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Live Lions Debate. Creatività, collaborazione, velocità, eguaglianza e inclusività: con queste leve l'industry della comunicazione uscirà più forte dalle tre crisi – sanitaria, economica e sociale – che il mondo sta attraversando

Quali e quanto profonde e durature saranno le conseguenze della crisi parallele che stiamo vivendo sul mercato dell'adv, sulla creatività e sul modello stesso sul quale sono fondate le agenzie: questi i temi affrontati dal Lions Live Debate condotto da Philip Thomas, Chairman dei Cannes Lions, al quale hanno partecipato Lorraine Twohill (Google), Steve Stoute (Translation), David Droga (Droga5), Mark Read (WPP) e Jean Lin (Dentsu Aegis Network).

L’emergenza che abbiamo attraversato e che è tutt’altro che conclusa sta cambiando profondamente la industry pubblicitaria, imponendo nuovi modelli di lavoro per le agenzie e per i marketer. Ma ciò che sicuramente non cambierà è il bisogno di creatività e di talenti capaci di svilupparla. Su questi temi si sono confrontati alcuni professionisti di spicco a livello globale:
Lorraine Twohill (Chief Marketing Officer di Google), Steve Stoute (Founder e Ceo di Translation), David Droga (Founder e Creative Chiarman di Droga5), Mark Read (Ceo di WPP) e Jean Lin (Global Ceo - Creative, Dentsu Aegis Network e Global Executive Chairman di Isobar).

Aprendo il dibattito, Philip Thomas, Chairman di Cannes Lions, ha messo in relazione le tre grandi crisi che il mondo si sta trovando ad affrontare in contemporanea: quella sanitaria del Covid-19, quella direttamente conseguente legata alla recessione economica, e quella sociale e razziale esplosa negli ultimi mesi negli Stati Uniti ma che può essere estesa ad abbracciare il tema della diversità e dell’inclusività anche sotto molti altri punti di vista.


1. La creatività non è in crisi
“La creatività nel mezzo di questa emergenza – ha esordito Mark Read –, è più difficile del ‘normale’ perché occorre fare molta attenzione a ciò che si comunica e a come lo sifa. Ma allo stesso tempo e essere creativi non è mai stato così importante e necessario per emergere ed essere efficaci”.
Secondo David Droga, “Negli ultimi 3 mesi abbiamo visto moltissime campagne ripetitive, basate su stereotipi e cliché: ma questo era vero anche prima del Covid! Questo non vuol dire che a essere in crisi sia la creatività: è il modello di business sul quale si basa l’intera industry ad avere dei problemi”.
Durante qualunque crisi la creatività emerge più rapidamente che mai, ha aggiunto Jean Lin: “Forse non è il genere di lavori o di campagne che vincono premi, ma è una comunicazione che vince sul campo del mondo reale, nella vita dei consumatori, abilitata dai dati e dalla tecnologia ma anche dall’empatia con cui i brand rispondono ai problemi delle persone”.
D’accordo anche Lorraine Twohill: “La pandemia ha rappresentato un catalizzatore che ha accelerato il cambiamento già in atto: oggi realizziamo i progetti in giorni o settimane, non più nell’arco di mesi. Mi auguro che alla fine dell’emergenza non perderemo questa capacità di essere creativi alla stessa velocità, perché vorrà dire che saremo riusciti a riemergere dalla crisi più forti di prima”.

2. L’impatto sul lavoro
Presto o tardi si tornerà a lavorare insieme nei propri uffici, ma “La pandemia ha permesso di scoprire nuovi modi per collaborare, forse non fra nazioni – ha ironizzato Mark Read –, ma sicuramente fra le persone. Uno spirito che penso non dovremo perdere o dimenticare nella nuova normalità”.

Nelle call su Zoom sparisce, o quanto meno diminuisce, la tipica scala gerarchica delle riunioni tradizionali, hanno osservato sia Read che Steve Stoute: “Di fatto, tutti sono maggiormente motivati da questo spirito di collaborazione e tutti hanno lavorato più duramente che mai per risolvere i problemi”.

Solo in parte d’accordo Droga: “È vero che la collaborazione ha trovato nuove strade: ma credo che la creatività nasca dalla ‘collisione’ fra culture diverse, non abbia percorsi lineari, e che il modo in cui ci si confronta e adatta agli altri quando si sta fisicamente insieme dia origine a un’alchimia che può invece essere compromessa proprio dalla mancanza del sentire come gli altri nella stessa stanza, soprattutto i più giovani, pensano e reagiscono alle cose che dici o che fai”.

Secondo Twohill, “Se possibile il lavoro forzato da remoto ha in molti casi avvicinato ancor più i nostri team di quanto già non fosse: vorrei che nella nuova realtà questo aspetto non si perdesse e che si riuscisse a trovare un nuovo equilibrio e una maggior flessibilità che, per esempio, evitino e rendano superfluo il pendolarismo della maggior parte dei nostri addetti”.

3. La necessità di maggior eguaglianza, diversità e inclusione
“Ciò che mi disturba più di ogni altra cosa – ha rimarcato Stoute – è che oggi moltissimi si dichiarano sorpresi di quella che è la realtà che ci circonda, come se non se ne fossero mai accorti prima pur avendola sotto gli occhi. Credo che su questi temi, e in particolare su quello degli afroamericani, ogni brand e ogni agenzia debba avere una policy ben precisa e basata su ciò che la società e le persone si aspettano: di più, questa policy deve essere pubblica, condivisa, misurabile e misurata. È chiaro che le holding dell’advertising da questo punto di vista abbiano storicamente e miseramente fallito: ma sono i brand che devono spingerle in questa direzione obbligandole a essere più responsabili”.

Un fallimento ammesso da Read: “Non è solo un problema americano, come molti credono, ma qualcosa che è particolarmente sentito in tutto il mondo – ha osservato –. Nonostante le nostre migliori intenzioni, l’errore che abbiamo commesso è stato di non porre maggiore attenzione a queste tematiche e di non fare abbastanza concretamente. WPP pubblicherà a brevissimo i suoi
dati in merito, ma non vogliamo che sia vista solo come un’iniziativa della direzione Risorse Umane. Perché il problema è che i pur numerosi programmi avviati non solo si sono rivelati insufficienti in assoluto, ma negli ultimi cinque anni non sono riusciti neppure a spostare lievemente l’ago della bilancia, a incidere sul problema e a fare la minima differenza”.

Non è solo una questione di numeri e percentuali sul totale delle persone assunte, ha ricordato David Droga, ma di talenti che vanno trovati, trattenuti e promossi all’interno delle diverse strutture: “Anziché ‘rubarci’ le persone l’un l’altro, come spesso accade nel nostro settore – ed è un fenomeno totalmente controproducente – dovremmo cercare di ampliare la base dei nostri talenti nel segno dell’inclusività. Ma se non si cambia il sistema, se non cambiamo le organizzazioni, tutto resta aleatorio. Credo e spero che quanto sta venendo fuori con il movimento del °BlackLivesMatter trascenda la pura consapevolezza e abbia la possibilità di innescare un processo virtuoso da questo punto di vista”.

 

Tommaso Ridolfi