
Marketing
Radio in store, uno strumento con grandi potenzialità per il marketing
Sono molti gli elementi che influenzano l’esperienza di consumo nel punto vendita: uno di questi è la Radio in Store, vale a dire la musica e i messaggi diffusi nel punto vendita. Un elemento, questo, importante, che però in Italia troppo spesso è sottovalutato o non pienamente sfruttato dalle aziende. Proprio su questo tema si è incentrato un convegno tenutosi oggi 8 novembre all’Università Bocconi di Milano.
Punto di partenza della riflessione è la ricerca - la prima di questo tipo svolta sulla realtà italiana - condotta dal Centro di Ricerca Cermes Bocconi in collaborazione con MCube, che indaga gli effetti della Radio in Store sui diversi protagonisti coinvolti: le aziende, i consumatori e i dipendenti.
“Da ricerche svolte a livello internazionale abbiamo già importanti elementi - ha esordito Andrea Ordanini, direttore del dipartimento di marketing dell’Università Bocconi -. Sappiamo innanzitutto che la musica in store influenza acquisti: aumenta cioè il livello di spesa medio, la presenza ha un mood positivo e migliora la predisposizione ad acquisti. Ma sappiamo anche che ha effetti complessi, come il fatto che il ritmo veloce della musica piace agli uomini ma non alle donne, accontenta i giovani e aumenta il tempo percepito di permanenza. E poi sappiamo che la radio in store è dinamica, nel senso che le aziende hanno atteggiamenti spesso opposti nei suoi confronti”. C’è infatti chi, come MoodMedia, si è meritato la copertina del magazine Forbes per avere introdotto il servizio di Juke box elettronico nel punto vendita, e chi, invece, come Marks & Spencer, che finito sulla cover del The Guardian per avere spento la musica nel punto vendita.
I manager
Venendo all’Italia, diversi sono gli spunti emersi dall’indagine di MCube e Bocconi.
Per quanto riguarda l’ambito manageriale, sono stati coinvolti i manager delle insegne con più di 30 punti vendita, per un totale di 79 rispondenti di diversi settori: servizi, banche, food & beverage, retail (food e non food), e telco.
“È interessante notare come l’utilizzo della musica in store sia presente nel 54 %delle strutture intervistate (non considerando le Poste) – continua Ordanini -, con una predominanza nel settore food (86%) e retail (72%). Per il non utilizzo spiccano invece la finanza (13%), seguita dai servizi (27%). Le motivazioni? Per servizi e finanza predomina la convinzione che non abbia valore, mentre per Retail e telco pesa di più la voce costi, soprattutto quelli dei diritti d’autore, che sono percepiti come alti.
Fra le modalità di diffusione predominano, a seconda del settore, la Radio Fm, e la Web Radio, mentre per la gestione del servizio di Radio in store finanza e food prediligono un provider esterno, mentre il retail se ne occupa nella quasi totalità internamente.
Interessante, poi, il focus sul ruolo della musica in store. “per la maggioranza essa completa l’immagine del punto vendita – continua Ordanini -, migliora l’ambiente lavorativo e motiva i dipendenti”.
I consumatori
Fra gli 80 consumatori intervistati mentre si trovano nel punto vendita, si nota una distinzione fra i punti vendita del lusso e quelli non lusso. “Per i negozi del luxury i consumatori percepiscono la musica in store come piacevole ma non importante – specifica Ordanini -, mentre nel non luxury si ha un’opinione opposta: la musica è un elemento importante nell’esperienza di shopping, ma spesso non è quella giusta”. Interessante è notare che la musica in store piace molto di più alle donne che agli uomini, così come ai giovani molto interessati alla musica.
“In conclusione, la radio non è considerata fondamentale nei contesti luxury e food, mentre nei department stores le viene assegnata maggiore importanza.
In diversi casi, l’offerta musicale attuale non è molto gradita. Inoltre i clienti esprimono diverse preferenze in termini di genere, ritmo e volume della musica nei diversi tipi di punto vendita, anche in funzione del firma. Sesso ed età della clientela target sono elementi da tenere in considerazione nella definizione delle playlist”.
I dipendenti
Sono quelli di fatto più esposti alla radio in store, dato che vi lavorano più ore al giorno. Però è la categoria meno considerata quando vengono compiute delle scelte in merito. In particolare, dall’indagine – che ha svolto due focus group con sei persone l’uno -c’è una polarizzazione fra il segmento luxury e quello non luxury. “Nei monomarca e nei negozi di lusso la musica non parla al dipendente – spiega Ordanini -, che non è assolutamente coinvolto nelle scelte strategiche per musica, pensata invece per il cliente: con il risultato che quando i clienti chiedono qual è la musica trasmessa, i dipendenti non sanno rispondere”. Andando verso il mass market e il food questo sentimento di esclusione diminuisce, ma persiste la convinzione che il volume o il ritmo della musica siano sbagliati. “Nel Food, la musica favorisce la socialità tra i dipendenti e solo in misura minore sembra rivolgersi ai clienti. – continua -. Importante, poi, è che viene lamentato il fatto che la radio in store non viene utilizzata per comunicare messaggi ai dipendenti, magari prima dell’apertura del negozio”, conclude Ordanini.
Opinioni a confronto
Nella tavola rotonda seguita alla presentazione della ricerca si sono confrontati diverse personalità coinvolte dall’argomento.
Francesco Bottigliero, chief digital and information officer Brunello Cucinelli e chief executive officer Fiera Digitale/ePitti.com, ha spiegato come l’azienda di lusso del cashmere da tre anni si appoggi a un professionista esterno per la radio store dei suoi oltre 120 punti vendita fuori dall’Italia. “Ci eravamo resi conto che in alcuni negozi veniva trasmessa musica italiana di moltio tempo fa, soprattutto non coerente con il marchio – ha spiegato -. Ci siamo quindi rivolti a un professionista, che propone un palinsesto che interpreti l’italianità e i nostri valori, che viene vagliato da un piccolo ‘comitato di saggi’, che vaglia le proposte. I costi? Non sono alti, ne vale la pena”.
Tea della Pergola, direttore marketing Euronics Italia, ha portato l’esperienza di una marca della grande distribuzione che ha un pubblico molto eterogeneo, trasversale in età e genere. “Ciò rende ovviamente difficile fare musica che si rivolge a un target specifico – ha spiegato - . Inoltre dobbiamo tenere conto degli orari: mentre al mattino, quando c’è meno gente, è piacevole sia per i clienti che per i dipendenti avere della musica, dalle 18 in poi, quando i negozi si riempiono, è d’obbligo regolare il volume. Il palinsesto, poi, è molto flessibile, e può essere scelto anche dai dipendenti, in accordo con lo store manager”.
Molto interessante, poi, il punto di vista di Manlio Romanelli, presidente Mcube, provider di radio in store. “Spesso le decisioni sulla musica da trasmettere in store sono banalizzate – ha spiegato -. Ma per creare un legame con i valori del brand è necessario avere in mente tre pilastri: l’identità del marchio, l’aspettativa del cliente e l’attenzione al dipendente. Queste tre necessità vanno fuse per creare un disegno del profilo musicale efficace”.
Ma perché una strategia di questo tipo sia efficace è fondamentale avere le tecnologie giuste, primo fra tutti un sistema di distribuzione audio che funzioni bene. “Ma affidarsi solo alla Radio Fm, come emerge dalla ricerca, è un suicidio: piuttosto è meglio il silenzio – commenta Romanelli -.Per questo è importante affidarsi a chi professionalmente fa questo lavoro”.
Nel futuro, secondo Romanelli, la musica in store avrà un grande sviluppo nella distribuzione commerciale. “Inoltre si avrà una crescita dell’uso dei video in contempornaea con la radio in store, che richiama i messaggi del video”, ha spiegato.
Pareri più da addetti ai lavori del settore musicali sono stati quelli di Enzo Mazza, ceo FIMI-Federazione Industria Musicale Italiana, ed Eugenio Di Giandomenico, docente nel dipartimento musicale all’Accademia di Brera di Milano. “Oggi ancora la radio in store è concepita come un costo perché non se ne capisce il valore – ha spiegato Enzo Mazza -, ma quando si capirà si chiarirà che è un elemento determinante, si avrà un’offerta mirata con ritorni importanti”.
“Questa ricerca è interessante, ma è un primo passo – ha aggiunto Di Giandomenico -. Importante è fare capire alle aziende il valore delle arti, musica compresa, e farle percepire come elemento di benessere, in un’ottica anche di Csr.
Ilaria Myr