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OBE Summit 2024. Il fattore umano al centro delle strategie, nello sport come in azienda
La discussione è partita dalla celebra frase di De Coubertain secondo il quale la cosa importante è partecipare: quanto è vero questo assunto, ha domandato Cartolano?
“Devo ammettere di essere una persona competitiva – ha risposto Mirja Cartia d’Asero, CEO Gruppo 24 Ore –, quindi per me il risultato è importante. Poi per arrivarci si può sbagliare mille volte ma non bisogna scoraggiarsi davanti ai fallimenti
e anzi considerarli un allenamento. Accanto a me c'è la persona che ha scritto ‘Allenare per vincere’, quindi non posso che ribadire che anche per noi l’allenamento è per vincere”.
“Intanto bisogna completare questa frase attribuita al barone De Coubertain – ha aggiunto Antonio La Torre, Direttore Tecnico della Federazione Italiana Atletica Leggera –, che diceva che l’importante non è solo partecipare ma anche cercare di dare il meglio di se stessi. Quindi una volta che si è fatto quello, il risultato che ne viene può essere poche volte una vittoria, tante volte una sconfitta. Senza troppa retorica, la cosa importante è ciò che si impara entrando in gara: io ho avuto la fortuna di stare vicino a tanti grandissimi atleti, di allenarne qualcuno anche molto bravo, ma una volta che sei arrivato molto in alto devi rimanerci, e per farlo bisogna continuare ad allenarsi ogni giorno”.
Il segreto è la continua adattabilità, ha proseguito il presidente FIDAL: “Vivo in un ambiente dove spingiamo le persone a toccare i loro limiti umani ed è una continua battaglia: ho ascoltato con molto interesse ciò che è stato detto negli altri panel a proposito di Intelligenza Artificiale perché sto cercando di capire come questa può aiutarci anche nello sport. Ma alla fine resta sempre l'imponderabile fattore umano, perché a volte il problema sono i dettagli, e su quei dettagli perdiamo le notti, il sonno e la ragione. Poi però si riparte e si ricomincia”.
Tonia Cartolano, giornalista di Sky Tg24 e moderatrice dell’incontro, ha quindi messo in evidenza la validità del metodo scientifico di cui La Torre è promotore e acceso sostenitore nel mondo dell’Atletica: “In realtà io faccio il docente universitario, un lavoro che mi piace tantissimo e al quale non ho rinunciato neanche diventando direttore tecnico: quello che rivendico è di aver portato un approccio scientifico, basato sull'evidenza scientifica, anche nel mondo dell’allenamento. Perché oggi nessuna competizione si può più vincere da soli”.
Al mondo dell’Atletica Leggera, ha spiegato La Torre, partecipano oltre 200 paesi, più di quanti ne siano rappresentati all'ONU: “Pensate all'isola Santa Lucia: ha 70.000 abitanti e lì è nata la ragazza che in questo momento è campionessa olimpica dei 100 metri. Una delle cose più difficili al mondo. Ecco, per affrontare questo contesto se non si arriva con un approccio serio, basato sui numeri, non si va da nessuna parte”.
Valore e allenamento
Citando l’intervento di Laura Corbetta, presidente OBE, (leggi news), Cartolano ha sottolineato l’importanza della parola ‘valore’, ricordando come al momento del suo ingresso al Sole 24 Ore Mirja Cartia d’Asero somministrò ai dipendenti un questionario proprio per capire i valori del Gruppo ottenendo ben il 92% di risposte: “Una reazione che mi ha confortato, nonostante le risposte non siano state tutte positive, e che mi ha permesso di partire dalla consapevolezza dei valori in cui i colleghi si riconoscevano: affidabilità e professionalità del Gruppo. Un’ottima base di partenza sulla quale abbiamo cominciato a costruire un percorso tutti insieme che dopo 14 anni di risultati in perdita ci ha riportato in utile. Un risultato di cui essere tutti fieri”.
Se per un lavoro di squadra come quello del Gruppo 24 Ore, ha commentato Cartolano, occorre un intenso allenamento, tornando allo sport, come e quanto vanno allenati gli atleti da un punto di vista mentale oltre che fisico?
“Ormai si conosce quasi il 95-98% delle potenzialità fisiologiche del corpo umano, mentre il cervello resta ancora un campo straordinario di avventura – ha risposto La Torre –: l'allenamento del cervello non è solo il mental coach, lo psicologo. Bisogna proprio immaginare il cervello che ‘fa i pesi’: per esempio, con l’Università di Verona, abbiamo provato a stressare degli atleti di resistenza prima che iniziassero a correre mettendoli a fare giochini stupidi come gli stroop test. Dopo 15 minuti la gente voleva spaccare il tablet e quando è uscita a correre era mentalmente affaticatissima: ma abbiamo misurato come nella parte finale di questa corsa, quando il fisico comincia a non farcela più interviene un supplemento di aiuto da parte del cervello, che ha già vissuto quella sensazione di super fatica ed è pronto a spostare un metro più in là l’asticella o il traguardo. Ho banalizzato, ma sappiamo che esistono ancora molte risorse da scoprire. Come quando uno dice ‘non ce la faccio più’ ma se gli sventoli davanti un assegno da mille dollari all'improvviso trova altre risorse e nuova forza! Sono pubblicazioni scientifiche, non sto scherzando...”.
Un metodo, ha ironizzato Cartia d’Asero, che funziona anche in azienda... In tutto questo è però indispensabile ricordarsi che si sta parlando a degli esseri umani, delle persone – e ciò vale tanto per gli atleti nello sport quanto per i consumatori nel caso delle aziende. Il recente caso di Jimbo Tamberi, ha osservato La Torre, è stato sotto gli occhi di tutti e ce lo fa capire: dopo una lunga e ossessiva preparazione una banalissima colica renale la notte prima della gara ha rovinato un lavoro di tre anni fatto in maniera certosina. “Dobbiamo sempre ricordare che alla fine la differenza la fa proprio l'essere umano, e ne abbamo tantissime prove: le Paralimpiadi di questi giorni che ci insegnano davvero tantissimo in questo senso”.
Purpose e responsabilità
Cartolano ha quindi chiesto a Cartia d’Asero cosa pensasse del pensiero di Benedetto Cotrugli, datato 1458 ma ancora assolutamente attuale, secondo il quale l'obiettivo primario di un'attività di impresa, che oggi si definirebbe purpose, è la conservazione del genere umano.
“Credo che nessuno di noi lavori per l'assegno da 1.000 euro sventolato davanti al naso – ha risposto la manager –. Può aiutare per fare l'ultimo miglio o per essere ispirazionale, ma la mattina quando ci svegliamo, è una famosa frase di Einstein,
non c'è nessuna forza o energia in natura che sia come la determinazione. Non è questione di talento o di genio, ma di perseveranza, di determinazione, di costanza.
In azienda come nello sport, si deve fare un pezzo per volta, essere consapevoli dei risultati, farlo insieme e sempre nella direzione che abbiamo condiviso. La responsabilità del leader è anche quella di avere sempre chiara l'agenda sociale, di
far vedere dove si è arrivati e dove si vuole andare, e la perseveranza di metterci sempre impegno in modo costante”.
A proposito di responsabilità, è intervenuto La Torre, all'interno di una squadra ma anche in un lavoro singolo è fondamentale rifiutare la cultura dell'alibi: “La prima cosa che ho fatto arrivando in Federazione è stato dire smettiamola di cercare scuse, prendiamoci le nostre responsabilità. Paradossalmente la più grossa soddisfazione dei Giochi di Tokyo non sono state le 5 medaglie d'oro ma una giornalista che mi ha detto ‘qui non viene più a piangere nessuno’”.
Ultimo tema toccato è stato quello dell’inclusione e della valorizzazione degli italiani di seconda generazione: sui 400 atleti italiani a Parigi 2024, le donne erano la metà, e questo è già un risultato notevole; gli italiani di seconda generazione sono stati
invece il 9% del totale ma il 25% nel campo dell’atletica leggera. Quanto sono importanti il coinvolgimento e l’inclusione, anche delle categorie più fragili e più deboli?
“Importantissimo, perché è lo specchio di quello che siamo – ha risposto La Torre –. Ragazzi come Mattia Furlani e Filippo Tortu, che non hanno lo stesso colore della pelle, vi risponderebbero allo stesso modo: ma nel 2024 dobbiamo parlare ancora di queste cose? Pensiamo alla nazionale di calcio che agli Europei non ha ottenuto un buon risultato: eravamo l'unica nazione che non aveva in campo nessun italiano di seconda generazione. La Spagna, che è una grandissima scuola e avete visto i risultati, è stata protagonista di una bellissima storia di integrazione sociale e valoriale dei suoi due nuovi fenomeni. Questo è il mondo”.
TR