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Cannes Lions 2025. Integrazione, dati e cultura unificata sono fondamentali per le media organisation del futuro: aziende e agenzie devono essere allineate sulla stessa visione olistica
(Cannes – dal nostro inviato Tommaso Ridolfi) “Media è tutto. Media è ovunque”: con questa provocazione, Ryan Kangisser, Chief Strategy Officer di MediaSense ha aperto il dibattito fra Ron Amram, Senior Director Global Media di Mars, Olya Dyachuk, Global Media and Data Director The Heineken Company, Ross Sergeant, Global Head of Media di Allwyn e Sir Martin Sorrell, Executive Chairman di S4S Ventures.
Una provocazione che racchiude una verità sempre più condivisa: il media non è più un canale tra tanti, ma l’asse portante dell’interazione tra brand e consumatore.
Secondo i dati di una ricerca Mediasense che sarà pubblicata nei prossimi mesi, il 65% delle aziende ritiene che il perimetro dei media si stia espandendo verso nuove discipline, il 72% vede una maggiore integrazione con il marketing, e l’83% segnala un allineamento più forte con dati e insight. Ciò impone una riflessione: ha ancora senso definire i media secondo i paradigmi tradizionali?
Dai media ai touchpoint
Per Olya Dyachuk, il termine ‘media’ è spesso riduttivo: “In azienda parliamo di media pensando solo al paid. In realtà si tratta di touchpoint, di esperienze a 360°: TV, punto vendita, prodotto. Serve un cambio di linguaggio e di mentalità”.
Una visione condivisa da Ron Amram, che ha sottolineato l’importanza di vedere tutto come parte di una conversazione integrata con il consumatore: “Il media è lo strumento migliore per misurare queste interazioni – e il maggiore investimento – ma va inserito in una logica olistica”.
Il tema centrale del panel è stato quello dell’organizzazione interna: la struttura delle aziende spesso non è ancora allineata a questa visione integrata. “La realtà è che i silos esistono: trade marketing, brand, media, produzione. Come rompere queste barriere?” ha chiesto Kangisser.
Ross Sergeant ha risposto con un esempio pratico: “Abbiamo mercati in cui ‘media’ significa tutto, e altri dove si intende solo il broadcast. Ma la verità è che il consumatore ragiona in modo integrato, e siamo noi che dobbiamo adattarci. Il rischio è concentrarsi sull’1% di novità dimenticando il 99% del core business”.
“Non possiamo più separare media e produzione – ha aggiunto Dyachuk, né trattare dati e tecnologia come competenze di team separati. Ogni marketer deve sapere come usare i dati. E serve anche riposizionarsi: non siamo solo ‘media people’, siamo brand builders”.
Il ruolo centrale del media
Quella testimoniata da Sorrell è stata la prospettiva storica: “Negli anni ‘90 si spendeva il 15% in agenzia: 5% in media, 10% in creatività. Oggi è l’opposto. Le agenzie, e le holding cui fanno capo, sono trainate dai media, che generano la maggior parte della crescita e della profittabilità”. I media sono ormai a tutti gli effetti il ‘driver’ dell’intera catena del valore, e le persone dei media sono oggi le più vicine a dati e tecnologia.
Tuttavia, il cambiamento culturale non è semplice: “Il problema delle organizzazioni è la politica, con la p minuscola – ha puntualizzato –. Più si sale, più si tende a controllare e trattenere le informazioni. Più si scende, più si vuole integrare e condividere.”
In questo quadro emerge il ruolo di primo piano dell’AI, che Sorrell ha definito la ‘quinta gamba del tavolo’, in quanto democratizza la conoscenza e abbatte le barriere tra silos: “L’AI fornisce accesso trasversale all’informazione, riducendo il gap tra i team”.
Il ruolo dell’integratore o… del leader
La seconda parte della conversazione ha approfondito il tema dell’integrazione tra clienti e agenzie, scoprendo la complessità e le tensioni che emergono nella ridefinizione dei ruoli, delle competenze e della struttura organizzativa. Una leva chiave è la leadership: Dyachuk ha sottolineato l’importanza di costruire relazioni orizzontali tra CMO, CFO, CSO e altri executive per allineare misurazioni del successo e strategie a lungo termine: “Senza connessioni forti al vertice, è impossibile sfuggire alla
trappola del breve termine”.
Chi dovrebbe quindi coprire il ruolo di ‘integrator’? Una figura neutra tra agenzia e cliente?
Netta la risposta di Sergeant: “Il vero problema nasce quando i silos interni delle aziende rispecchiano quelli dell’agenzia, creando difese corporative e perdendo il senso dell’insieme. Per lui, serve semplificare e smettere di replicare strutture inutili.
Sorrell ha invece respinto il termine ‘integrator’, considerandolo troppo tecnico e impersonale. “Serve leadership – ha concordato con Dyachuk –, non solo coordinamento. Il cambiamento organizzativo va guidato con decisione, soprattutto in un contesto in cui tecnologie come AI e blockchain consentono una centralizzazione efficiente”. E ha citato il caso di una multinazionale del largo consumo che ha suddiviso il ruolo del CMO in quattro direzioni locali, proprio per competere meglio con i player regionali. La direzione strategica, secondo Sorrell, deve avere budget e autorità chiara.
Amram porta un’altra prospettiva: integrare è una responsabilità condivisa, più simile a un’arte che a un mestiere. “È programmazione, ma anche relazione, fiducia e collaborazione tra competenze diverse. L’integrazione, quindi, non è un ruolo, ma una dinamica tra leadership, talenti e cultura organizzativa”.
Capacità classiche e nuove competenze
Dyachuk, che ha iniziato il suo percorso professionale in agenzia, ha indicato il gap tra agenzie e business: “Le agenzie non erano mai vicine abbastanza all’azienda, e per questo ho scelto di passare lato cliente e acquisire una formazione più ampia. La vera sfida è formare talenti che non si limitino a pensare per canali o KPI, ma che sappiano parlare la lingua del business, capire il valore del brand, conoscere i dati e anche la sostenibilità.
Bisogna essere esperti, ma anche capaci di alzare lo sguardo”.
Oggi, secondo Sorrell, le agenzie devono fondersi intorno a tre competenze chiave: creatività, tecnologia e dati. Cannes, simbolo dell’evoluzione del settore, lo dimostra. Le agenzie che vogliono restare rilevanti devono abbracciare queste aree in modo integrato, superando il modello basato sul tempo/uomo e orientandosi a un approccio per output.
Un’altra mancanza sottolineata da Dyachuk riguardea la pianificazione strategica (communication planning), una competenza spesso trascurata ma essenziale per portare coerenza dall’insight alla delivery sui diversi touchpoint. “Non importa dove sieda il planner – in agenzia, in azienda, nel media o nel creativo – ma serve che capisca il business e sia parte del sistema, non esterno”.
Il tema dell’in-housing e della proprietà della strategia
Il dibattito si è quindi spostato sulla ‘proprietà’ delle decisioni strategiche. Sorrell ha difeso l’importanza per il cliente di avere il controllo, soprattutto in un contesto in cui rapidità e flessibilità fanno la differenza. “Le agenzie – sostiene –, devono agire su due fronti: aggiornamento tecnologico e gestione dei talenti, perché questi ultimi cercano varietà e stimoli.
D’accordo con lui anche Amram, che ha ammesso che pur avendo capacità in-house, serve sempre il contributo esterno: “Abbiamo forse esternalizzato troppo”.
“Il pensiero strategico – ha ribattutto però Sergeant –, incluso il comms planning, non può essere esternalizzato: deve restare core del cliente”.
Dyachuk ha offerto una visione più sistemica: “Non è solo una questione di media, ma di interconnessione tra marketing, IT, procurement e cultura aziendale. Le organizzazioni devono essere agili e pronte a cambiare non solo oggi, ma anche tra cinque o dieci anni. E per farlo servono flessibilità, collaborazione e una visione comune”.
L’ultima, provocatoria domanda di Kangisser ha riguardato il ritorno a una fusione tra creatività e media: sarà davvero così?
Netta la risposta di Sorrell: “il modello si è ribaltato. Una volta era la creatività a guidare, oggi è il media, soprattutto digitale, a dominare. E in un mercato in cui quattro piattaforme – Google 250 miliardi di dollari, Meta 150, Amazon 60, e TikTok 40 – controllano metà della spesa, è inevitabile che l’asse del potere si sia spostato”.