
Interviste
Fabiana Giacomotti ricorda Maurizio D'Adda: "Nutriva una sincera curiosità per la vita, una naturale predisposizione all’ascolto. La gente lo interessava davvero.Tutta"
Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Fabiana Giacomotti in ricordo di Maurizio D'Adda scomparso ieri, 9 maggio (leggi news).
Maurizio D’Adda non era cattolico. Non praticante almeno, per quanto possa ricordare e a meno che non lo fosse diventato negli ultimi quindici anni quando, come tantissimi di noi che hanno vissuto la pubblicità negli anni d’oro dei grandi budget e dei clienti coraggiosi, ne avevo perso le tracce: la malattia e gli stringenti impegni familiari l’avevano trasformato in un nome, leggendario quanto si vuole ma per molti versi privo di sostanza.
“D’Adda”. “Come diceva D’Adda”. “Ti ricordi quella campagna di Maurizio”. Avevo notizie di lui solo attraverso Giampietro Vigorelli, “il Vigor”, eterno ragazzo amante della mondanità, delle belle cose e delle belle case; più raramente dalla voce di Riccardo Lorenzini, mente geniale e altissima, in senso reale e metaforico. I tre mi piacevano molto – mi piaceva la specialissima chimica che si sprigionava dalla loro gioia di vivere e a quello spirito caustico e malizioso che gli inglesi definiscono “wicked” e che condividevano - fin dai tempi della Saatchi&Saatchi, primissimi anni Novanta cioè piena Tangentopoli dalla quale, loro fra pochissimi, uscirono indenni, nemmeno sfiorati da quell’inchiesta parallela sui contratti pubblici nella quale finirono invece invischiati, e talvolta in galera, molti loro colleghi, non di rado per
parare la schiena ai loro titolatissimi boss. Ma, per tornare al cattolicesimo di Maurizio, che oggi riceve gli ultimi sacramenti nella chiesa dietro casa, credo fosse infinitamente più profondo dei gesti che oggi accompagneranno il suo funerale. Me ne sono accorta con una certa sorpresa – il tempo aiuta a vedere le cose in prospettiva - guardando su youtube lo showreel dei suoi lavori più importanti, o perlomeno quelli che l’Art Directors Club Italiano scelse per accompagnare il premio alla carriera, la “Hall of Fame”, che gli venne attribuito nel 2014.
In ognuna di quelle campagne, nelle tante iniziative sociali che sono davvero tante e fortissime e dolorosamente ancora attuali, ma perfino nello spot di lancio di Renault Clio che, come dimenticarlo, il regista Tony Kaye realizzò strappando praticamente la pellicola dalla cinepresa, emerge un elemento che ritrovo difficilmente in tanti suoi colleghi, di allora e di oggi, ed è un grande amore per gli altri. Una sorridente comprensione delle debolezze altrui, una sincera curiosità per la vita, una naturale predisposizione all’ascolto. Maurizio ascoltava tutti, parlava con chiunque, ma non con l’attenzione sempre vagamente sussiegosa e interessata che mostra chi, come noi, vive dell’abilità della propria penna. La gente lo interessava davvero. Tutta. E anche i bambini, i cani, i pesci. I celeberrimi “44 gatti”, exploit tardo adolescenziale di cui riceveva ancora i proventi Siae, erano nati osservando l’andirivieni ordinato e un po’ marziale dei quattrozampe nel cortile della casa di via Pasquale Sottocorno dov’era nato. Poteva restare delle mezz’ore a guardare le rane che sguazzavano nella piscina della casa di Levanto: “Come nuotano bene a rana”. E rideva della sua arguta ovvietà.
Amava molto le donne e molto ne era riamato, e questo è un fatto piuttosto noto: quello che però molti uomini non sanno, pubblicitari o meno, è che l’amore femminile, o anche la naturale predisposizione all’ascolto di quanto un uomo abbia da dirci è direttamente proporzionale alla sua capacità di suscitare quella speciale armonia che prende il nome di complicità, cioè e innanzitutto di mostrare rispetto, senza inscenarlo mai. Se vi dovesse mai capitare di guardare come me, ieri, quel video caricato dall’Adci su youtube, guarate Maurizio mentre, spinto sulla carrozzina da Vigor, arriva sul palco e bacia galante e ironico la mano della hostess che gli consegnerà il premio.
L’uomo Maurizio D’Adda sta tutto lì, in quel lieve scherzare che non diventa mai insistenza, che non è mai #metoo, che è complimento e allegria e chiusa lì, perché “comunque vada, sarà un successo”. Il pubblicitario Maurizio D’Adda, di cui Luca Scotto di Carlo svela così bene le doti manageriali nelle motivazioni del premio, è invece tutto e innanzitutto nelle sue parole, in quella capacità di coglierne le misteriose relazioni che è caratteristica propria dei poeti e dei grandi scrittori un po’ ipersensibili, come avrebbe detto Baudelaire. Corrispondenze. O, come avrebbe detto lui tagliando corto e buttandola subito sul ridere, le rime. “La rima arriva prima”. Ma il successo arriva solo amando la vita. Comunque vada.
Fabiana Giacomotti