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NC Awards Festival 2023. "Nel futuro uno scenario sempre più omnicanale, dove tutti sono costretti a innovare per coinvolgere un target sempre più frammentato. Investimenti pubblicitari dinamici"
‘Il presente e il futuro degli investimenti pubblicitari alla luce del nuovo scenario omnicanale. Strategie per una consistency del brand multipiattaforma’.
Un titolo denso di contenuti e ambizioso quello del primo talk dell’NC Awards Festival 2023, che ha messo a fuoco lo stato dell’arte con Roberto Binaghi, chairman e ceo Mindshare, Davide Neri, head of marketing Hasbro e presidente della giuria degli NC Awards 2023 e, da remoto, Fabio Spagnuolo, responsabile comunicazione e pubblicità Intesa Sanpaolo, moderati da Salvatore Sagone, presidente Adc Group.
A emergere, prima di tutto, è stato lo scenario attuale altamente sfidante, in un mercato pubblicitario volatile, che potrebbe mostrare una decelerazione dopo la forte ripresa del 2021.
“Dopo la ripresa post Covid che si è rivelata superiore alle aspettative, visto che temevamo di non riuscire a riprenderci i valori del 2019 - che invece ci siamo ripresi nel 2021 - si registra un consolidamento importante nel 2022 e, anche per il 2023, si ritiene che il mercato possa restare fondamentalmente stabile”, spiega Binaghi (Mindshare). “La proiezione è del +0,5% tenendo conto, peraltro, che negli ultimi anni il mercato si è fatto nell'ultimo quarter: nel 2020 le aziende erano estremamente caute e anche nel 2021 siamo partiti col freno a mano tirato. Poi, complici alcuni eventi di fine anno - non ultimi Mondiali che hanno inciso positivamente - il mercato si è ripreso con un approccio un po’ più tattico che strategico, ovvero tendendo a ‘tenere i soldi nel cassetto’ e a tirarli fuori all'ultimo minuto”.
Un contesto di mercato, quindi, sostanzialmente stabile. Non siamo un Paese che sta vivendo una grande crescita ma non siamo nemmeno un Paese in una fase recessiva. “Ciò che è importante sottolineare è che dai dati emerge che stiamo andando ineluttabilmente verso una digitalizzazione progressiva del mercato che, paradossalmente, è stata accolta in maniera più rapida dalle piccole aziende dallo small business, ovvero da tutti coloro che sono trasmigrati, per intenderci, dalle vecchie Pagine Gialle ai nuovi formati del social, della search e del digital in generale, mentre le aziende con la “A” maiuscola in Italia a stanno ancora lavorando con una logica un po’ tradizionale, l'ecumenismo si va a cercare ancora nella televisione per cui il passaggio dal vecchio al nuovo è un passaggio che si vede nei numeri ma è un po’ più lento di quanto non stia accadendo in altre in altre geografie”, spiega Binaghi.
La tv, tuttavia, la fa ancora da padrona e sta vivendo anch’essa grandi evoluzioni. “Il fulcro continua a essere il video, la nostra comunicazione è fortemente orientata al prodotto audiovisivo, che però nel corso degli ultimi anni si è inevitabilmente spostato dalla piattaforma elettiva storica che era la televisione lineare ad altri tipi di televisione e ad altri tipi di supporti video che non sono più televisione nel senso classico, quindi tutto quello che è il vod, lo svod, Youtube e tutto quello che passa poi attraverso i social che oramai sono delle vere e proprie piattaforme di intrattenimento leggero”, prosegue Binaghi.
Come cambia, in tutto questo, la modalità di fruizione video degli italiani? Emerge una frammentazione sempre più marcata, soprattutto tra le generazioni più giovani. Binaghi la spiega così: “La capacità degli italiani di fruire dei mezzi audiovisivi è drammaticamente diversa a seconda delle fasce di età. Ci sono i Boomer che rispondono ancora alle logiche legate all’ambiente in cui sono cresciuti, ci sono i Millennials che hanno intrapreso delle modalità di fruizione specifiche e poi c'è la generazione più giovane che gioca una partita ancora diversa e di nuovo, quindi, è in ballo il concetto stesso di ecumenismo: le aziende che vogliono lavorare su target molto ampi e che quindi pensano che le piattaforme più larghe siano per definizione quelle corrette, devono considerare il fatto che oramai non esiste più un media che è in grado di intercettare tutti nella stessa maniera. Per farlo, bisogna attivare azioni molto segmentate e molto olistiche e integrate, perché altrimenti apparentemente facciamo dell'ecumenismo, ma in realtà finiamo per prendere solo la parte centrale e ‘anziana’ della popolazione”.
Il tema della parte centrale della popolazione è cruciale perché, come si sa, è quella che dispone della capacità economica più importante. “Per tale ragione, le aziende che lavorano nel breve periodo sono spesso tentate di rivolgersi a queste persone perché lì c'è la ‘source of business’ per il trimestre. Tuttavia, chi deve lanciare dei prodotti con una prospettiva a lungo termine deve evidentemente fare dei lavori completamente diversi”, sottolinea Binaghi.
D’altra parte, oggi l’evoluzione del sistema televisivo non è più fatta solo dalla tv lineare e tradizionale, ma di tanti mondi. “C'è il mondo Youtube che oramai ha dei valori che ne fanno un canale generalista che compete con quelli principali e c'è tutto il mondo che si sta sviluppando intorno a Netflix e intorno ad Amazon che se a oggi sono ancora marginali nel settore pubblicitario è solo perché stanno approcciando la pubblicità in maniera molto cauta, ma che se aprissero alla raccolta pubblicitaria diventerebbero dei canali di primissimo piano come poi lo sono dal punto di vista della fruizione”.
Infine, ci sono i social che in Italia sono letteralmente esplosi: siamo un Paese a cui piace tenere il telefonino in mano e quindi, quando parliamo dello sviluppo del digitale, stiamo parlando in larghissima misura dello sviluppo delle piattaforme social. I numeri sono giganteschi, oramai competono con quelli storici della televisione. Su un totale della popolazione tra i 18 e i 74 anni di 43,1 mio, 40,6 mio sono internet users e 38,5 mio sono attivi sui social media (36,7 mio su mobile) Praticamente, la quasi totalità della popolazione italiana è un utente attivo sui social.
“Continuiamo a chiamarli social, ma in realtà ormai sono piattaforme vere e proprie. Se ci pensate, erano nati per ritrovare i compagni di scuola, per persone che si ritrovavano, si associavano e si parlavano. Poi qualcuno è emerso più degli altri ed è diventato un influencer, un ‘parroco’ in grado di gestire una piccola o grande parrocchia e di portarsi dietro tutta una serie di amici che diventavano ‘follower’ e poi rimanevano follower anche se amici non lo erano non erano mai stati… Ora tutto si sta evolvendo nella direzione della piattaforma di intrattenimento per cui ci sono dei canali rappresentati da persone o iniziative che ci propongono dei contenuti che sfogliamo con interesse e forse anche con una certa leggerezza, ma comunque con una capacità di assuefazione notevole. E tutto ciò diventa competitor della televisione e non solo, diventa competitor di Netflix, di Youtube perché Youtube stesso recentemente ha lanciato i formati corti per dare una risposta a quello che stava accadendo su Tik Tok e quindi ha legittimato il fatto che questi social diventando competitor veri e propri”.
In tutto questo, nelle proiezioni per il futuro, gli investitori pubblicitari fanno previsioni. “In Italia abbiamo la fortuna di avere un mercato di last minute, nel senso che se nei mercati di upfront come quello anglosassone o quello tedesco dove gli acquisti e quindi le scelte di pianificazione si fanno una volta all'anno, il nostro è un mercato in cui si fanno i giochi il giovedì per la domenica e quindi, sì, freniamo prima ma ripartiamo più in fretta, Quindi, nonostante la stabilità, c’è una certa dinamicità. E vorrei sottolineare che il mondo dal quale veniamo era un mondo completamente misurato. Questo mondo è per sua stessa definizione un mondo meno misurabile e non sarà mai misurato del tutto. In questa minor misurabilità ci sono delle opportunità di giocare un po’ tra le linee, di sperimentare con la fantasia”.
Una visione condivisa anche da Neri (Hasbro), che sottolinea come la frammentazione fosse già in atto da tempo. “La pandemia ha accelerato il cambiamento e oggi è molto difficile intercettare quale sia il mezzo più efficace per parlare al target. Quello che è certo è che l'online sta prendendo il sopravvento sulla televisione, che resta un pilastro per il target boomer e la Generazione X, mentre i Millennial e i giovanissimi sono più orientati verso il digitale. Per quanto ci riguarda, poi, poiché gli under 13 per legge non sono targettizzabili, abbiamo un pool di dati non completo. Quello che emerge è che la tv Kids sta decrescendo, ma la parte Kids sulla tv generalista sta crescendo. Questo perché dalla pandemia si è amplificato il fenomeno del co- viewing, ovvero della visione della tv in famiglia. Proprio per questo, programmi come Tu si que vales o personaggi come Maria De Filippi sono risultati i preferiti tra i bambini. La digitalizzazione forzata del Paese l’ha indotta la pandemia che ha favorito il recupero di una serie di abitudini familiari”.
Uno scenario complesso che impatta sui totem tradizionali del settore. Come questi cambiamenti stanno impattando sul business di centri media e aziende?
Spiega Binaghi: “Questo cambiamento non è nato ieri, l’esplosione del digitale risale a 12 anni fa. Noi come industry siamo nati con una funzione di buyer verticale, facevamo un lavoro molto ‘muscolare’, mentre negli ultimi anni siamo diventati meno ‘muscolo’ e sempre più ‘cervello’, sempre meno buying e sempre più consulenza: il nostro lavoro, oggi, è quello di essere consulenti delle aziende e orchestrare l’insieme delle loro azioni. Il centro media sta diventando sempre più un supporto intellettuale e materiale”.
Conferma Neri: “Il centro media è oggi un partner delle aziende, sempre più integrato nella strategia. In un mercato molto incerto e ballerino, che si sposta sempre più verso la fine dell’anno, per noi è fondamentale non più solo avere un braccio che va ad acquistare, ma una mente che comprenda insieme a noi le logiche dell’azienda, per tirare fuori fino all’ultimo centesimo di valore dai nostri investimenti. Succede nelle aziende piccole ma anche in quelle più grandi: il consumatore viene messo al centro, per capirlo, servirlo e coinvolgerlo. Ecco, un invito che mi sento di fare all’industry è di mettere prima il consumatore al centro e poi parlare di piattaforma. Andiamo a prendercelo, questo consumatore, manteniamo un atteggiamento agnostico”.
Da remoto il contributo di Spagnuolo (Intesa Sanpaolo) sul cambiamento in atto: “La nostra è una società che cambia a una velocità esponenziale e l’innovazione costringe le persone a un cambiamento così veloce e repentino tanto da mettere in discussione tutto. In questo scenario, la comprensione della società e dei cambiamenti culturali è da sempre legata alla conoscenza dei media e del loro potenziale. Un rapporto di grande connessione che solo visto nel suo insieme ci consente di provare a elaborare strategie per cogliere le opportunità del presente e del futuro. Nel 2022 la parola dell’anno è stata ‘permacrisi’, perché, a causa di guerre, crisi climatiche, pandemie le persone sembrano vivere in uno stato di totale incertezza e smarrimento con la sensazione di vivere, appunto, in uno stato di crisi permanente. Il 73% delle persone afferma che il 2022 è stato un anno negativo e il 25% prova ansia per questa situazione di incertezza globale. Quindi, cambiano i consumi, le persone iniziano a mettere al centro il proprio benessere, la cura di sé e la tutela del proprio tempo libero. Una vita sempre più digitale e omincanale, spendiamo sempre più tempo nell’intrattenimento digitale con una forte spinta dello streaming. Il primo outlook sul 2023 registra una confermata stabilità con spinta sui mezzi digitali, la tv e il digital rappresentano oltre l’86% del mercato pubblicitario con un numero sempre più ampio di piattaforme sempre più nuove, da Tik Tok, Twitch e così via. A queste si aggiungono le media factory, realtà editoriali che cavalcano la creator economy”.
E proprio in questo contesto cambia l’aspettativa verso i brand. “La relazione autentica basata su trasparenza, senso di comunità assume un ruolo centrale - prosegue Spagnuolo - . Il 74% delle persone dichiara di preferire brand che trasmettono sicurezza e stabilità, il 57% dichiara che vorrebbe maggior trasparenza da parte dei brand sui temi legati al sociale. Si riscopre la centralità della relazione di fiducia con il brand, l’importanza del brand trust. Comunicare in un contesto sempre più frammentato dove la rilevanza del contenuto sul mezzo è cruciale per il successo dell’iniziativa ma allo stesso tempo bisogna restare coerenti sui principi della trust. Una sfida stimolante che abbiamo colto e studiamo quotidianamente sperimentando nuovi contenuti e mezzi e monitorando la risposta delle persone. In un contesto liquido non perdere la bussola dei valori è fondamentale. Noi crediamo nell’importanza di creare valore e innovazione per le persone, la comunità, i territori. La nostra strategia di comunicazione racconta e traduce i nostri valori in un impegno credibile e quotidiano. Una strategia che va oltre l’amplificazione, verso la relazione fidelizzata e duratura con il target.
Per citare qualche esempio di iniziative sviluppate negli ultimi anni a proposito di multicanalità, voglio nominare il progetto di valorizzazione editoriale dello streaming, tutte le iniziative sul territorio vengono valorizzate attraverso dirette amplificate sul nostro sito istituzionale, con una media di oltre 500.000 persone raggiunte ad evento. Un altro progetto nato in pandemia è Intesa Sanpaolo On Air, la produzione di contenuti podcast che oggi ha raggiunto oltre 13 milioni di ascolti, un progetto a tutto tondo con numeri strepitosi. Da qualche mese è nata anche la nuova newsletter istituzionale che ha un tasso di crescita superiore al 40% e un open rate superiore al 50%. E con questo strumento impariamo a
conoscere sempre di più l’interesse del nostro target. Puntiamo su produzioni originali, esclusive e di qualità e sulla continua sperimentazione dei canali. Un altro esempio, infine, è il grande lavoro su Tik Tok, canale dove collaboriamo con giovani creator per parlare delle nuove professioni del futuro, sperimentando nuovi linguaggi. Il cambiamento che l’innovazione porta nella nostra società è, come ho detto all’inizio, molto veloce e per noi creare valore e innovazione è parte essenziale della mission”.
Serena Roberti