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Editoriale

Cannes 2017. Il guastafeste Marcel (ri)apre il dibattito sul ruolo dei premi e sul futuro del Festival

Voleva sorprendere e c’è riuscito. La notizia bomba del ritiro per un anno da ogni premio e attività promozionale data a Cannes da Arthur Sadoun, nuovo ceo di Publicis, per risparmiare costi e concentrarsi sulla nuova App interna (Marcel), non ha soltanto creato stupore, e frustrazione, tra i creativi del Gruppo. Ha rimesso in discussione il senso della kermesse pubblicitaria più seguita al mondo, a partire dalla sua stessa location. La domanda è sempre la stessa, a cosa servono i premi?

Una macchina per fare soldi, prezzi troppo alti, un programma troppo frenetico, troppo fuori Festival con la Croisette di fatto occupata in ogni suo centimetro quadrato da sponsor della più varia natura. E, ancora, il ruolo dei nuovi player tecnologici e consulenziali (per la prima volta Accenture sponsor del Festival) ormai entrati nel cuore del Palais e non certo visti di buon occhio dai grandi network della comunicazione. Queste alcune delle critiche che ormai da qualche anno i big dell’advertising hanno sollevato, e alle quali l'organizzazione dei Cannes Lions (circa 70 milioni di fatturato incluse tutte le attività e premi correlati, da Eurobest in giù) dovrà dare risposte precise.

Il braccio di ferro, sia pure ancora in versione non ostile, inizia sul luogo, sulla scena dove ogni anno si celebra il meglio della creatività mondiale, Cannes.

"It won't happen", non accadrá. Questo è quello che ufficiosamente dichiara l'organizzazione dei Cannes Lions in merito all'idea avanzata ufficialmente da Sir Martin Sorrell di spostare la sede del Festival internazionale della creatività dalla Costa Azzurra presso una città internazionale, sia essa Londra, New York, Berlino, o qualche altra grande metropoli (leggi news). Idea che il patron di Wpp avrebbe già condiviso con il suo omologo di Omnicom, John Wren.

E se da Omnicom non arriva al momento alcuna dichiarazione ufficiale in merito, di sicuro la diplomazia francese è già al lavoro per non vedersi scippare un business che ogni anno porta sulla Croisette circa 15.000 persone provenienti da tutto il mondo, con la ricaduta economica di cui beneficia il territorio in termini di spese (alte) per alberghi e ristoranti.

C'è da scommetterci, il governo di Macron farà tutte le pressioni possibili perché il Festival rimanga un affare francese. Del resto i nostri cugini d’Oltralpe sono bravissimi a fare, come si dice, sistema.

Ci riuscirono alla grande a metà degli anni '80, ma non fu poi così difficile, trasferendo in maniera definitiva la sede del Festival da Venezia a Cannes. A noi italiani è rimasto soltanto il simbolo del Festival, il leone di San Marco. Magra consolazione.

Ed è prevedibile che il Governo francese intervenga anche su Publicis, invitando a tornare a più miti consigli il nuovo ceo Arthur Sadoun che ha scatenato il putiferio che da giorni occupa l'attenzione della stampa specializzata di tutto il mondo. Sua la dichiarazione che per i prossimi 365 giorni, a partire da giovedì scorso, il suo Gruppo si asterrà dal partecipare a premi e attività autopromozionali per fare saving (circa 20 milioni di Euro) e costringere i dipendenti a concentrarsi su Marcel la nuova app di intelligenza artificiale (leggi news) a uso interno del gruppo.

Un annuncio shock, che ha fatto precipitare del -3% le azioni del titolo Ascential – società proprietaria del Festival - e ha fatto incavolare non poco il popolo dei creativi del Gruppo (Publicis, Leo Burnett e Saatchi & Saatchi) che si sono visti passare la decisione sopra le proprie teste, senza nessuna possibilità di discussione e proprio nel bel mezzo della loro festa: la celebrazione di un anno di lavoro. Un atteggiamento che sembra faccia parte del carattere di Sadoun, al quale evidentemente piace stupire con uscite ad alto valore dirompente, e che non sembra avere tra le sue doti quella di motivatore dei creativi. Visto il malcontento che serpeggia tra i suoi, non è impensabile un clamoroso dietro front, strategia già messa in pratica col ritiro dalla fusione con Omnicom, anche questa annunciata in pompa magna circa due anni fa, e poi prontamente ritirata.

Sebbene in un modo decisamente sensazionalistico, Sadoun ha comunque sollevato la questione di fondo, che in realtà già da qualche anno è al centro dei pensieri delle grandi holding: ossia cos'è diventato Cannes e cosa invece dovrebbe essere, a cosa servono i premi, e qual è il modo migliore per parteciparvi. Certamente, come è trapelato dalla stampa internazionale, conclusa questa sessantaquattresima edizione del Festival le sei grandi holding della comunicazione (senza le quali il Festival sarebbe poca cosa) Wpp, Omnicom, Publicis, Interpublic, Dentsu e Havas - quest'ultima ha dichiarato pieno appoggio al Festival (leggi news) - si riuniranno per capire cosa fare e dare i conseguenti feedback a Philippe Thomas, ceo di Cannes Lions. Il quale, nel frattempo, ha organizzato uno speciale Comitato (leggi news) che raccoglie aziende e autorevoli stakeholder per invitarli a migliorare, se necessario, la formula del Festival.

Avrà la decisone di Sadoun un effetto domino presso le altre holding mondiali? Sul merito della partecipazione o meno, in termini di entries e di delegati, il patron di Wpp ancora non si pronuncia ufficialmente: "La giuria si riserva di decidere", ha affermato, lasciando intendere che raccoglierà gli elementi necessari per arrivare alla decisione finale, magari sondando i pareri della sua gente.

Il tema del costo di partecipazione troppo elevato si affaccia comunque in maniera prepotente ai vertici dell'agenda del Festival. Ed è forse anche per questo motivo che si vorrebbe il Festival più vicino alle capitali dell'impero della pubblicità, Londra o New York, dove risiedono gli headquarter delle più grandi holding pubblicitarie che a Cannes dominano incontrastate in termini di leoni vinti.

Torniamo alla domanda di fondo. Cos'è diventato Cannes, cosa dovrebbe essere? Da un lato al Festival viene riconosciuto lo sforzo per stare al passo con l'evoluzione stessa della comunicazione. "L'allargamento a nuove categorie, il collegamento tra dati e creatività, la considerazione dell'efficacia della comunicazione, sono tutti elementi che testimoniano a favore del Festival che, per altro, ci chiede un parere su come migliorarlo. Non ultimo il fatto che vincere premi rende felici le nostre persone e i nostri clienti. Per tutti questi motivi non riteniamo sia giusto parlare di boicottaggio" afferma Sorrell (leggi news). Ma, allo stesso tempo, "sentiamo che è arrivato il momento per introdurre cambiamenti, riposizionarlo perché avverto che ha perso il suo focus sulla creatività a favore soprattutto del business in un contesto che è diventato troppo frenetico. Il tema dei costi è un problema reale, noi stessi abbiamo diminuito il numero delle iscrizioni e dei partecipanti". "Non abbiamo la soluzione - conclude Sorrell - ma proporla sarà il nostro impegno nel prossimo futuro".

Si possono avanzare tutti i dubbi e proposte migliorative del caso. Una cosa sembra, però, essere certa: anche se non inteso come un fine, la partecipazione a Cannes ha un grandissimo impatto sulla motivazione dei creativi, e sul loro output professionale. A dirlo è una delle agenzie creative più famose che proprio a Cannes ha costruito la sua reputazione. Parlo della Wieden & Kennedy che, al pari di Publicis, ma con 18 mesi di anticipo come ha riportato il settimanale Adweek qualche giorno fa, aveva accarezzato l’idea di investire in altre forme di motivazione i denari necessari per partecipare al Festival. Dopo una ricognizione interna la risposta a una simile eventualità è stata unanimamente rifiutata nonostante i lati negativi che gli Oscar della pubblicità pure hanno (una certa autoreferenzialità, il problema dei fake, le strategie politiche tra i giurati, ecc.). I pro sembrano però essere stati di gran lunga superiori ai contro: il Festival ha dato e dà l’opportunità ai giovani talenti di mostrare le proprie capacità ed essere conosciuti, aiuta nel percorso di crescita professionale e a fare meglio il proprio lavoro. Insomma, privare i creativi di un simile riconoscimento viene interpretato come se chi è ormai salito sulla scala del successo volesse poi gettarla alle proprie spalle a scapito di chi, quella scala, ha appena iniziato a salirla.

Riprendo una citazione conclusiva di Colleen De Courcy, Chief Creative Officer di W&K su come trattenere i giovani creativi: “volete che portino il vostro cane in ufficio, volete offrire loro un parco dove fare skateboard o un corso di yoga? No. Queste persone vogliono soltanto essere conosciute, diventare famose. Lavorano già abbastanza duramente, e lo meritano”.

Ultimo dato la correlazione tra premi vinti dai brand e loro successo sul mercato. A questo proposito sono interessanti i risultati emersi dalla ricerca presentata da McKinsey sabato 17 al Palais (e commissionata dall’organizzazione del Festival) dal tema intrigante: “Does Creativity generate business value?”. Per rispondere alla domanda, i leoni vinti negli ultimi 16 anni sono stati incrociati con le performance finanziarie. Torneremo presto su questa interessante ricerca. I dati presentati, però, parlano chiaro: le aziende più premiate sono quelle che hanno una crescita di fatturato sopra la media, un migliore ritorno per gli azionisti e, di conseguenza, e un maggiore valore economico dell’impresa stessa. Scusate se è poco!

 

Salvatore Sagone
Presidente ADC Group