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Coronavirus. Louise Beveridge (Gruppo Kering): “Regole e opportunità per prepararsi a gestire i brand nella ‘fase 2’, all’insegna dell’engagement, del digitale e della responsabilità sociale”

Una riflessione sulle nuove regole e opportunità per gestire la comunicazione della marca e prepararsi al ‘dopo crisi’: l’intervento dell’esperta di brand communication Louise Beveridge al webinar organizzato da The European House Ambrosetti ha tratteggiato il nuovo scenario economico e sociale in cui le marche si troveranno ad agire, i linguaggi e le modalità di engagement nei confronti di tutti i diversi stakeholder, un ‘purpose’ più chiaro e definito che vada oltre il puro profitto, e una responsabilità sempre più centrata sull’utilità sociale piuttosto che sulla sostenibilità ambientale.

Ospite di The European House Ambrosetti, per un webinar dedicato alla gestione dei brand durante la crisi, Louise Beveridge, già Senior Vice President Communications del Gruppo Kering e Chair dell’Executive Master Communications a Sciences Po di Parigi, oggi imprenditrice e consigliere indipendente in diversi board aziendali, ha proposto una serie di riflessioni e suggerimenti mirati a preparare fin d’ora le aziende a riposizionare i brand nell’ottica nel ‘dopo–crisi’, partendo da un’analisi delle caratteristiche realmente uniche del periodo che stiamo attraversando: “Una crisi senza precedenti, sistemica, brutale, lunga e incerta, che tocca aspetti fondamentali della nostra vita: la salute, la società, l’economia, la politica e anche, mi azzardo a dire, la moralità, individuale e collettiva. Nessuna crisi del passato è mai stata in grado di polarizzare le opinioni come questa: non ci sono colpevoli, ma siamo tutti responsabili. È una crisi ‘analogica’, che avviene nel mondo offline, ma gli strumenti per agire e reagire sono anche online: e questo è uno degli aspetti principali emersi finora, perché l’impatto del digitale ha avuto effetti immediati sul modo in cui oggi comunichiamo, ma ancor di più ne avrà nel lungo termine”.

Solitamente quando si parla di brand management durante una crisi, si prendono in considerazione la marca stessa o il suo settore di riferimento, ha proseguito Beveridge: “In questo caso, anche se non c’era probabilmente nulla che non andava bene nelle aziende, l’impatto su tutti i brand è stato davvero profondo. L’aspetto positivo è che tutti si trovano a condividere le stesse preoccupazioni, gli stessi problemi, e ad affrontarli dallo stesso livello di conoscenza e dallo stesso punto di partenza”.

Nella situazione attuale così veloce e complessa, ha aggiunto l’esperta, “Una delle leve più critiche per qualsiasi azienda è quella dell’engagement: le persone sono più che mai aperte e disponibili ai messaggi dei brand, ma per riuscire a comunicare con successo è indispensabile trovare il corretto punto di equilibrio fra il giusto messaggio e la giusta emozione. Se si fanno le cose correttamente il risultato in termini di engagement può essere enorme. Ma per chi sbaglia la penalizzazione è immediata e altrettanto pesante”.

In questo senso, l’engagement è una leva critica e centrale “Per la stessa sopravvivenza dei brand, per la loro resilienza futura e per la loro capacità di ripresa. Ciò su cui si basa questa centralità è la conoscenza approfondita di tutti gli stakeholder di un’impresa – dipendenti, clienti, investitori, partner, poltici… – e di ciò di cui hanno davvero bisogno. Anche nelle dinamiche della comunicazione l’engagement è altrettanto fondamentale: inizialmente nel rassicurare e informare gli stakeholder, poi nel condividere e contribuire – la fase in cui ci troviamo in questo preciso momento – e infine per ripartire e riposizionarsi”.

Analizzando quali sono state le reazioni iniziali di alcuni brand, Beveridge ha citato molti casi dividendoli in tre tipologie:
gli ‘early adopter’ o, meglio ancora, ‘early adaptor’, come i grandissimi marchi internazionali che hanno modificato un asset fondamentale come il proprio logo per sostenere il messaggio del distanziamento sociale (McDonalds, Audi, Volkswagen, Nike, Coca-Cola…), suscitando però spesso la domanda se il loro fosse un contributo concreto o solo una questione di opportunismo;
gli ‘zombie’ o i ‘sonnambuli’, la cui capacità di adattarsi è stata pari a zero o anche peggio, perché non solo hanno continuato a comunicare con messaggi fuori dal nuovo contesto, ma come nel caso di H&M hanno anche annunciato da un lato la sospensione del pagamento degli affitti di alcuni loro grandi store in Germania, e dall’altro ne hanno lasciati aperti altri espondendo il proprio staff a un rischio di contagio inutile…
i brand ‘collaboratori’ che hanno avuto un ruolo attivo e si sono trasformati in ‘attori’ protagonisti: l’app Netflix Party che permette di condividere e commentare insieme ai propri amici, anche a distanza, gli stessi contenuti; la maison francese Sezane che per il suo negozio online ha lanciato una campagna su Instagram in cui le clienti sono state protagoniste e ideatrici dello styling, donando inoltre il 10% di ogni capo venduto a fondi per l’emergenza; la società di assicurazioni Maif che anziché guadagnare dal risparmio dei rimborsi non versati per la diminuzione degli incidenti stradali dovuti al lockdown, ha deciso di restituire ai suoi clienti parte di quanto già versato.

“Ricapitolando, le prime conclusioni che si possono tirare fino a questo momento riguardano innanzitutto la qualità della leadership e la velocità di reazione di ogni brand – ha spiegato Beveridge –. Non tutti si fermano, ma tutti devono adattarsi e reagire, con chiarezza di intenti e un purpose di utilità sociale ben individuato. Di per sé quello che può sembrare opportunismo non è necessariamente sbagliato: ma occorre fare molta attenzione al cosa si comunica e al come lo si fa. E infine, ricordarsi che le parole senza i fatti valgono poco o nulla: parlare e comunicare va benissimo, ma bisogna fare ciò che si dice”.

Beveridge ha chiuso il webinar proponendo alcuni spunti di riflessione sul modo in cui i brand si dovranno ri-posizionare nei ‘nuovi mercati’ e come dovrà cambiare la loro comunicazione: “Parto ancora una volta dall’importanza di conoscere e comunicare con tutti gli stakeholder, perché da qui deriva la necessità di fare dell’engagement e della reputazione leve ancor più strategiche di quanto già non fossero, che vanno integrate fin dall’inizio in qualsiasi attività di planning aziendale”.

Bisognerà poi valutare come cambierà il paradigma della competizione, osserva poi Beveridge: “Si continuerà a puntare a essere la migliore azienda AL mondo? O non si cercherà piuttosto di diventare la migliore azienda PER il mondo? Nel discorso sulla Responsabilità d’impresa la prossima fase, quanto meno i prossimi 6-12 mesi, vedranno temi quali impatto sociale e creazione di valore assumere un ruolo centrale e prioritario, a scapito dell’ambiente che non sarà più dominante. Tutto questo avrà fortissime ripercussioni sui brand, sul loro posizionamenti e sulla loro comunicazione”.

Anche il ruolo degli Stati sembra essere radicalmente cambiato negli ultimi due mesi: “È cambiato e aumenterà ancora il livello del coinvolgimento del settore pubblico nel mondo del business – riflette Beveridge –. Il ruolo degli Stati resterà primario, nei mesi e probabilmente anche negli anni a venire, nel supportare l’economia e la coesione sociale, anche attraverso una sostanziale crescita delle partnership fra pubblico e privato: ciò cambierà a sua volta lo scenario competitivo, gli obiettivi, il linguaggio e la comunicazione. Un’ulteriore conseguenza del fenomeno riguarderà la necessità per ogni azienda e ogni brand di darsi, qualora non l’abbia già, un ‘purpose’ preciso e definito: quali benefit sapranno portare alla società in termini di valore aggiunto, al di là del mero profitto. Per questo credo sarà opportuno e forse necessario ri-valutare e modificare molte delle attuali ‘brand platform’ affinché continuino a essere rilevanti e appropriate nel nuovo contesto”.

L’ultima considerazione riguarda il tempo: “È un’incognita che non sarà semplice risolvere e che varierà da brand a brand e da aazienda ad azienda: bisogna reagire velocemente ma non troppo, non avere troppa fretta ma neanche aspettare troppo a lungo…Credo sia chiaro alla maggior parte di noi che stiamo percorrendo una strada lunga e piena di ostacoli e che la competizione sarà durissima: detto questo, però, ribadisco che per la prima volta stiamo facendo tutti insieme lo stesso percorso, un’esperienza unica e nuova che lascia spazio all’ottimismo”.

Tommaso Ridolfi