Ricerche
Annunciati i risultati della ricerca 'Western Europe' di Event View
L’Event Marketing Institute di Norwalk (Connecticut), in partnership con MPI Foundation e con l’agenzia di experience marketing George P. Johnson di Auburn Hills (Michigan) ha pubblicato la sezione 'Western Europe' di Event View.
Giunta alla sesta edizione, questa è l’unica survey al mondo interamente dedicata all’event marketing, ossia agli eventi come mezzi di comunicazione commerciale. I risultati del 2008 sono particolarmente interessanti, perché per la prima volta sono stati 'splittati' in tre parti, una per ciascuna zona di provenienza del campione. Infatti, dei mille sales & marketing manager che ogni anno, fra ottobre e dicembre, vengono raggiunti da interviste telefoniche per aggiornare l’indagine, 302 provengono dal Nord America, 402 dall’Europa e il resto dall’Asia-Pacifico.
Ebbene, per la prima volta, in luogo del consueto report generale, ne vengono pubblicati tre, uno per ogni area geografica. Nei mesi scorsi è stata pubblicata la parte nordamericana (Event View North America), cui oggi fa seguito quella dedicata all’Europa (solo occidentale, perché il campione europeo attinge unicamente da Regno Unito, Francia, Germania e Spagna).
Di questo sotto-campione di 402 persone, il 31% è fatto di sales o marketing manager, il 21% di manager generici e il 15% da direttori. Seguono al 14% event & exhibition manager, al 7% gli advertising manager, e al 2% a testa imprenditori (ossia titolari di azienda o di agenzia) e vicepresidenti. Il restante 8% è sparpagliato su figure minoritarie. La loro capacità di spesa annua oscilla da meno di 250 milioni di dollari a oltre 10 miliardi (sempre di dollari).
La principale preoccupazione di tutte queste figure è quella di mantenere e fidelizzare la clientela (in netta controtendenza rispetto ai colleghi nordamericani, il cui obiettivo principale è invece quello di acquisirne di nuova). Questo trend è spiegabile anche con la pessima contingenza economica, che nel 2007 ha assegnato agli eventi in Europa la più bassa percentuale di marketing mix (19%) mai registrata nel nostro continente (anche qui la situazione in Canada e Usa è nettamente diversa, con l’event marketing al 27%, suo massimo storico).
I fondi a disposizione per organizzare eventi sono principalmente destinati alle fiere (69%), cui seguono conferenze e seminari (40%), sponsorizzazioni sportive (37%), roadshow e altre attività di marketing mobile (25%), mail e guerrilla marketing (rispettivamente 7% e 6%) e altre azioni minori, tra cui un 7% per manifestazioni universitarie e addirittura il 5% per la nightlife, dolce vita del XXI secolo.
Come conseguenza, o forse causa di questo non brillante stato di cose, gli europei non nutrono nella profittabilità degli eventi la stessa fiducia dei colleghi americani. Nell’edizione 2008, infatti, l’event marketing perde il primo posto nella classifica Roi (Return on investment), crollando dal 27% al 16% e lasciando in vetta le sales promotion, che passano dal 14% al 21%. È vero che gli eventi sono secondi, cioè in buona posizione, ma, a parte il crollo da un anno all’altro, fatto in sé molto negativo, sono tallonati da ben due voci, entrambe al 15%: le relazioni pubbliche e il web marketing. Seguono a debita distanza direct mail (stabile all’8%) e pubblicità stampata e televisiva (4% a testa - qui si sente più che altrove la mancanza di un campione italiano, che certamente avrebbe fatto impennare il valore).
Quanto all’efficacia degli eventi come fonte di guadagno, gli intervistati a grande maggioranza (59%) la focalizzano sulla possibilità da essi offerta di far raggiungere un target selezionato; segue un 48% che si concentra sul contatto interpersonale, un 37% che ne elogia la capacità di costruire contatti e un 28% (a testa) di quanti privilegiano i grandi numeri e quanti fanno conto sull’esposizione mediatica di cui tante manifestazioni godono.
Gli eventi esterni a maggior ritorno sono ancora le fiere (pur se in calo dal 46 al 41%); seguono conferenze e seminari (18%), manifestazioni sportive (13%) e roadshow (9%). Riguardo invece agli eventi interni, il Roi più elevato è attribuito dal 34% alle iniziative di formazione o team building, seguito dagli incontri sales & marketing (27%) e - come in Nord America - dalle 'feste del personale' (segnalate addirittura dal 16%).
Anche Event View Western Europe dedica un congruo approfondimento all’experience marketing, che costituisce una sorta di 'passo successivo' rispetto all’evento puro e semplice. Con questo termine si intende la pratica di coinvolgere le persone del target in esperienze che permettano loro di capire come le loro vite private e/o lavorative traggano beneficio dal brand promotore.
Ciò implica una sorta di 'evento permanente' a permeare i destinatari ben al di là di una qualsiasi estemporaneità. Difatti addirittura il 73% degli intervistati (in sintonia con l’82% del campione americano) dichiara di aver adottato forme di experience marketing nella quotidianità lavorativa, laddove si desidera incentivare i dipendenti a produrre di più. Sui pubblici esterni, invece, è più che altro per l’aumento della notorietà del brand che si ricorre a questi strumenti, preferendo al contrario gli eventi episodici (cioè quelli tradizionali) per aumentare vendite o Roi.
Non tutti vedono di buon occhio il crescente potere del procurement sull’event management. Per questo non stupisce che solo l’8% attribuisca elevata influenza all’ufficio acquisti. Ciò è anche spiegabile col fatto che i direttori acquisti si limitano, in genere, alle linee-guida per la selezione di agenzia o fornitore, e non intervengono sulla scelta finale fra quanti sono risultati conformi alla policy. Nemmeno in prospettiva le cose cambiano: il 59% dichiara che il ruolo del procurement non diverrà più autorevole col tempo.
Analogo il discorso per gli eventi ecocompatibili. Neanche la metà degli intervistati (47%) dichiara di averne pianificati da qui a un anno, mentre un 17% mostra persino disinteresse a riguardo. E di questo 47%, il 69% afferma di occuparsi di sostenibilità ambientale solo per ossequio alla politica aziendale (dunque non per propria sensibilità). Gli altri dicono di farci conto per guadagnare vantaggio competitivo o per ottenere e mantenere la fedeltà dei consumatori (21% a testa), e solo al 4% per risparmiare denaro.