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Forum WPP -Ambrosetti. La sfida per l'Italia? Comunicare le sue eccellenze e comportarsi da grande Paese per ottenere credibilità e fiducia dagli investitori e generare crescita
La terza sessione del Forum WPP -Ambrosetti in programma l'11 novembre a Milano (leggi news1, news2, news3) è stata aperta dalla presentazione, a cura di Valerio De Molli, managing partner di Teh Ambrosetti, del “Global Attractiveness Index”, una proposta che nasce da un’idea dell’Advisory Board WPP per una giusta valutazione dei punti di forza e di debolezza dell’Italia, troppo spesso ingiustamente penalizzata nelle classifiche internazionali sui principali indicatori sociali ed economici.
Molte classifiche, come evidenziato da De Molli, riportano infatti tra i propri indicatori KPI presi da altre classifiche o che addirittura sono il risultato finale di altri indici-Paese, e i valori finali di tali ranking sono pertanto sporcati da scelte metodologiche prese a monte.
Per fare qualche esempio, l'Italia è al 77° posto al mondo in libertà di stampa dietro alla Namibia; al 45esimo posto nell'Ease of Doing Business Report della Banca Mondiale dietro alla Malesia ed è al penultimo posto in Europa per corruzione (61esima nell'ultimo report di Transparency Index Italia rispetto al 21° dell'Uruguay).
E' evidente, ha osservato De Molli, che tali posizionamenti, pur alla luce delle note criticità del Sistema Italia, rappresentano distorsioni della realtà oggettiva del Paese, in contrasto con le sue capacità innovative e imprenditoriali e determinano effetti negativi a cascata. Un esempio?
Nel 2014 l'Italia si è posizionata al 18° posto nel mondo per flussi di investimenti diretti esteri e di questi solo il 2% ha avuto come destinazione una regione del Mezzogiorno.
Nel Global Attractiveness Index stilato dall'Advisory Board Wpp, invece, l’Italia è in 14esima posizione nel mondo per reputazione, capacità di conquistare investitori e immagine all’estero. Un PAESE dunque ancora ben vivo, anche se con diversi limiti e aspetti ancora migliorabili. Cominciando dalla capacità di comunicare le proprie eccellenze e i risultati ottenuti in svariati settori.
Come il fatto di essere il 4° Paese al mondo per valore aggiunto prodotto dall'industria manifatturiera. Il 4° in Europa per valore della produzione in settori ad alta tecnologia. Il 9° per esportazioni , il 1° Paese europeo per numero di Piccole e Media Imprese (403mila) e, infine, il Paese con il numero maggiore di siti patrimonio dell'UNESCO (51 su 1001).
E' allora giunto il momento per l'Italia di valorizzare i suoi valori all'estero attraverso una migliore comunicazione , per diventare più attraente per grandi investitori esteri calamitando nuovi investimenti. Perchè senza investimenti non c'è lavoro, senza lavoro non c'è crescita, senza crescita non c'è futuro.
Come evidenzia l'elaborazione The European House - Ambrosetti 2016, l'attrattività del sistema paese potrebbe dare nuova energia a tutto il settore della comunicazione e alle imprese stesse, favorendone crescita e internazionalizzazione. Con conseguente incremento della propensione a puntare su pubblicità e marketing . E' stato calcolato che un aumento degli investimenti esteri del 10% si tradurrebbe nel triennio in un +1,6% di investimenti in pubblicità. Sei partner stranieri investissero quanto già convogliano su Francia, Gran Bretagna e Germania, si arriverebbe a una crescita del 16% (circa 1,2 miliardi di euro l'anno).
Come viene raccontata l'Italia all'estero? Ne ha parlato Michele Scannavini, Presidente dell’Italian Trade Agency, che ha esordito affermando che gli italiani hanno una percezione peggiore del Paese rispetto a chi sta all'estero. Allora perchè è solo 18esima per capacità di catalizzare capitali stranieri? Essenzialmente per quattro problematiche. Chi viene in Italia per investire, ha sottolineato Scannavini, innanzitutto è frenato da un'enorme instabilità, basti pensare che il Paese ha cambiato 63 governi in 70 anni. Cosa succederebbe se lo stesso avvenisse con i CdA delle aziende chiede Scannavini? Invece i rapporti si costruiscono con continuità. Quindi il primo imperativo per attrarre capitali in Italia è creare solidità.
Il secondo problema è la complessità, generato dalla frammentazione della Penisola, in cui chi deve per esempio aprire un business non ha garanzie in tempi certi e notevole dispersione burocratica. Serve dunque semplificazione,
La terza questione da risolvere riguarda la Cultura d'Impresa di molte PMI italiane che difficilmente si aprono a finanziamenti esterni non considerando aspetti positivi quali l'ampliamento delle opportunità di lavoro e le possibilità di seguire nuovi business.
Infine, c'è un problema di comunicazione osserva Scannavini. L'Italia comunica se stessa poco e male e non mostra di adottare una vera e propria strategia di comunicazione integrata. Si presenta con troppi marchi, dai ministeri ai brand istituzionali.
Un modello da seguire potrebbe essere la campagna pubblicitaria avviata qualche anno fa dalla Gran Bretagna 'Britain is great', che spesso adotta anche personaggi simbolo della propria grandezza quale, ad esempio, James Bond. Insomma serve storytelling della grandezza e dello sviluppo presenti in Italia per renderla un Paese ne quale investire. Un grande passo è stato fatto con il progetto 'Italy the Extraordinary Commonplace' promosso dall'ICE e dal Ministero dello Sviluppo Economico nel 2015 per evidenziare a livello internazionale i nostri punti di forza e sfatare alcuni dei principali luoghi comuni sull'Italia. Un progetto da 10 milioni di euro a cui si è aggiunto di recente un roadshow nelle capitali nel mondo e desk di promozione a San Francisco, Singapore, Hong Kong e Beijing.
Di attrattività dell’Italia per i capitali internazionali hanno anche parlato Davide Serra (CEO di Algebris Investments) e Olivia Bacco (Ely Lilly Italia). Il primo ha ribadito le notevoli opportunità di investimenti nella Penisola, ma a patto che il Paese sappia crearsi credibilità e fiducia all'estero, comunicando i suoi plas attraverso grandi leader d'azienda e talenti che oltreconfine hanno successo. Olivia Bacco, Direttore del Polo Industriale di Sesto Fiorentino, ha raccontato la storia del successo della società toscana, e testimoniato come le grandi imprese internazionali possano decidere di investire centinaia di milioni in impianti industriali in una località come Sesto Fiorentino, nel cuore della Toscana. La company americana nata nel 1959 con una specializzazione nella produzione di antibiotici, nel 2005 ha ricevuto ben 250 milioni di euro da parte della multinazionalea cui fa capo per riconvertire processi e competenze i produzione di insulina, in seguito a un appello dell'OMS per il rischio di una pandemia di diabete. Tre gli elementi distintivi di questo modello italiano di impresa: capitale umano, tecnologie e visione.
A concludere il Forum, un panel dedicato al contributo della comunicazione all’internazionalizzazione delle imprese italiane a cui hanno partecipato Antonio Baravalle (A. D. Lavazza), Claudio Domenicali (A. D. Ducati) e Chiara Lungarotti (A. D. Lungarotti): vivace il confronto sul bisogno di focalizzare l’attenzione su come “gli altri” vedono noi italiani e i nostri prodotti, piuttosto che su come noi vediamo i cittadini di altri Paesi.
"Il vino non è solo un prodotto, ma è cultura, ambiente e territorio. Per questo va fatto conoscere all'estero in tutto il suo mondo, in tutto il suo sistema che non può prescindere, come nel nostro caso, dal suo territorio d'origine e dalla sostenibilità. E' altresì' necessario raccontarlo ai giovani sommelier per fare concorrenza ai prodotti di quei Paesi che si connotano per politiche commerciali aggressive" ha affermato Chiara Lungarotti.
Un caso modello di azienda familiare che negli anni ha intrapreso un importante processo di internzionalizzazione è quello di Lavazza, raccontato al Forum WPP - Ambrosetti dall'AD Antonio Baravalle. I numeri parlano chiaro: il fatturato dell'impresa generato dall'export è passato dal 30% del 2010 al 63% del 2016, con una proiezione del 70% entro il 2021. Lavazza ha investito in filiali dirette in 11 mercati esteri, investito 1 miliardo nel piano di acquisizioni negli ultimi 12 mesi e con la recente acquisizione della francese Carte Noire ha segnato un passo decisivo nel processo di internazionalizzazione che, sottolinea Baravalle "resta uno dei pilastri della nostra ambizione di crescita". Obiettivo? Vincere una sfida italiana con altre grandi major internazionali costruendo il terzo grande gruppo mondiale del caffè. Una realtà nata nel 1895 su iniziativa di una famiglia piemontese, che oggi, porta 20 miliardi di tazze di caffè italiano in 80 paesi nel mondo e punta a un fatturato 2016 di 1,7 miliardi. Quale la ricetta di questo successo? "Una governance chiara in cui ciascun manager ha compiti ben definiti da svolgere" ha concluso Baravalle.
Claudio Domenicali, Ceo Ducati, ha chiuso il panel raccontando il successo italiano di Ducati, dietro al quale c'è un lavoro strategico effettuato sulla marca. Risale ad esempio agli ultimi tre anni una ricerca volta a comprendere il posizionamento del brand Ducati in sei grandi mercati. Le evidenze principali? L'italianità, che emerge spesso nelle valutazioni degli intervistati, ma non sempre come una caratteristica positiva. " Abbiamo potenzialità straordinarie per design e sportività italiani, sui quali la valutazione dei clienti è sempre altissima, ma per altri aspetti dobbiamo convincere gli acquirenti dell'eccellenza di un prodotto italiano". Che fare? "Dobbiamo cambiare la realtà dei fatti nel Paese e poi comunicarla. Ad oggi c'è distonia tra quel che di buono abbiamo in Italia e la percezione che altri hanno di ciò".
Insomma, ha concluso Massimo Costa, country manager WPP: "Gli stereotipi italiani esistono. Ma l'Italia deve raccontare quel che c'è di vero nella penisola e comportarsi da grande. C’è bisogno di aziende eccellenti come testimonial della nostra crescita e di città forti e rappresentative. In questo modo la fiducia arriverà perchè siamo un grande Paese".
(Guarda la video intervista su ADVexpressTV).