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Interact/2. Il Video guida la crescita degli investimenti e del programmatic, ma occorrono nuove metriche

Gli investimenti delle aziende in video advertising crescono a un tasso quasi 4 volte superiore a quello medio dell'intero mercato, segnando secondo i dati AdEx un +35% nel 2017 rispetto all'anno precedente. Qual è la situazione in Italia, ha chiesto Stuart Wilkinson, Head Of Industry Releations EMEA comScore, nel aprendo i lavori del panel dedicato al Programmatic Video tenutosi a Interact, il congresso internazionale di IAB Europe in corso oggi e domani a Milano.

"Nel nostro paese la crescita è ancora più elevata – ha risposto Roberto Dragone, Head of Data and Programmatic di Mediamond –: oggi il video vale il 12% del totale mercato del digital adv, e cresce del +38%. Per quanto riguarda il programmatic, il 26% delle inventory video è venduto in questa modalità, e anche in questo caso si tratta di uno dei driver più potenti del mercato".

Su queste solide basi, ha proseguito Dragone, la concessionaria pubblicitaria per i brand editoriali e radiofonici Mondadori e per quelli digitali di Mediaset, si sta concentrando oggi sullo sviluppo del settore televisivo, e in particolare di quello relativo alle smart e alle connected Tv.

Anche Teads, ha annunciato Imran Khan, Global Vice President Strategic Development della società, sta puntando a espandersi nel mondo Tv: "La crescita dell'outstream, di cui siamo specialisti, ha superato il +73%, e il programmatic è sicuramente un motore fondamentale di questa crescita. Oggi ci stiamo dedicando allo sviluppo di nuove soluzioni sempre più creative e interattive, ma guardiamo anche con molta attenzione al settore della addressable Tv".

Matthew Blay, Co-fondatore di Inadvia, ha portato la testimonianza di una concessionaria ‘sui generis’ dedicata al video advertising ‘in-transit’: “La nostra SSP offre agli advertiser la possibilità di acquistare in RTB o in Private Marketplace un'inventory video premium su i principali mezzi di trasporto –
aerei, treni e pullman. Non solo attraverso gli schermi ormai quasi sempre presenti sui mezzi di trasporto, ma anche sui device che ogni viaggiatore porta con sè durante il tragitto da percorrere. Siamo un piccolo ‘walled garden’ ma questo ci sta aiutando a vincere le resistenze che inizialmente i grandi studios e i
produttori di contenuti avevano nel nostri confronti”.

Wilkinson ha quindi chiesto a ognuno dei partecipanti quale fosse la loro definizione di ‘premium’. “La nostra ‘premiumness’ – la risposta di Dragone – nasce da brand editoriali la cui leadership è pienamente riconosciuta dal mercato. E l’inventory pubblicitaria che si accompagna a essi è totalmente brand safe, misurabile e certificata da terze parti. E tutto questo rassicura gli inserzionisti”.

La nostra definizione di premium – ha aggiunto Khan – è quella di contenuti e news prodotti professionalmente. Lo scorso anno, in coincidenza con le elezioni USA, è emerso prepotentemente il fenomeno delle fake news. Domani presenteremo qui a Interact una ricerca sul tema, ma posso anticipare un dato: il 50% dei consumatori ha fiducia nell’advertising quando ha fiducia nelle news. È un aspetto cruciale, perché con l’avvento della GDPR ciò che prevediamo è una corsa alla pianificazione ‘contestuale’, in ambienti affidabili, cioè premium”.

“Noi stessi di comScore – ha riconosciuto Wilkinson – abbiamo probabilmente commesso un errore che ha danneggiato l’immagine del video advertising quando abbiamo divulgato i risultati sulle frodi, proprio perché abbiamo fornito una dato gnerico senza differenziare fra premium e non. Questo mi porta all’ultima domanda: quanto e come pensate debba essere misurato il video advertising in un mondo sempre più cross-mediale? Le metriche possono essere le stesse per tutti, instream e outsream?”.

“Noi guardiamo certamente con molto interesse al lavoro che sta facendo Auditel in direzione sulla nuova metodologia – ha dichiarato Dragone –, ma non saprei dire se si riuscirà ad arrivare a un vero e proprio ‘GRP’s cross-mediale’ capace di superare l’ostacolo di due mondi ancora molto diversi, uno misurato in GRP’s, appunto, l’altro in CPM”.

D’accordo anche Khan: “La mia risposta è che dipende da ciò che chiede esattamente l’inserzionista – ha replicato spiegato infatti –: vogliono reach e impression? Viewability? Completion rate? Fino a oggi, sullascorta dell’esperienza televisiva, il mercato ha cercato di misurare anche il video digitale in termini di GRP’s, ma senza moltissimo successo. Credo che con la crescita della Tv addressable ci sarà piuttosto uno spostamento, e sarà il mondo televisivo ad avvicinarsi a quello delle metriche digitali”.

TR