell’uso comune. Come si stanno muovendo le aziende nei confronti di questo tema che pare destinato a impattare in futuro in modo ancora più importante sulla nostra società? Sono pronte a cogliere tutte le opportunità offerte dall’AI?
Per rispondere a queste e ad altre domande Quantcast ha organizzato questa mattina, 11 maggio, a Milano, Nova, evento volto proprio a tracciare lo stato dell’arte dell’applicazione dell’intelligenza artificiale, nonché il sentiment che attualmente caratterizza gli individui e le aziende in merito all’argomento.
Da un’indagine commissionata da Quantcast a Toluna emerge che il 47,54% degli intervistati ritiene che l’impiego dell’intelligenza artificiale possa rendere la società migliore. Il 13,88% si sbilancia e afferma che la società diventerà “decisamente migliore”. Tuttavia il 47,25% del campione si dichiara preoccupato vedendo nelle macchine una possibile minaccia per il proprio posto di lavoro e il 43,69% teme di perdere il controllo della propria vita a causa delle macchine.
Opinioni contrastanti, che testimoniano quanto non ci sia ancora una visione chiara dell’argomento, almeno da parte delle persone comuni. “In realtà si è già parlato molto di intelligenza artificiale negli anni ’60-’70 -ha affermato Massimo Sideri, editorialista del Corriere della Sera e responsabile di Corriere Innovazione -, ma oggi grazie all’incredibile aumento della potenza di calcolo dei pc e ai big data abbiamo ragione di credere che le sue applicazioni possano avere uno sviluppo importante”.
In effetti, dai risultati di una ricerca realizzata dall’Osservatorio AI del Politecnico di Milano su un campione di 721 organizzazioni per valutare l’impiego dell’intelligenza artificiale a livello di business, si nota come siano già 8 le classi di soluzioni di artificial intelligence già introdotte dalle aziende: veicoli autonomi (7%), robot autonomi (4%), oggetti intelligenti (7%), virtual assistant/chatbot (25%), motori di raccomandazione (10%), image processing (8%), language processing (4%), intelligent data processing (35%).
“Escludendo le soluzioni che utilizzano algoritmi di intelligenza artificiale per estrarre informazioni utili dai dati appare chiaro che al momento l’applicazione maggiormente diffusa dell’AI è costituita dalla messa a punto di chatbot, anche se non sempre progetti di questo tipo vengono approcciati in modo maturo – ha spiegato Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano -. In generale, l’Italia risulta essere un po’ in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Guardando ai diversi settori merceologici, si nota come attualmente siano il banking/insurance e l’automotive i più avanzati sul fronte dell’impiego dell’AI”.
Ma che cosa ci vuole per realizzare soluzioni di intelligenza artificiale? Matteo Rossanigo, Group Digital and Innovation Office Manager del Gruppo Mediobanca, ha puntato l’attenzione sui dati, la materia prima da cui non si può prescindere. “Gli algoritmi (voice recognition, image recognition etc., ndr.) sono delle commodity, a fare la differenza sono i dati e le tipologie di applicazioni che si sviluppano a partire da questi, che nel banking si focalizzano prevalentemente sul consumatore”, ha commentato il manager, sottolineando come il machine learning, se correttamente utilizzato, permetta di raggiungere risultati davvero significativi e rilevanti.
Nonostante la grande mole di dati a disposizione, o forse proprio per questo motivo, mettere a punto soluzioni efficaci di intelligenza artificiale è tutt’altro che banale. Lo ha sottolineato nel suo intervento Konrad Feldman, Ceo e co-fondatore di Quantcast.
“Non tutti i dati sono utili, capire quali sono quelli che derivano da solide basi non è facile, inoltre i dati da soli non sono sufficienti – ha dichiarato il manager -. Lo stesso può dirsi per la tecnologia: le aziende tendono a investire subito nelle nuove tecnologie che arrivano sul mercato, per poi rendersi conto a posteriori che i loro investimenti sono stati inutili perché la tecnologia per la tecnologia non porta a nulla. Per questo è fondamentale avere una visione chiara. Non solo: è indispensabile fissare degli obiettivi ben definiti, altrimenti si rischia di disperdere risorse, economiche e non, senza ottenere risultati apprezzabili”.
Se utilizzato nel modo giusto il machine learning può aumentare lo human learning, permettendo agli individui di automatizzare tutte le operazioni ‘tattiche’ convogliando le proprie energie in attività più strategiche e creative.
Un concetto espresso anche da Ilaria Zampori, general manager di Quantcast Italia, che ha sottolineato come quello in cui ci troviamo è un punto di svolta per l’intelligenza artificiale, dal momento che sussistono tutte le condizioni per una sua crescita esponenziale.
“L’AI rappresenta un’opportunità di crescita reale, quindi dobbiamo sfruttare tutte le possibilità per costruire una strategia a lungo termine – ha detto la manager - . Il business può ricevere nuova linfa dall’impiego dell’intelligenza artificiale: essa consentirà di intercettare nuovi consumatori, offrirà l’opportunità di mettere a punto messaggi sempre più personalizzati e proteggerà i brand fornendo un aiuto concreto alle imprese nell’individuazione dei comportamenti fraudolenti”.
D’altra parte, la strada sembra già tracciata e non sembra esserci altra soluzione che quella di cavalcare la tigre. “La tecnologia sta letteralmente sconvolgendo il marketing. Basti pensare che il fatturato di 259 delle 500 aziende della classifica stilata da Fortune diminuisce a un tasso medio del 9%, nonostante gli ingenti investimenti in marketing e advertising”, ha detto la manager.
Come invertire questo trend? La figura del chief marketing officer deve trasformarsi in chief growth officer.
“In un panorama che vede le audience sempre più frammentate, bisogna imparare a fare audience planning – ha affermato Zampori -. Inoltre le imprese devono tornare a essere connesse ai loro consumatori. Nel 2017 l’investimento sugli OTT è stato pari al 71% del budget totale investito in online advertising, ma solo il 35% del totale tempo speso online viene trascorso sui colossi della rete, Amazon, Facebook e Google. Una chiara dimostrazione di come sia necessaria una conoscenza più approfondita degli utenti/consumatori”.
“Inoltre, proprio grazie all’impiego di machine learning e intelligenza artificiale, le imprese possono riuscire nel difficile compito di tradurre i dati disponibili in insight”, ha chiosato Zampori.
Senza dubbio una bella sfida, che tuttavia le aziende, se vogliono salvaguardare il proprio business, non possono esimersi dall’accettare.
Giorgio Guardigli, CMO di ePrice, ha portato sul palco una case history realizzata con Quantcast a dimostrazione di quanto sia determinante affidarsi ad un partner di fiducia proprietario di una tecnologia AI-driven altamente avanzata ed efficace. Grazie all’AI si possono infatti creare modelli customerizzati su audience specifiche incrementando il ROI e ottenere preziosi insight che consentono di identificare una nuova audience potenziale.
A concludere l’evento Ivan Capelli, pilota F1 e commentatore televisivo F1, che ha condiviso con gli ospiti la sua esperienza in qualità di driver e la sua visione sulle più recenti possibilità di impiego dell’intelligenza artificiale per strategie sempre più vincenti e altamente performanti anche in Formula 1. Un intervento che ha mostrato al pubblico in sala la straordinaria evoluzione vissuta dal mondo delle monoposto grazie alla tecnologia.
Serena Piazzi


