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Cannes. Mozzi: Italia assente dal Rinascimento del media
(Dal nostro inviato a Cannes Tommaso Ridolfi) Nessun leone e una sola campagna in shortlist. Un bottino certamente magro quello di Gigi Mozzi, chairman di Aegis CPU e giurato italiano nella categoria dei Media Lions, che però non ha nulla da rimproverarsi: “E’ sicuramente un fatto grave - ammette infatti -. Prima perché siamo 'partiti' solamente in 35, quando paesi molto più piccoli del nostro iscrivono il doppio di lavori, e soprattutto perché ne è (quasi) arrivato uno solo… Ho rischiato la brutta figura e ho provato a recuperare una campagna Carrefour - credo di Publicis, in cui i carrelli della spesa uscivano dal punto vendita e si muovevano da soli per Roma - cercando di portarla alla shortlist, così come ho provato a spingere Diesel almeno verso un bronzo, che a mio parere non avrebbe demeritato. Ma non c’è davvero stata alcuna possibilità”.
La domanda è, purtroppo, ormai rituale: perché gli italiani non emergono? “La vera ragione è che la presentazione dele nostre campagne non è assolutamente all'altezza. Anche quando le idee da raccontare sono banali, gli altri riescono con un filmato di un minuto o un minuto e mezzo a emozionare. E’ un dato di fatto che quando si è a casa, come mi è capitato personalmente, si guardano e riguardano i lavori analizzandoli con la parte destra del nostro cervello, razionalmente. Ma quando poi in sede di giuria si vedono moltissime cose, spesso per la prima volta, e una dopo l’altra, quello che più conta è l’impatto emotivo”. Per questo Mozzi è convinto che il problema non sia la qualità dei progetti: “La campagna di BCube per Diesel, che ha adattato splendidamente un’idea globale trasportandola sul piano locale, trasformandola e facendola sua, è stata giudicata attraverso una decina di slide PowerPoint, cui lo speakeraggio non aggiungeva nulla…. Un filmato più narrativo, magari con interviste a persone per strada, con qualche frase in dialetto per farne ‘sentire’ meglio la peculiarità avrebbe sicuramente giovato alla sua causa”.
Per diversi anni Mozzi ha lavorato in Italia per conto di una delle principali società di auditing al mondo, Billets, ed è abituato a ragionare in termini di benchmark: se dunque definiamo Cannes proprio come ‘benchmark della creatività’, cosa vuol dire per i centri media italiani non essere neppure misurabili secondo gli standard internazionali?
“Con le regole di Cannes non c’è alcun dubbio: usciamo sconfitti - risponde Mozzi -. Credo però che al di là della competizione il Festival sia anche un grande laboratorio, un momento di confronto che secondo me prova inconfutabilmente che siamo nel ‘Rinascimento’ del media. In Italia è molto più facile che questo tipo di lavori esca dalle agenzie creative o magari di eventi, piuttosto che dai centri media, mentre il resto del mondo è andato avanti ed è ormai passato pienamente al ‘sistema’ della comunicazione. E’ davvero una nuova epoca - afferma infatti -: 20 anni fa era la creatività a dettare gli spazi: l’agenzia realizzava una doppia pagina per la stampa e il media la comprava. Poi i ruoli si sono rovesciati e il media ha preso il sopravvento: si compravano gli spazi e questo imponeva le scelte creative. Oggi è cambiato tutto: non c’è una sola campagna fra le 600 che ho visto in cui il digitale, che in Italia continua a essere residuale, non rappresenti invece il nodo centrale fra l’idea creativa e il suo trattamento e sviluppo. Per questo occorre lavorare tutti insieme e fare sistema”.
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La domanda è, purtroppo, ormai rituale: perché gli italiani non emergono? “La vera ragione è che la presentazione dele nostre campagne non è assolutamente all'altezza. Anche quando le idee da raccontare sono banali, gli altri riescono con un filmato di un minuto o un minuto e mezzo a emozionare. E’ un dato di fatto che quando si è a casa, come mi è capitato personalmente, si guardano e riguardano i lavori analizzandoli con la parte destra del nostro cervello, razionalmente. Ma quando poi in sede di giuria si vedono moltissime cose, spesso per la prima volta, e una dopo l’altra, quello che più conta è l’impatto emotivo”. Per questo Mozzi è convinto che il problema non sia la qualità dei progetti: “La campagna di BCube per Diesel, che ha adattato splendidamente un’idea globale trasportandola sul piano locale, trasformandola e facendola sua, è stata giudicata attraverso una decina di slide PowerPoint, cui lo speakeraggio non aggiungeva nulla…. Un filmato più narrativo, magari con interviste a persone per strada, con qualche frase in dialetto per farne ‘sentire’ meglio la peculiarità avrebbe sicuramente giovato alla sua causa”.
Per diversi anni Mozzi ha lavorato in Italia per conto di una delle principali società di auditing al mondo, Billets, ed è abituato a ragionare in termini di benchmark: se dunque definiamo Cannes proprio come ‘benchmark della creatività’, cosa vuol dire per i centri media italiani non essere neppure misurabili secondo gli standard internazionali?
“Con le regole di Cannes non c’è alcun dubbio: usciamo sconfitti - risponde Mozzi -. Credo però che al di là della competizione il Festival sia anche un grande laboratorio, un momento di confronto che secondo me prova inconfutabilmente che siamo nel ‘Rinascimento’ del media. In Italia è molto più facile che questo tipo di lavori esca dalle agenzie creative o magari di eventi, piuttosto che dai centri media, mentre il resto del mondo è andato avanti ed è ormai passato pienamente al ‘sistema’ della comunicazione. E’ davvero una nuova epoca - afferma infatti -: 20 anni fa era la creatività a dettare gli spazi: l’agenzia realizzava una doppia pagina per la stampa e il media la comprava. Poi i ruoli si sono rovesciati e il media ha preso il sopravvento: si compravano gli spazi e questo imponeva le scelte creative. Oggi è cambiato tutto: non c’è una sola campagna fra le 600 che ho visto in cui il digitale, che in Italia continua a essere residuale, non rappresenti invece il nodo centrale fra l’idea creativa e il suo trattamento e sviluppo. Per questo occorre lavorare tutti insieme e fare sistema”.
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