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Carta + web: il futuro dell'editoria si gioca su contenuto e innovazione
Entrambi gli scenari sono supportati da alcuni dati empirici. A dare ragione ai più disfattisti sono in particolare quattro evidenze: dal 2005 i ricavi dell'editoria globale sono calati del 31%; negli Stati Uniti 4 player controllano il 63% della pubblicità digitale; il 41% dei giovani naviga su Internet ma non legge stampa, e in media meno del 15% degli utenti web (e meno del 10% dei giovani) ritiene giusto pagare i contenuti online.
Insomma, stando a questi numeri, la somma di carta (1) e digitale (1), dà come risultato non 2 ma 0,5, a tutto svantaggio delle testate cartacee.
Ci sono però altri dati che dimostrano il contrario, ovvero che il modello di business del cartaceo, sommato al modello di business digitale, è in grado di produrre un effetto propulsivo e positivo: in questo caso, 1+1 sarebbe dunque uguale a 3.
Che cosa porta a pensare questo? Innanzitutto il fatto che l'ARPU (ovvero la spesa di una singola persona per servizi di natura digitale) dei consumatori multicanale corrisponda al 130% dell'ARPU dei 'puri digitali'; poi bisogna tener presente che, tra gli abbonati alle testate digitali, il 50% sono nuovi lettori, che non compravano i corrispondenti giornali tradizionali, e che meno del 30% degli utenti smette di acquistare la testata cartacea dopo aver sottoscritto un abbonamento a quella online. Inoltre, da alcune indagini è emerso che il 43% dei giovani naviga su Internet ma legge anche i giornali e che il 25% degli utenti web (e il 20% dei giovani), sarebbe disposto a pagare i contenuti su Internet, a patto che siano di qualità.
Il tema è spinoso, oltre che interessante, e gli operatori del settore hanno opinioni diverse in merito. Oggi, 23 settembre, nell'ambito della Social Media Week, è stato organizzato l'incontro 'Carta + Digitale: un modello vincente per l'editoria del futuro', durante il quale si sono confrontati esponenti del mondo dell'editoria tradizionale e digitale, moderati da Alceo Rapagna, chief digital officer di RCS Mediagroup.
Giorgio Riva, direttore divisione digital publishing RCS Mediagroup, è piuttosto ottimista. "Penso che in effetti l'unione dei due business possa avere degli effetti positivi - ha esordito il manager -. Il Gruppo RCS ha cercato di cogliere fin da subito le opportunità date dal digitale. La sfida è riuscire a capire su quali tecnologie concentrarsi, prestando sempre la massima attenzione alla qualità del contenuto. Credo che gli editori debbano darsi da fare ed essere pronti a modificare le proprie modalità di lavoro alla giusta velocità, cosa che purtroppo nel nostro Paese avviene ancora con una certa difficoltà. Inoltre, sono convinto del fatto che non sempre il prodotto più innovativo sia quello più efficace: per avere successo bisogna riuscire piuttosto a creare il prodotto più adatto per il tipo target a cui ci si rivolge in quel particolare momento".
In merito all'evoluzione in ottica digitale delle grandi media company tradizionali Riva ai microfoni di ADVexpressTv si dichiara moderatamente ottimista ma ricorda la maggiore complessità a cui devono far fronte gli editori in questo scenario. Secondo il manager, l'informazione di qualità avrà certamente un futuro, indipendentemente dal supporto sul quale verrà veicolata. Secondo Riva la carta stampata subirà un rallentamento, in seguito al processo di digitalizzazione in corso, e gli editori dovranno cogliere la sfida di saper raggiungere nuovi target con prodotti di informazione di qualità veicolati sulle nuove piattaforme. Rispetto al totale tablet diffusi sul mercato italiano, pari a circa 5-600 mila, RCS vanta oltre 30 mila abbonati di cui oltre la metà sono nuovi lettori. Per quanto riguarda il tema del pagamento delle news online, Riva afferma che, nell'esperienza di RCS Mediagroup, gli utenti si sono dimostrati da subito pronti a versare una quota per la lettura di Corriere e Gazzetta su supporto digitale, così come erano abituati a pagare per acquistare i quotidiani in edicola. Più difficile pensare che Corriere.it e Gazzetta.it, al momento ad accesso libero, possano continuare a basarsi solo sugli introiti pubblicitari.
Lo scenario si presenta invece a tinte fosche per Paolo Ainio (nella foto a dx), Ceo Gruppo Banzai, che ha ipotizzato per il futuro un'ulteriore contrazione dei ricavi per l'industria dell'editoria. Ainio è però d'accordo con Riva sulla necessità per le imprese di cambiare il loro modo di fare business. "Per non perdere profittabilità gli editori devono affrancarsi dal vecchio modello - ha affermato - : non basta modificare il supporto su cui veicolare l'informazione, bisogna innovare e cambiare radicalmente il modo di lavorare".
Scettico anche Stefano Quintarelli, direttore area digital Gruppo 24 Ore: "L'industria dell'informazione è destinata a crescere, ma l'editoria tradizionale potrà solo decrescere in termini di ricavi, soprattutto se non si saprà adeguare ai mutamenti in atto - ha spiegato il manager - . Per quanto ci riguarda, puntiamo soprattutto sull'informazione di servizio, proponendo ai lettori prodotti ad hoc che rispondono in maniera puntuale alle loro esigenze: è proprio su questi che costruiamo il successo del nostro business".
E' invece l'informazione verticale, anche on demand, il focus di Populis, che produce contenuti online in 8 lingue diverse per Europa e Brasile, grazie al contributo di blogger esperti. "Credo che il mercato tradizionale e quello digitale siano due mondi paralleli, che non si toccano - ha affermato Luca Ascani, cofounder di Populis -. La nostra proposta è innovativa e alternativa rispetto all'editoria tradizionale: non potendo competere con gli editori 'vecchio stampo' sul fronte delle news, diamo agli utenti ciò che chiedono relativamente a vari temi, dall'auto alla finanza, dai viaggi alle tematiche femminili, e questo approccio sembra premiare".
Vero esperto di innovazione, Enrico Gasperini, presidente di Digital Magics, incubatore di progetti innovativi in rete, ha ribadito la necessità da parte degli editori di modificare il loro business model per stare al passo coi tempi. "Pensiamo ad esempio a Corriere.it - ha affermato Gasperini - : è una testata completamente diversa rispetto al Corriere della Sera cartaceo, a cui deve corrispondere un diverso modo di fare business. Identificarlo non è facile, forse anche in Italia le media company, sull'esempio di quanto sta avvenendo all'estero, dovrebbero cominciare a unirsi per mettere insieme le risorse necessarie a innovare davvero".
Ai nostri microfoni inoltre Gasperini spiega come l'Italia, rispetto agli altri Paesi simili dal punto di vista economico, sia arretrata sul fronte dell'economia digitale. Negli altri Paesi, infatti, il digitale catalizza una quota 5 o 6 volte superiore del budget totale di advertising. Questo deriva anche da una maggiiore predisposizione degli utenti stranieri a pagare i contenuti digitali e da una maggiore propensione degli altri Paesi a investire in innovazione. In Italia purtroppo ancora non si riesce a far capire alle industrie e alle istituzioni l'urgenza dell'innovazione, soprattutto in questo momento economico difficile, in cui bisognerebbe invece proprio investire risorse per far decollare le start-up e le imprese emergenti in grado di creare nuovi posti di lavoro.
In un dibattito incentrato sul digitale, non poteva mancare la presenza