Scenari

Influencer Marketing: il 21% delle aziende ha speso oltre 50mila euro nell'ultimo anno, il 65% di quelle che lo usano prevede di aumentare il budget. Gli influencer? Sono un 'media umano'

Sono alcune delle evidenze che emergono dall’Influencer Marketing Report edizione 2018, prima indagine del neonato Osservatorio sull’Influencer Marketing attivato da IED Milano con AKQA e FLU. Dall'analisi emerge chiaramente anche l'assenza di figure specificatamente dedicate e l'alta percezione dell’importanza della formazione professionalizzante. Perché si ricorre all'influencer marketing? In primis per aumentare la brand awareness.

Investimenti in prevalenza dai 10 ai 50 mila euroassenza condivisa di figure specificatamente dedicate all’influencer marketing, alta percezione dell’importanza della formazione professionalizzanteproiezione positiva sul prossimo anno.

Sono queste le macro evidenze che emergono dall’Influencer Marketing Report edizione 2018, prima indagine del neonato Osservatorio sull’Influencer Marketing attivato da IED Milano con AKQA, agenzia agenzia specializzata nell’innovazione digitale del gruppo WPP, e FLU, agenzia specializzata nella creazione, produzione e distribuzione di contenuti con influencer.

Un mercato in crescita dunque, a cui, ricordiamo, ADC Group ha dedicato una tipologia, l'IMA (Influencer Marketing Awards), nell'ambito degli NC Digital Awards, il premio dedicato alla migliore comunicazione digitale (leggi news). 

I risultati del primo osservatorio italiano sull’Influencer Marketing sono stati presentati in occasione dell’evento dedicato ai trend, ai driver e alle novità del mondo del digital advertising svoltosi nella sede milanese dell’Istituto Europeo di Design; da inizio anno presso la Scuola di Comunicazione è attivo anche un Corso di Specializzazione dedicato proprio all’Influencer Marketing e coordinato da Marcello Signore, alla guida della practice in AKQA nella sede di Milano.

I dati sono frutto di una survey condotta tra luglio e settembre scorsi su professionisti dei comparti marketing e prodotto, digital PR e social media, e sul top management di aziende di vario settore attive in maggioranza a livello nazionale, con una predominanza di PMI (45% degli intervistati) e multinazionali (39%) e una certa presenza anche di consulenti (8%) start-up (7%)

Dall’indagine emerge che ben il 64% degli intervistati ha fatto ricorso nell’ultimo anno ad operazioni di influencer marketing (in particolare l'80% delle multinazionali, ndr.), per il 62% in modo continuativo e attivando quindi le quattro leve essenziali di questo tipo di attività – scouting, strategia, ideazione creativa, reportistica e analisi – per il restante 38% in modo discontinuo e occasionale.

Nello specifico, le realtà che maggiormente hanno strutturato attività continuative sono le start-up (il 70% ha risposto in maniera affermativa); ad aver fatto ricorso invece ad attività one shot sono invece per lo più le PMI (45%). Le multinazionali, infine, mostrano di aver investito di più nel trend in termini quantitativi.

ElenaSacco

 "Analizziamo fenomeni spesso passeggeri nel marketing e, accanto a questi, nuove discipline: è fondamentale per noi monitorare costantemente il mercato ed i trend al fine di avere sempre una visione molto contemporanea e, a volte, essere precursori in ambito formativo. Da qui la genesi del primo osservatorio di influencer marketing in Italia” - commenta Elena Sacco (nella foto a sx), Direttore della Scuola di Comunicazione IED Milano. “Questa ricerca ci conferma che l’influencer marketing - sulla scia di un andamento globale e fortemente radicato negli Usa - è un settore che va verso la maturazione e in cui s’investe molto e in modo continuativo nelle grandi aziende e nelle start-up ma in cui è necessaria formazione per ottenere i principali obiettivi di ROI.”

Parlando appunto degli investimenti, dai dati emerge che il 21% di chi ha attivato operazioni di Influencer Marketing ha speso più di 50 mila euro nell’ultimo anno mentre solo il 5% ha speso 0 euro, ossia ha condotto operazioni di questo tipo senza investire risorse economiche. Il 36% ha
investito da 1.000 a 10mila euro
il 39% da 10 a 50 mila. Ad aver allocato budget più consistenti sono – come è prevedibile – le multinazionali (30%), mentre ad essersi 'arrangiate' a costo zero sono per lo più start-up (10%), che risultano essere però anche le più rappresentative (60%) nella
fascia di spesa da 1.000 a 10 mila euro.

Positiva la proiezione sugli anni successivi, che testimonia un buon ROI sulle operazioni: il 65% di chi ha già investito in Influencer Marketing lo scorso anno dichiara di aver aumentato il budget per il 2018 il 79% di questi prevede un incremento ulteriore per il 2019. Non solo. A fronte d un 4% degli intervistati che hanno in previsione una riduzione degli investimenti in influencer marketing, il 35% investirà oltre il 10% in più nel 2019 e l'8% oltre il 50% in più

Dai dati della survey emergono anche importanti evidenze sul ruolo delle agenzie in questo tipo di operazioni. Il 60% degli intervistati che hanno fatto ricorso all’Influencer Marketing si è rivolto per l’ideazione e la conduzione dei progetti ad agenzie specializzate, in particolare agenzie di Influencer Marketing puro (36%) e agenzie social (29%), mentre un restante 14% si è rivolto direttamente a network di influencer. Il 6% contatta invece le agenzie media.

"Un dato significativo - afferma Antonella Sannella, Strategic Marketing Director & Business Partner AKQA -, che dimostra come gli influencer vengano sempre più considerati essi stessi dei media. D'altra parte, il fatto di amplificare una campagna di influencer marketing attraverso i media consente di poter contare su una serie di indicatori di performance molto utili per valutarne l'efficacia".

I dettagli mostrano come il valore percepito nell’affidarsi a professionisti esterni sia molto alto per quanto riguarda la fase di scouting degli influencer più idonei per una campagna, attività al primo posto per preferenza tra i servizi richiesti alle realtà specializzate (38% dei rispondenti). Seguono, nell’ordine, la reportistica e analisi (26%), la strategia 20%, l’ideazione della creatività (16%).

"L’indagine ha evidenziato quanto i brand che si interfacciano con l’influencer marketing ritengano lo scouting e l’analisi i servizi di maggior valore, dando meno rilievo alle idee creative e alla strategia. È però interessante notare come le criticità maggiormente riscontrate emergano dalla carenza di questi due servizi. Se le attività non sono strategiche e fortemente distintive non si può ottenere una campagna rivelante - commenta Marcello Signore, Influencer Marketing Lead & Content Strategist di AKQA in Italia. Come formatore in questo ambito e dall’esperienza all’interno della nostra agenzia, sia in Italia che nel resto del mondo, sono sempre più convinto che le aziende abbiano bisogno di talenti in grado di comprendere questo ‘media umano’, persone in grado di relazionarsi con gli influencer, interpretare il loro linguaggio, per sfruttare al meglio le potenzialità del mezzo":

Il ricorrere ad agenzie esterne sembra avere una chiara motivazione pratica e strategica: in azienda ben il 52% degli intervistati afferma di non avere una risorsa specializzata che si occupa dei progetti di influencer marketing. E addirittura l’88% ritiene opportuno formarsi o accrescere le proprie competenze nell’ambito, con percorsi particolarmente focalizzati proprio sulla strategia.

Scendendo più in dettaglio, solo il 6% non dispone di una figura dedicata e neppure ritiene opportuno formarsi, mentre una pari percentuale dispone di una simile figura e non ritiene utile la formazione. Ben il 41%, invece, pur avendo una figura dedicata all’Influencer Marketing riconosce il bisogno di formazione, quota che sale al 47% di chi non ne dispone.

Il 24% degli intervistati non si ritiene soddisfatto del lavoro svolto con gli influencer. Le prevalenti motivazioni dichiarate sono i problemi di misurazione de risultati/KPI (per il 28%), la mancanza di pianificazione/strategia sul lungo periodo (26%), la mancanza di fiducia nell’influencer marketing (21%), la scarsa professionalità/disponibilità dell’influencer (11%), la scelta errata dell’influencer (9%).

“Affidarsi a realtà specializzate è fondamentale per cambiare questi dati in positivo. Selezionareinfluencer in linea con i valori del brand, attraverso uno scouting mirato, e individuare dei KPI realistici sono il primo passo per riuscire ad analizzare con precisione l’impatto dell’iniziativa. Nata da un team con expertise verticali nell’ambito, la nostra giovane realtà è sempre di più in grado di rispondere a queste esigenze, e di occuparsi di tutte le fasi del progetto - commenta Giancarlo Sampietro, Founder & CEO, FLU. “L’approccio data-driven ed il controllo completo su tutta la filiera ci vede impegnati dallo scouting degli influencer, grazie ad una piattaforma tecnologica che suggerisce quelli più in linea con il target del brand, alla definizione della content-strategy e il
coordinamento della produzione, fino al monitoring dei risultati con report quali-quantitativi in grado di rappresentare il reale valore della campagna".

Rispetto ai criteri di valutazione dell’adeguatezza dell’influencer spiccano, invece, l’affinità con il brand (35%) e l’allineamento all’audience target (19%), a cui seguono l’analisi quali/quantitativa dei contenuti (13%) e l’influencer score (7%).

"Mi stupisce la bassa percentuale degli ultimi due fattori - spiega Sampietro - , che indica quanta strada ci sia ancora da fare per creare culura in quest'ambito. Mi aspetto che queste percentuali salgano in futuro dal momento che valutare la content strategy dell'influencer e il suo 'score' sono le prime azioni da compiere quando si decide di avviare una campagna di influencer marketing". 

Se il 36% degli intervistati dichiara di non aver mai attivato iniziative di influencer marketing, l’indagine analizza anche i motivi di questa scelta. Dalle risposte del campione emerge che le ragioni prevalenti sono - nell’ordine – la diffidenza in questo tipo di attività, la mancanza di necessità, la mancanza di strategia, i limiti di budget, il core business BtoB (con un target difficilmente raggiungibile attraverso influencer che parlano al grande pubblico), la difficoltà
nell’individuare un partner giusto. 

"Interessante notare come alcuni (5%) ritengano l'influencer marketing inadatto perché lavorano nel BtB, mentre anche in quest'ambito - ha fatto notare Signore - ci sono delle buone opportunità: basti pensare a LinkedIN, dove già sono presenti alcuni influencer. Curioso anche che il 5% degli intervistati non faccia ricorso all'influencer marketing perché crede sia molto difficile trovare degli influencer in target. In realtà l'influncer giusto c'è quasi sempre, basta cercarlo". 

Se la percentuale di chi non si è rivolto all’influecer marketing non è indifferente, le proiezioni per il futuro sono però incoraggianti. Il 29% dei non utilizzatori tra gli intervistati dichiara infatti di voler iniziare a utilizzarlo prossimamente.

Da un confronto con gli Stati Uniti, mercato più maturo del nostro su questo fronte, emergono delle differenze negli obiettivi che portano alla messa a punto di una campagna di influencer marketing. Se in Italia la brand awareness è al primo posto (56%), seguita da notiziabilità (18%) e vendita dei prodotti (17%), negli USA primeggia l'engagement, seguito da KPI e vendite. Oltreoceano inoltre crescono i budget: il 44% delle aziende statunitensi che fanno influencer marketing spende oltre 50mila euro, contro il 21% di quelle tricolore. Infine, dalla ricerca svolta negli Stati Uniti su un campione di 180 aziende e agenzie si nota la tendenza a spostare gli influencer dal mondo strettamente collegato ai social media, per farli approdare anche su altri ambiti. Un trend che molto probabilmente interesserà presto anche il nostro mercato. 

SP