Editoriale

Cappuccino & cornetto. Rivalutiamo il federalismo

Nella sua rubrica quotidiana, Marco Ferri riflette sul referendum confermativo. "Adesso bisognerebbe raccogliere gli aspetti migliori del federalismo e farli progredire verso soluzioni positive, trasformandoli in moltiplicatori di eccellenze, nel maggior numero possibile di aree del paese. Sarebbe una cosa buona e saggia per tutti. Anche per la pubblicità".

Nel tentativo di lenire i dolori della sconfitta nel referendum confermativo di domenica e lunedì scorsi, gli esponenti della Lega sostengono che il Nord ha votato sì. Non è vero. Degli oltre ventuno milioni di votanti nelle regioni del nord Italia, si sono recati alle urne il 60,3% degli aventi diritto: hanno votato no il 52,6%, sì il 47,4%. Gli esponenti della Lega sostengono che la parte più produttiva del nord ha votato sì. Anche questo non è vero. Nelle regioni del Nordovest, dove sono diffuse grandi imprese e le maggiori ricchezze patrimoniali (Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta e Lombardia) e dove votano oltre 12 milioni, i cittadini che si sono recati alle urne sono stati il 57,9%. Il no ha vinto col 50,5%. Nelle regioni del Nordest, dove si concentrano le più importanti piccole e medie imprese italiane (Veneto, Trentino, Venezia Giulia e Emilia Romagna) e dove votano oltre 8 milioni, i cittadini che si sono recati alle urne sono stati il 64,5, il no ha vinto con il 55,4%.

Gli esponenti della Lega dicono che a nord del Po ha vinto il sì. Non è vero neanche in questo caso. In Piemonte, l'affluenza alle urne è stata del 58,2%, il no ha vinto col 56,6%. Il no vince a Torino, Asti e Alessandria, il sì a Cuneo, Vercelli e Verbano. La differenza a favore del sì a Biella è di soli 645 voti, la differenza a favore del sì a Novara è di soli 288 voti. In Valle d'Aosta il no vince con il 64,3%. In Lombardia ha votato il 60,6%: il sì vince con il 54,6%. Hanno votato per il sì 2.445.512 cittadini e per il no 2.036.635. Il vantaggio del sì è pari a soli 408.877 voti che si spalmano, con percentuali diverse, su tutte città della Lombardia, escluse Milano e Mantova, dove il no ha prevalso.

Rimanendo oltre il Po, come dicono gli esponenti della Lega, nel Trentino il no vince con il 64,7%: a Trento col 57,4, a Bolzano col 76,4. Nella Venezia Giulia, il no vince con il 50,8. A Gorizia il no prevale col 62,6%, a Trieste col 57,5%. La differenza a favore del sì a Udine, dove vince col 51,9% è di soli 9.539 voti. La differenza a favore del sì a Pordenone, dove il sì vince col 52,3% è leggermente più consistente con 14.805 voti.

E veniamo al Veneto, altra e ultima regione sopra il Po. Qui si sono recati alle urne il 62,2% gli aventi diritto. Il sì vince col 55,3%, pari a 1.270.314 voti. Il no arriva al 44,7 con 1.027.819. Il vantaggio del sì è di 242.495 voti, che si spalmano, con percentuali diverse su tutte le città del Veneto, tranne Venezia e Rovigo dove ha vinto il no. Gli esponenti della Lega Nord hanno sostenuto che dove la Lega era più radicata, l'elettorato ha compreso la bontà della riforma, rigettata invece dal resto dei cittadini italiani. Però se riassumiamo, abbiamo un vantaggio di soli 408.877 voti in Lombardia e di soli 242.495 voti in Veneto, le uniche due regioni in cui il sì ha prevalso. Il che significa che, anche volendo aggiungere i cittadini delle città del Piemonte e della Venezia Giulia dove ha prevalso il sì, non è vero che gli italiani che vivono oltre il Po hanno sostenuto il progetto federalista, così come è stato proposto in questi anni e così come è stato formulato nella legge che non è stata confermata dagli elettori.

Le grandi potenzialità, economiche e sociali del nord Italia hanno cercato uno sbocco istituzionale che riconoscesse il federalismo fiscale, e un ramo del Parlamento dedicato alle autonomie locali. Aspirazioni giuste molto mal gestite dal ceto politico leghista: per questo semplice motivo il Nord non ha votato sì al Referendum o non è proprio andato a votare. Il risultato elettorale punisce una piccola oligarchia, si potrebbe dire giustamente, perché roca, folkloristica e spesso imbarazzante. Ma sarebbe sbagliato che quelle aspirazioni andassero perdute. Perché sono una ricchezza sociale ed economica, e quindi devono diventare anche una ricchezza politica. Bisogna che la politica sappia raccogliere e rinterpretare il federalismo in chiave propositiva.

La gran parte del peso economico e produttivo della pubblicità italiana è al nord dell'Italia. Avremmo tutto l'interesse a che finalmente si realizzasse una forma corretta di federalismo, adeguata e rispondente allo sviluppo delle aziende, delle professionalità, dell'innovazione e non per questo in conflitto con l'unità del nostro paese, non per questo antagonista ai principi costituzionali di sussidiarietà e solidarietà. Gli elettori hanno bocciato giustamente questi elementi negativi. Adesso bisognerebbe raccogliere gli aspetti migliori del federalismo e farli progredire rapidamente verso soluzioni positive, trasformandoli in moltiplicatori di eccellenze, nel maggior numero possibile di aree del paese. Sarebbe una cosa buona e saggia per tutti. Anche per la pubblicità. Beh, buona giornata.