Csr
Le regole per comunicare la responsabilità
Come comunicare la responsabilità sociale? Ne hanno discusso aziende, agenzie, centri media, onlus e consumatori nel corso della tavola rotonda organizzata da ADC Group che si è tenuta oggi all'Università Bocconi di Milano, nell'ambito di due manifestazioni concomitanti, il 6° Salone Dal Dire Al Fare e la prima edizione della Settimana della Comunicazione.
Come comunicare la responsabilità sociale? Se n'è discusso oggi all'Università Bocconi di Milano nel corso della tavola rotonda organizzata da ADC Group nell'ambioto di due manifestazioni concomitanti, il 6° Salone Dal Dire Al Fare e la prima edizione della Settimana della Comunicazione. Autorevoli e stimolanti gli interventi da parte di esponenti del mondo delle imprese, delle agenzie di comunicazione, e dei consumatori, moderati dal presidente di ADC Group, Salvatore Sagone, che pur partendo da punti di vista differenti hanno alla fine condiviso due dei punti salienti fra i tanti affrontati: in primo luogo, ed era affatto scontato, che la CSR deve essere comunicata; e in secondo che sono necessarie nuove modalità e nuove regole per farlo correttamente.
Le trappole del Greenwashing
Alessio Alberini, cofondatore di Greenbean, ha illustrato in anteprima i risultati di una ricerca effettuata dall'agenzia - prima in Italia a dedicarsi esplicitamente alla sostenibilità dei brand - sul fenomeno del greenwashing. Delle campagne stampa di 83 marche le cui campagne stampa uscite negli ultimi due anni proponendo come messaggio principale temi legati alla sostenibilità, 53 sono quelle selezionate e analizzate da greenbean come evidenti casi di greenwashing. 6 gli errori più comuni quando si tenta di sedurre il consumatore proponendo un prodotto o una marca “green”.
Il problema è "dal fare al dire"
Fulvio Rossi ha posto la questione in modo leggermente diverso, partendo dal fatto che Terna, l'azienda di cui è responsabile della direzione relazioni esterne e comunicazione responsabilità sociale d'impresa, non comunica direttamente ai consumatori: “Anche se siamo fuori dal coro - ha osservato - mi sembra che i difetti riscontrati dall'analisi di greenbean siano di due tipi: un difetto di responsabilità sociale (ma si comunica come se ci fosse); un difetto di comunicazione (la responsabilità c'è ma la si comunica male). Si tratta in fondo di un problema intrinseco nel passaggio 'dal fare al dire'. Spesso si parte in una posizione di handicap, perché anche raccontare quanto si è fatto davvero può apparire autocelebrativo”.
La seconda riflessione di Rossi ha riguardato poi lo strumento di comunicazione proncipale adottato nella comunicazione della responsabilità d'impresa, il bilancio sociale: “La redazione del bilancio di sostenibilità - ha proseguito infatti - è il primo passo di chi inizia a comunicare, ma anche in quella sede si possono raccontare chiacchiere e poco altro. Anche se ci sono standard internazionali di valutazione e certificazione di questi bilanci, non ho mai avuto la sensazione che a qualcuno interessasse questo fatto”.
Altro tema ancora sollevato da Rossi è quello delle partnership: Terna, fra le altre cose, ha realizzato per esempio diversi progetti importanti, anche dal punto di vista dell'impegno economico, insieme ad associazioni come WWF o Lipu. Ma si pone il problema di come queste partnership esterne possano essere d'aiuto nel formulare un giudizio esterno e credibile a ulteriore certificazione dell'impegno e della responsabilità praticata: “Una loro testimonianza sarebbe credibile - si è domandato - o il conflitto di interessi invaliderebbe il loro giudizio?”
Il fattore Agassi
Richard Davis, client & project manager di Clownfish (Gruppo Aegis Media), paragonando quanto accaduto nel mondo della comunicazione con il “fattore Agassi” (il tennista degli anni '80 famoso anche per il suo look assolutamente non convenzionale): “Anche le marche hanno puntato tutto sull'immagine - ha detto Davis - ma oggi che quella immagine non le rappresenta più continuano a investire su cose che alle persone non dicono più niente. Per questo tutti i problemi cui hanno accennato Alberini e Rossi mi sembrano risolvibili attraverso un semplice passo: avvicinare la CSR propriamente detta e la comunicazione - che finora hanno viaggiato ciascuna per proprio conto - integrandole entrambe in seno al brand”.
Attraverso alcune case history, Davis ha quindi definito i 4 ambiti in cui i valori di sostenibilità delle marche possono essere integrati nelle strategie aziendali: la comunicazione, naturalmente, ma anche i comportamenti (di tutte le persone che rappresentano il brand), i prodotti stessi e il contesto in cui si muovono. “Dal mio punto di vista, oggi occorre non pensare più in termini di green marketing ma iniziare a ragionare di comunicazione sostenibile. Solo così si crea un movimento, si coinvolgono le persone, si trascende la ciclicità delle classiche 'campagne' e si dimostra di essere avanti”.
Sms solidali per il sorriso dei bambini
Ludovica Vanni, presidente di Strategy & Media Group, ha illustrato la case history della Onlus For a Smile, di cui è presidente e socio fondatore, nata quattro anni fa proprio dalla sua esperienza nel mondo dei media e della comunicazione per migliorare la qualità di vita dei bambini di tutto il mondo, soddisfacendo le loro necessità di acqua, cibo, salute e sviluppo attraverso la raccolta di fondi, la mobilitazione di risorse e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Il milione di euro raccolto dalla Onlus è stato utilizzato per 16 progetti attivi in oltre 4 continenti e 12 nazioni.
“For a Smile - racconta Vanni - è riuscita ad entrare nello stretto numero di onlus che possono attivare gli sms solidali, uno strumento di grande aiuto nel fund raising per il contatto diretto con il pubblico, ma per il quale è necessario un grandissimo sforzo dal punto di vista della comunicazione. Inoltre, è stato scelto un diverso dialogo con le aziende, proponendo strategie mirate di co-marketing e collaborazioni virtuose ed etiche, anche a fronte di un reciproco interesse. Far bene, infatti, fa bene a tutti, alle persone come alle aziende. Ad esempio, dal 2009 aziende importanti del calibro di Recarlo gioielli, Superga, Kappa e Gas Bijoux hanno sposato la nostra missione, realizzando prodotti solidali in limited edition".
Essenziali sono la trasparenza e la coerenza, ha aggiunto, e forse, dal punto di vista delle certificazioni, "La più efficace - ha concluso Ludovica Vanni - rimane quella del fare e del far vedere che cosa si è ottenuto".
I consumatori non ci cascano più
L'ultimo intervento è stato quello dell'avvocato Alessandro Mostaccio, presidente Movimento Consumatori Piemonte e componente la Segreteria Nazionale Movimento Consumatori. "Di trasparenza, responsabilità e sostenibilità se ne parlava, ma non si faceva nulla di concreto, già 20
anni fa - ha dichiarato -: oggi, invece, siamo in un momento davvero epocale, in cui i consumatori sono
molto più avanti di quanto si creda. Il tema dell'etica d'impresa è forse eccessivo: nessuno chiede a
marche e prodotti di essere 'morali'. Ma all'estremo opposto c'è il greenwashing, e il rischio è altissimo
che il settore marcisca ancor prima di fiorire. Ci sono alcuni settori in particolare in cui di responsabilità sociale non si dovrebbe neppure parlare, dovrebbe essergli vietato! Pensiamo a casi come Cirio o Parmalat e all'impatto così profondo che hanno avuto su migliaia di famiglie: una loro campagna 'sociale', e prima o poi arriveranno, sarebbe totalmente priva di credibilità".
Mostaccio ha toccato poi un tema fondamentale della rendicontazione della RSI: "Va bene raccontare quanto si è fatto di buono, ma quello che al consumatore interessa molto di più è sapere che cosa l'azienda fa di male. Questa sì che sarebbe vera trasparenza. Non abbiamo alcun interesse per aziende 'super-eroiche': vogliamo semplicemente che facciano il loro mestiere".
Anche sulla comunicazione pubblicitaria il presidente del Movimento COnsumatori del Piemonte ha le idee chiarissime: "Stiamo tornando dalla forma alla sostanza. Dopo l'era della pubblicità di prodotto siamo passati alla pubblicità di marca. Oggi quella che serve è una pubblicità ad approccio integrato, che parli di produzione e di ambiente, di responsabilità e sostenibilità, dei lavoratori e di tutto il resto... Il problema, però, è anche di linguaggio dell'advertising: non si può adoperare lo stesso strumento che ieri era usato per comunicare forma, aspirazioni e modelli inarrivabili per dire oggi, credibilmente, cose vere, di sostanza. La stessa certificazione dei bilanci sociali oggi di moda è spesso puro formalismo".
Le trappole del Greenwashing
Alessio Alberini, cofondatore di Greenbean, ha illustrato in anteprima i risultati di una ricerca effettuata dall'agenzia - prima in Italia a dedicarsi esplicitamente alla sostenibilità dei brand - sul fenomeno del greenwashing. Delle campagne stampa di 83 marche le cui campagne stampa uscite negli ultimi due anni proponendo come messaggio principale temi legati alla sostenibilità, 53 sono quelle selezionate e analizzate da greenbean come evidenti casi di greenwashing. 6 gli errori più comuni quando si tenta di sedurre il consumatore proponendo un prodotto o una marca “green”.
- Il caso più diffuso riguarda gli annunci che evidenziano una sola caratteristica del prodotto o servizio pensando che sia sufficiente a caratterizzare come sostenibile l'intera azienda.
- Il secondo è quello dell'informazione a supporto del claim non provata, non provabile o addirittura nascosta.
- È sbagliato anche “autocertificare” la propria sostenibilità, senza ricorrere a terze parti, magari appiccicando alle confezioni o agli annunci eco-etichette assolutamente fasulle.
- Altro errore comune è comunicare caratteristiche vere ma sostanzialmente irrilevanti se non facenti parte di un percorso e di un processo più ampio: per esempio, la compensazione di emissioni di CO2 relative a un singolo evento con un progetto di riforestazione farebbe diventare green la marca o il prodotto di riferimento.
- Qualcuno cerca, inutilmente, di spostare l'attenzione sulla propria generosità nel finanziare progetti socio-ambientali. Ma di nuovo, non è questo che “fa” una marca sostenibile.
- Infine, l'uso - e spesso l'abuso - di visual che richiamano il green ma senza alcuna relazione con il prodotto o il brand.
Il problema è "dal fare al dire"
Fulvio Rossi ha posto la questione in modo leggermente diverso, partendo dal fatto che Terna, l'azienda di cui è responsabile della direzione relazioni esterne e comunicazione responsabilità sociale d'impresa, non comunica direttamente ai consumatori: “Anche se siamo fuori dal coro - ha osservato - mi sembra che i difetti riscontrati dall'analisi di greenbean siano di due tipi: un difetto di responsabilità sociale (ma si comunica come se ci fosse); un difetto di comunicazione (la responsabilità c'è ma la si comunica male). Si tratta in fondo di un problema intrinseco nel passaggio 'dal fare al dire'. Spesso si parte in una posizione di handicap, perché anche raccontare quanto si è fatto davvero può apparire autocelebrativo”.
La seconda riflessione di Rossi ha riguardato poi lo strumento di comunicazione proncipale adottato nella comunicazione della responsabilità d'impresa, il bilancio sociale: “La redazione del bilancio di sostenibilità - ha proseguito infatti - è il primo passo di chi inizia a comunicare, ma anche in quella sede si possono raccontare chiacchiere e poco altro. Anche se ci sono standard internazionali di valutazione e certificazione di questi bilanci, non ho mai avuto la sensazione che a qualcuno interessasse questo fatto”.
Altro tema ancora sollevato da Rossi è quello delle partnership: Terna, fra le altre cose, ha realizzato per esempio diversi progetti importanti, anche dal punto di vista dell'impegno economico, insieme ad associazioni come WWF o Lipu. Ma si pone il problema di come queste partnership esterne possano essere d'aiuto nel formulare un giudizio esterno e credibile a ulteriore certificazione dell'impegno e della responsabilità praticata: “Una loro testimonianza sarebbe credibile - si è domandato - o il conflitto di interessi invaliderebbe il loro giudizio?”
Il fattore Agassi
Richard Davis, client & project manager di Clownfish (Gruppo Aegis Media), paragonando quanto accaduto nel mondo della comunicazione con il “fattore Agassi” (il tennista degli anni '80 famoso anche per il suo look assolutamente non convenzionale): “Anche le marche hanno puntato tutto sull'immagine - ha detto Davis - ma oggi che quella immagine non le rappresenta più continuano a investire su cose che alle persone non dicono più niente. Per questo tutti i problemi cui hanno accennato Alberini e Rossi mi sembrano risolvibili attraverso un semplice passo: avvicinare la CSR propriamente detta e la comunicazione - che finora hanno viaggiato ciascuna per proprio conto - integrandole entrambe in seno al brand”.
Attraverso alcune case history, Davis ha quindi definito i 4 ambiti in cui i valori di sostenibilità delle marche possono essere integrati nelle strategie aziendali: la comunicazione, naturalmente, ma anche i comportamenti (di tutte le persone che rappresentano il brand), i prodotti stessi e il contesto in cui si muovono. “Dal mio punto di vista, oggi occorre non pensare più in termini di green marketing ma iniziare a ragionare di comunicazione sostenibile. Solo così si crea un movimento, si coinvolgono le persone, si trascende la ciclicità delle classiche 'campagne' e si dimostra di essere avanti”.
Sms solidali per il sorriso dei bambini
Ludovica Vanni, presidente di Strategy & Media Group, ha illustrato la case history della Onlus For a Smile, di cui è presidente e socio fondatore, nata quattro anni fa proprio dalla sua esperienza nel mondo dei media e della comunicazione per migliorare la qualità di vita dei bambini di tutto il mondo, soddisfacendo le loro necessità di acqua, cibo, salute e sviluppo attraverso la raccolta di fondi, la mobilitazione di risorse e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Il milione di euro raccolto dalla Onlus è stato utilizzato per 16 progetti attivi in oltre 4 continenti e 12 nazioni.
“For a Smile - racconta Vanni - è riuscita ad entrare nello stretto numero di onlus che possono attivare gli sms solidali, uno strumento di grande aiuto nel fund raising per il contatto diretto con il pubblico, ma per il quale è necessario un grandissimo sforzo dal punto di vista della comunicazione. Inoltre, è stato scelto un diverso dialogo con le aziende, proponendo strategie mirate di co-marketing e collaborazioni virtuose ed etiche, anche a fronte di un reciproco interesse. Far bene, infatti, fa bene a tutti, alle persone come alle aziende. Ad esempio, dal 2009 aziende importanti del calibro di Recarlo gioielli, Superga, Kappa e Gas Bijoux hanno sposato la nostra missione, realizzando prodotti solidali in limited edition".
Essenziali sono la trasparenza e la coerenza, ha aggiunto, e forse, dal punto di vista delle certificazioni, "La più efficace - ha concluso Ludovica Vanni - rimane quella del fare e del far vedere che cosa si è ottenuto".
I consumatori non ci cascano più
L'ultimo intervento è stato quello dell'avvocato Alessandro Mostaccio, presidente Movimento Consumatori Piemonte e componente la Segreteria Nazionale Movimento Consumatori. "Di trasparenza, responsabilità e sostenibilità se ne parlava, ma non si faceva nulla di concreto, già 20
anni fa - ha dichiarato -: oggi, invece, siamo in un momento davvero epocale, in cui i consumatori sono
molto più avanti di quanto si creda. Il tema dell'etica d'impresa è forse eccessivo: nessuno chiede a
marche e prodotti di essere 'morali'. Ma all'estremo opposto c'è il greenwashing, e il rischio è altissimo
che il settore marcisca ancor prima di fiorire. Ci sono alcuni settori in particolare in cui di responsabilità sociale non si dovrebbe neppure parlare, dovrebbe essergli vietato! Pensiamo a casi come Cirio o Parmalat e all'impatto così profondo che hanno avuto su migliaia di famiglie: una loro campagna 'sociale', e prima o poi arriveranno, sarebbe totalmente priva di credibilità".
Mostaccio ha toccato poi un tema fondamentale della rendicontazione della RSI: "Va bene raccontare quanto si è fatto di buono, ma quello che al consumatore interessa molto di più è sapere che cosa l'azienda fa di male. Questa sì che sarebbe vera trasparenza. Non abbiamo alcun interesse per aziende 'super-eroiche': vogliamo semplicemente che facciano il loro mestiere".
Anche sulla comunicazione pubblicitaria il presidente del Movimento COnsumatori del Piemonte ha le idee chiarissime: "Stiamo tornando dalla forma alla sostanza. Dopo l'era della pubblicità di prodotto siamo passati alla pubblicità di marca. Oggi quella che serve è una pubblicità ad approccio integrato, che parli di produzione e di ambiente, di responsabilità e sostenibilità, dei lavoratori e di tutto il resto... Il problema, però, è anche di linguaggio dell'advertising: non si può adoperare lo stesso strumento che ieri era usato per comunicare forma, aspirazioni e modelli inarrivabili per dire oggi, credibilmente, cose vere, di sostanza. La stessa certificazione dei bilanci sociali oggi di moda è spesso puro formalismo".