Editoriale

Nenna: fare cultura di comunicazione perchè la qualità creativa e strategica non venga sottovalutata

Il Ceo Now Available e Vice Presidente Assocom interviene in merito a quanto dichiarato ai nostri microfoni da Stefano De Marco e Niccolò Falsetti (leggi news). I due giovani filmaker autori della campagna provocatoria #CoglioneNo hanno puntato il dito contro la committenza che non riconosce il valore della comunicazione ma anche contro i creativi che accettano lavori 'senza budget'. Della stessa opinione anche Nenna che rivolge le proprie riflessioni all'intero comparto perchè solo facendo sistema si possono cambiare le cose.
Emanuele Nenna, Ceo Now Available e Vice Presidente Assocom, interviene in merito a quanto dichiarato ai nostri microfoni da Stefano De Marco e Niccolò Falsetti (leggi news)

I due giovani filmaker autori della campagna provocatoria #CoglioneNo, hanno spiegato  che il problema della non adeguata retribuzione alle professioni creative si può risolvere educando la committenza a trattare il lavoro creativo al pari di qualsiasi altra professione remunerata per ciò che produce e per l'impegno di chi l'ha svolta. In che modo la si può educare?

Sono d'accordo, tornare a fare cultura della comunicazione è una delle strade (se non l'unica) per provare a ridare dignità al nostro lavoro. Per farlo è necessario unire le forze perché quella sulla qualità e il valore comunicazione è una battaglia che accomuna tutto il sistema.
Se ci convinceremo (tutti quanti) che la qualità creativa e strategica fa la differenza, allora si potrà ripartire come si deve. Altrimenti le aziende continueranno a credere che un logo fatto fare on line valga quanto lo studio di un team di professionisti, o che l'idea di campagna venuta a un junior brand manager possa avere lo stesso peso di una proposta nata da un'agenzia con il lavoro di un planner, un direttore creativo e tutti i professionisti che ci lavorano.

I due creativi dichiarano che l'unico modo per farsi pagare il giusto sia rifiutando tutte le proposte lavorative per le quali 'non c'è budget'. E' un'ipotesi possibile per le agenzie italiane?

Sembrerebbe una considerazione di buon senso, e credo che anche "educare" le agenzie -oltre che la committenza- sia da inserire nella lista degli obiettivi del momento. Però purtroppo il panorama di oggi comprende migliaia di micro strutture (spesso nate per forza da gruppi di persone che non hanno più spazio nelle grandi agenzie) che hanno disperato bisogno di iniziare da qualche parte, e allo stesso tempo diverse sigle internazionali che si rifugiano nel dumping, svendendo il loro lavoro pur di conquistare un nuovo cliente. È ovvio che così non va bene, non si va lontano. Che si deve intervenire.

Come convincere le imprese creative a fare sistema per togliere la pratica scorretta di una remunerazione inadeguata?

Parlandosi. Comunicando. Mettendo insieme esperienze, soluzioni e idee. Confrontandosi. Per arrivare alla fine a capire tutti insieme che invertire questo trend negativo è l'unico modo per salvare le nostre professioni. In Assocom questo è un tema di primo piano, il Presidente Testa si sta spendendo in prima persona in difesa del valore della qualità, ma le semplici dichiarazioni non bastano se non sono le persone (e le agenzie) che creano il sistema a dare le prime risposte concrete.

Come Assocom ha intenzione di supportare le agenzie e di intervenire, oltre a quanto già fatto, per tutelare le professioni creative?

A volte alcune agenzie non si rendono nemmeno conto di svendere il loro lavoro. Si trovano a fine anno con problemi di bilancio, dopo aver lavorato duramente tutto l'anno. Ritengo che anche in questa direzione Assocom possa fare qualcosa. Con la formazione, per esempio. Non si può insegnare a un'agenzia ad avere idee, ma si possono raccontare e insegnare modelli organizzativi, si possono spiegare sistemi di controllo economici, metodi di valorizzazione dei propri lavori. Soprattutto alle agenzie meno strutturate, che non hanno una cultura manageriale, l'Associazione può e deve offrire servizi e opportunità di questo genere.

Come riaffermare il valore della qualità in comunicazione?

Mi ripeto: facendo cultura. E non solo verso gli investitori pubblicitari, ma anche verso gli addetti stessi. Occorre alzare il livello professionale dei comunicatori, da un lato, e dall'altro fornire alle aziende che li scelgono gli strumenti per comprenderne il valore. E occorre rialzare la testa, tornare a considerare -noi per primi- la comunicazione come qualcosa di potente, di affascinante, che sa fare la differenza. Sfogliando oggi il Corriere della Sera o guardando Canale 5 ci si rende conto che forse ci siamo un po' tutti arresi alla mediocrità della comunicazione, che abbiamo smesso di cercare un insight prima di avere un'idea, e di cercare un'idea che non sia la prima e la più semplice, quella che di sicuro rassicurerà il nostro cliente, quella che già altri 100 hanno avuto prima di noi. Per riaffermare il valore della qualità dobbiamo prima di tutto tornare a cercarla, smettendo di avere paura di noi stessi e del mercato e generando con la comunicazione casi di successo capaci di cambiare la storia di un brand. Non è facile, ma diventa impossibile se smettiamo di crederci e metterci la nostra passione e intelligenza.

Iniziative come questa e come quella di Accatino potranno smuovere il sistema?

Ogni iniziativa capace di farsi ascoltare, portando un messaggio giusto, aiuta a cambiare le cose. È importante però che tutte le voci convergano -per quanto con toni e angolazioni differenti- verso un unico obiettivo. Che i singoli creativi, le agenzie, i club e le associazioni non si muovano come se fossero l'uno la controparte dell'altro ma come se fossero (come sono) elementi di un unico grande coro, che ha dispertato bisogno di farsi sentire. E ascoltare.