Editoriale

LA COMUNICAZIONE VISTA DALL'ALDO. Ti prego dimmi una palla ... un'altra ancora

Con questo intervento inauguriamo una nuova rubrica con cui Aldo Biasi interverrà sui temi della comunicazione che serviranno da stimolo al comparto. "Cosa chiede l’Italia alla pubblicità? Ti prego, dimmi una palla, un’altra ancora.. Questo è il sentiment del grande pubblico. Le favole non stancano mai.  Pubblicità e verità non fanno rima. Non è giusto svegliare 50 milioni di connazionali che dormono. Il pubblico vuole le palle e noi che ce le abbiamo dobbiamo dargliele".
Con questo intervento inauguriamo una nuova rubrica con cui Aldo Biasi interverrà sui temi della comunicazione che serviranno da stimolo al comparto.

L’età, non proprio veneranda ma quasi, mi permette di esternare il mio pensiero a cuor leggero, di parlare senza peli sulla lingua e dire la verità, o almeno quella che a me sembra tale senza dover temere controindicazioni di sorta.

Stando ad un assunto classico e classicamente condiviso, la pubblicità è, come accade alla politica del resto, lo specchio della società che la produce. Nel caso italiano purtroppo lo specchio ci restituisce un’immagine assolutamente orrenda: da un lato ci relega agli ultimi posti nel ranking mondiale dei Paesi che producono e realizzano idee, dall’altro il povero specchio risulta incapace di riflettere la drammaticità della crisi nella quale l’Italia si trova impelagata. Svanito l’ottimistico e reganiano edonismo degli anni Ottanta, nel nome del realismo e della verità avremmo dovuto chiudere definitivamente la partita con l’overacting, con l’abbuffata di sorrisi fuori luogo, il casting dei belli e il vasto repertorio vintage di jingle, pronipoti di brutti motivi. E invece no.

Non importa che i negozi soffrano e che le botteghe dei dettaglianti restino sfitte; che il superfluo sia stato bandito, che i ragazzi comprino le fotocopie al posto dei libri che costano troppo e che lo scontrino medio decresce inesorabilmente. Non importa che tutti gli indicatori economici dipingano un quadro ogni giorno più fosco, alla tavola del Mulino Bianco c’è ancora posto per il pubblico di bocca buona.

Molti di noi hanno pensato e continuano a pensare che la realtà dovrebbe essere il punto di riferimento capace di ispirare la comunicazione di oggi. Sbagliato, non è così: per quanto seria possa essere la crisi, la pubblicità non può permettersi di esserlo altrettanto.

La realtà vera risulta indigesta, la gente non è disposta a mandarla giù. Il pubblico-bambino reclama l’omogeneizzato, il pappone dolciastro che entra in bocca a cucchiaiate, il pubblicitario deve solo fare il verso dell’aereo che romba e che si dirige dentro milioni di boccucce spalancate: wrummmm....ahmm!

Ogilvy diceva: Il consumatore non è uno stupido. Il consumatore è tua moglie. O mia moglie è rimbambita o noi pubblicitari italiani siamo inadeguati, fissati con il valore dell’onestà:

Truth well told, dicevano in McCann. Oggi, probabilmente, La menzogna ben detta avrebbe più riscontro.

La verità è che per lo specchio made in Italy, il tempo non passa mai: Craxi è vivo, e nelle discoteche romane Gianni De Michelis balla ancora. Ma se è così, il pubblicitario coscienzioso deve accettare l’idea che il dire una palla non è più una sordida induzione all’acquisto ma è diventata una necessità. Cosa chiede l’Italia alla pubblicità? Ti prego, dimmi una palla, un’altra ancora.. Questo è il sentiment del grande pubblico. Le favole non stancano mai.

I più accorti di noi hanno presentito tutto ciò e allora diventa vero Banderas che fa i suoi biscotti nel mulino dove erroneamente la macina del frantoio anziché spremere le olive, per l’occasione macina il grano; sono vere le pene d’amore adolescenziali curabili solo con le mozzarelle Santa Lucia. Anche i guerrieri della notte e delle prime luci dell’alba alimentati dall’Enel sono veri. Smettiamola dunque di batterci il petto con professionale contrizione: pubblicità e verità non fanno rima. Non è giusto svegliare 50 milioni di connazionali che dormono. Il pubblico vuole le palle e noi che ce le abbiamo dobbiamo dargliele.

Aldo Biasi

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