Inchieste

Coronavirus. Albanese (Action Brand Events): "Oltre l'epidemia. Un nuovo Umanesimo, un nuovo modo di comunicare"

Il Founder dell'agenzia, in questo intervento, sottolinea come nel difficile scenario marcato dal Coronavirus serva un nuovo approccio che crei una nuova fratellanza globale basata su dialogo, valori comuni, rispetto delle persone, protezione della natura e dell’ambiente e sulla responsabilità sociale. Il nuovo Umanesimo riguarda anche la comunicazione, che deve rimettere al centro il dialogo diretto con il singolo individuo, in modo etico, trasparente, responsabile e dimostrabile. Il business dovrà imparare a venire dopo la comunicazione, adattandosi ai valori e alle esigenze della collettività.

Dopo aver negato il pericolo del Coronavirus e dopo aver affidato l'America nelle mani di Dio via tweet, Donald Trump ha prontamente invertito la rotta con provvedimenti restrittivi (sulla falsariga di quelli adottati in gran parte dei Paesi europei) e ha stanziato mille miliardi di dollari per una “guerra” che, tuttavia, vede ancora Stati come la Florida ignorare totalmente il pericolo.

Per parte sua, l’Unione Europea ha dimostrato una volta di più la propria debolezza (quantomeno la sua, mi si consenta il gioco di parole, disunione), perseguendo l’unica linea che conosce, ovvero quel
“liberi tutti” che lascia ogni Paese decidere se, come e quando prendere delle contromisure.

E la recente decisione della BCE di sostenere economicamente i Paesi colpiti dalla catastrofe virale, pur encomiabile e di sicuro preziosa, non basta ed è anche tardiva.
E poi c’è l’Inghilterra, fresca di Brexit, che solo in questi ultimi giorni – grazie anche alla vera e propria ribellione della comunità scientifica e sanitaria interna - sta abbandonando, seppur riluttante, il “business as usual” e quell’assurda soluzione della cosiddetta “immunità di gregge” riassunta dal Governo Johnson in un darwiniano “preparatevi a perdere i vostri cari”.
Potrei continuare nell’elenco, ma lo conosciamo tutti.

In questo caos, c’è però una certezza: il Coronavirus ha trovato terreno facile per propagarsi in ogni angolo del mondo. E avrebbe trovato un terreno ancor più fertile se non fosse per quell’argine eroico costruito da singoli medici e infermieri che, per salvare vite, stanno mettendo a rischio la propria. Senza questo margine, non c’è dubbio che il virus avrebbe già esondato, con effetti ancora più letali.

Ma la vicenda del Coronavirus, oltre a seminare sofferenza e morte, a restringere forzosamente le nostre libertà, ad attentare seriamente alla stabilità dell’economia, ha anche dimostrato che il concetto ATTUALE di globalizzazione, di economia globale, di alleanza globale, non ha più senso: mai come in questa circostanza, queste parole ci appaiono vuote, del tutto prive di significato reale. Si rivelano concetti del tutto astratti.

Ha dimostrato che mancano totalmente strategie condivise, che i Paesi non sono preparati a fare “rete”, che non esistono valide procedure internazionali, che la leadership politica non è all'altezza di guidare la complessità. E non da ultimo ha dimostrato che mancano professionisti della comunicazione in grado di gestire un processo di informazione e di “scambio” di informazioni nonché di esperienze che, alla fine, si sta rivelando, tocca dirlo, un “teatrino” in cui ognuno ha libertà di parola e di opinione (sacrosante, naturalmente, da un punto di vista democratico, ma non se toccano temi scientifici, sanitari e clinici). E a maggior ragione si tratta di un teatrino dell’assurdo e della incomunicabilità, che mette a nudo la mancanza di una vicinanza umana che sarebbe indispensabile nel momento delle grandi difficoltà.

E se il “globale” muore, si torna al locale, perfino al micro locale. Tutto cambia, i paradigmi saltano.
Ed è quello che sta accadendo: le parole accorate dei sindaci di paesini persi nel lodigiano o nella bergamasca, le storie dei medici di base che si sono infettati e hanno perso la vita, i post sui social di medici e infermieri con i loro visi distrutti, gettati stremati a riposare qualche minuto in un angolo per terra, sono diventati in un attimo il punto di riferimento della collettività e del singolo individuo. Quelle parole e quelle immagini si sono trasformate in valori antichi e irrinunciabili, come la fratellanza e la solidarietà.
Tutto encomiabile, per carità. Ma non basta.

Questa pandemia un giorno finirà - grazie a nuovi farmaci e al vaccino - ma da oggi occorre una profonda riflessione politica, sociale e individuale.

Occorre un nuovo patto globale che metta al tavolo dei decisori (se preferite nella stanza dei bottoni) non solo politici e banche centrali, ma uomini e donne di CULTURA, scienziati, filosofi, visionari,
comunicatori.
 Insomma, l’opposto del populismo.

Bisogna dare vita a UN NUOVO UMANESIMO capace di dare fiducia ai singoli individui, alle competenze, di creare una nuova fratellanza globale basata sul dialogo, sui valori comuni, sul rispetto delle persone, sulla protezione della natura e dell’ambiente, sulla responsabilità sociale. Allora la politica dovrà tornare a fare il proprio lavoro, a svolgere la propria missione, che è quella di mediare le istanze, di armonizzare le soluzioni, di valorizzare le cosiddette migliori pratiche e, in definitiva, di garantire appunto la fratellanza globale.
Occorrerà poi un cambio radicale anche nel modo di comunicare, sia da parte delle istituzioni, che delle aziende e dei brand.
Il business dovrà imparare a venire dopo la comunicazione
, adattandosi ai valori e alle esigenze della collettività che la comunicazione avrà saputo rappresentare. E non viceversa.
Certo ci saranno resistenze a questo cambiamento, anche all’interno delle grandi corporation, quasi tutte guidate, negli ultimi 20 anni, da direttori finanziari promossi a CEO. Direttori finanziari, sia chiaro, contro cui non ho nulla di personale, ma che per formazione e cultura tendono a ergersi sempre e comunque in difensori dei profitti e che con i loro numeri hanno tranquillizzato la “fame” degli azionisti, spesso, purtroppo, mortificando i valori di queste società, la loro storia, il rispetto per i dipendenti e per il territorio.

La comunicazione ne ha pagato le conseguenze più dure: la creatività delle agenzie pubblicitarie è stata mortificata, le relazioni pubbliche sono state trasformate in attività residuali, alle agenzie di eventi è stato chiesto di creare grandi contenitori in grado di annacquare i deboli contenuti.
La comunicazione dei politici ha spesso seguito la loro personale mancanza di cultura e si è risolta per lo più in slogan usa e getta.
Il nuovo Umanesimo della comunicazione deve da subito riportare equilibrio e rimettere al centro il dialogo DIRETTO con il singolo individuo. Deve farlo in modo etico, trasparente, responsabile e dimostrabile.
Solo così il “globale” potrà dimostrare il suo NUOVO valore, qualcosa in cui credere, come è giusto che sia.
Chi sarà in grado di attivarsi da subito in questa direzione sarà protagonista di un profondo cambiamento culturale e di comunicazione.
Non è una sfida da poco, ma spero che dalla tragica esperienza che stiamo vivendo riusciremo ad apprendere qualcosa.
Se è vero, come diceva il grande scrittore umanista e pacifista Aldous Huxley, che “Experience is not what happens to you. It is what you do with what happens to you”.


Fabio Albanese
Founder Action Brand Events
Consulente di Comunicazione