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Above e below the line, la differenza non esiste più: agli utenti non interessa. Il tema al Bea Festival

Della sfida che il digital pione alla industry hanno parlato Marco Girelli, ceo Omnicom Mediagroup, e Francesca Lomuscio, creative director dell'agenzia.

L'evoluzione del settore degli eventi, al centro di questa edizione del Bea Festival, si inserisce nel più ampio cambiamento radicale del mondo della comunicazione in generale. Per questo è stato chiamato a intervenire al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia 'Leonardo da Vinci' di Milano un esperto di questo ambito, Marco Girelli, ceo di Omnicom Group in Italia. Nel suo intervento intitolato 'L'event industry, sempre più asset strategico per l'impresa', il manager ha fornito un'interessante analisi delle opportunità, ma anche dei rischi legati al nuovo scenario in cui ci troviamo.

 

“La storia comincia anni fa quando il settore della comunicazione grazie al mondo digitale passa da un approccio basato sulle dichiarazioni all'osservazione diretta dei comportamenti – ha spiegato il manager -. Siamo quindi entrati nel sogno del 'real time', della possibilità di intervenire in tempo reale sulle iniziative che stiamo conducendo a seconda della risposta che esse ricevono. E abbiamo soprattutto capito che bisogna dare una comunicazione diversa a seconda dei momenti, e che è importante dire la cosa giusta al momento giusto”.

 

In questo contesto sono nati diversi approcci, primo fra tutti l'addressability ad scale, la possibilità cioè di riuscire a sottoporre individualmente messaggi personalizzati su scala allargata. Ma non basta. “In questi anni sono successi altri due fenomeni importanti – ha continuato Girelli -: uno è che sta persistendo fra i clienti la convinzione, nata in un periodo di forte rallentamento economico, che si possano ottenere gli stessi risultati spendendo meno. L'altro è la crescita in potenza della tecnologia, che rende oggi possibili azioni inimmaginabili fino a qualche anno fa”.

 

Non mancano, però, i problemi legati a un contesto così complesso. Il primo è il fatto che la programmazione delle campagne è ancora effettuata in larga parte con modalità analogiche. “Più del 60% degli investimenti pubblicitari ancora oggi vanno su mezzi che seguono logiche operative di vent'anni fa, come la tv, la stampa, l'affissione – aggiunge -. Questa è senza dubbio è un grande limite per operare oggi”.

 

Il secondo aspetto critico è costituito dalla difficoltà di trasformare le misurazioni e i dati a oggi disponibili in decisioni strategiche. “Oggi i clienti chiedono di comprendere come cambiare le cose in base a quello che i dati ci fanno capire – continua -. Ma non è certo una passeggiata: non dobbiamo avere l'ossessione della precisione, ma dobbiamo invece passare dall'autorità del dato al riconoscimento del desiderio”.

 

Del mondo degli eventi nello specifico ha parlato poi Francesca Lomuscio, creative director Omnicom Media Group, che ha distinto tre grandi categorie di eventi: i grandi eventi sportivi (Olimpiadi, mondiali), i grandi eventi di intrattenimento e i grandi eventi istituzionali, che culminano con una presentazione (Fashion Week, Festival di Venezia, evento Apple).

“Queste categorie hanno in comune il fatto di di avvenire in un luogo fisico e di godere nei giorni in cui si svolgono di un' attenzione a livello mondiale – ha spiegato Lomuscio -. E condividono la difficoltà di farsi ricordare quando l'attenzione si sposta sul prossimo grande evento”.

 

In questi anni di profondo cambiamento, molti sono gli insegnamenti che si possono trarre da queste tre tipologie. Dalle Olimpiadi del 2012 a Londra e da quelle di quest'anno a Rio è emerso come grazie al digitale sia le persone che i brand vogliano comunicare, dove i primi sono interessati al lato umano che sta dietro all'evento e meno, invece, a quello sportivo e tecnico. “Il must per i brand è quindi umanizzare i contenuti – continua Lomuscio -. Un esempio chiaro è il caso 'The Dilemma' di Heineken, che ha portato alla finale di Champion's League il posizionamento di birra che si beve tra amici”.

 

Per quanto riguarda i grandi eventi di intrattenimento, la tendenza non è più sponsorizzare ma trattare l'evento come un prolungamento dei negozi. “In questi casi non c'è più la divisione fra above the line e below the line ma è un continuo dialogo fra canali diversi – specifica Lomuscio -. Il Coachella Festival in California, ad esempio, ha creato uno spazio fisico con attività di social experience, creando una collezione Coachella in tutto il mondo”.

 

Infine, vi sono gli eventi user generated culture: “una categoria, questa, che evoca qualcosa di classico, ma che sta subendo un cambiamento epocale”. Ciò è evidente nella nuova tendenza sintetizzabile nel concetto 'See now, buy now', che ha rivoluzionato gli eventi di moda: con l'avvento degli smartphone, con cui si condividono in diretta le foto di una sfilata (un tempo eventi ristretti a giornalisti e operatori del settore), e della fast fashion, che rende disponibili a prezzi accessibili capi di moda in tempi ristretti, le aziende di moda hanno dovuto ripensare al proprio modello di business. Tommy Hilfiger, ad esempio ha creato uno spazio in cui oltre alle sfilate c'erano attività e luoghi di intrattenimento, e dove era possibile acquistare subito la collezione oggetto della sfilata. Inoltre, i capi erano subito disponibili anche sul sito web e in 400 negozi nel mondo.

 

“Tutto ciò porta a tre conclusioni – ha concluso Lomuscio -. La prima è che dobbiamo ricordarci il fattore umano. La seconda è che non si può più distinguere fra atl e btl. E, infine, dobbiamo ricordarci che viviamo in un'epoca in cui molti di noi 'vivono' online, e in cui siamo tutti ambassador dei brand, contribuendo a plasmare il valore della marca”.

 

Ilaria Myr