

Magazine e20
Giovani (ma non troppo), tanta formazione e un occhio di riguardo alle donne
Negli ultimi anni il settore degli eventi ha affrontato una trasformazione strutturale senza precedenti. Complice la pandemia, che ha accelerato la digitalizzazione e cambiato radicalmente la fruizione degli incontri in presenza, le aziende si sono trovate a rivedere modelli organizzativi, strategie di formazione, politiche di reclutamento e, soprattutto, la gestione delle risorse umane.
In questo contesto, l’indagine realizzata da e20 tra le agenzie affiliate al Club degli Eventi e della Live Communication rappresenta uno strumento prezioso per capire come il comparto stia affrontando il cambiamento, quali sono le sue risorse più forti e dove invece si annidano fragilità e opportunità inespresse.
Con un campione di 40 realtà operative, distribuite in modo eterogeneo per dimensione e struttura, l’indagine tocca i principali aspetti legati al lavoro, ai team, alla demografia interna, al gender balance, alla formazione e al recruitment. Un’analisi che si presta a diverse chiavi di lettura, dalle politiche HR alla pianificazione strategica per le organizzazioni del settore. Mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, emerge un quadro interessante. Da un lato, troviamo aziende snelle, dinamiche e capaci di investire sulle persone. Dall’altro, si intravede una sfida: quella del ricambio generazionale.
La percentuale di under30 è ancora relativamente bassa. Le aziende sembrano preferire giovani con esperienza, ma dovranno presto aprirsi di più ai talenti più freschi. Anche perché il turnover è dietro l’angolo: secondo l’Oecd (Organization for Economic Co-operation and Development), metà dei lavoratori over 55 andrà in pensione nei prossimi 5 anni. Chi non avrà pronta la nuova generazione rischia di trovarsi scoperto.
TEAM SNELLI, MA RESILIENTI: LA FORZA DEL ‘PICCOLO’
Il primo aspetto analizzato dalla nostra indagine riguarda la dimensione dei team. Altro che mega-corporation: le imprese coinvolte nell’indagine parlano chiaro. Quasi la metà dei team (42,5%) è composta da 11 a 30 professionisti. Il 17,5% supera quota 100 dipendenti.
Insomma, si lavora in squadre compatte, dove probabilmente ci si conosce tutti per nome e il capo ti scrive su WhatsApp, non tramite circolari anonime. Una scelta che premia l’agilità e la capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti di mercato, qualità oggi più che mai preziose. La media rilevata è di circa 3,35 professionisti per squadra, con una mediana di 1. Questo dato è eloquente: la maggior parte delle aziende opera con team flessibili, fortemente orientati alla specializzazione.
Il 42,5% delle agenzie intervistate ha team fino a 10 addetti, il 15% dea 31 a 50, il 7,5 da 51 a 70 e la stessa percentuale si colloca nella fascia da 71 a 100 addetti. La fascia tra gli 11 e i 30 addetti è la più numerosa: ben il 42,5% ne fa parte, mentre solo il 17,5% dichiara di avere nel proprio team oltre 100 professionisti. Questa configurazione rispecchia in parte la natura del settore eventi, fatta di relazioni personalizzate, creatività sartoriale, soluzioni su misura.
È un comparto che raramente punta alla ‘scalabilità’ in senso tradizionale, ma che fonda il proprio valore sulla capacità di adattamento, sulla qualità dell’execution e sull’efficacia delle relazioni.
Tuttavia, la dimensione ridotta dei team porta con sé anche delle criticità: il rischio di sovraccarico, la dipendenza da figure chiave, la vulnerabilità in caso di turn-over improvviso. Da qui l’importanza, come vedremo, di politiche di formazione continue e ben strutturate.
UN CAPITALE UMANO GIOVANE, MA CON ESPERIENZA CONSOLIDATA
Passiamo all’età media. Se pensavate a eserciti di ventenni smanettoni, è il momento di rivedere i cliché: il 62,5% dei team è formato da persone tra i 31 e i 40 anni. Solo il 20% ha una media tra i 20 e i 30 anni, mentre il 17,5% si colloca nella fascia 41-50. Nessuna azienda ha dichiarato una significativa presenza di over 50. Una ‘workforce’ matura, quindi, con l’entusiasmo dei giovani, ma già con qualche battaglia professionale alle spalle. Un mix che garantisce energia, ma anche quella solidità che a volte manca agli esordienti assoluti.
Questa distribuzione suggerisce un settore giovane ma maturo. Non parliamo più di neofiti alle prime esperienze, bensì di professionisti con almeno 5-10 anni di carriera alle spalle, spesso cresciuti ‘sul campo’, in grado di affrontare la complessità dei progetti con competenze trasversali.
Tuttavia, l’assenza quasi totale della fascia over 50 solleva interrogativi sulla sostenibilità di lungo periodo: siamo in presenza di un settore che, con il passare del tempo, tende a perdere i profili più senior? Le cause possono essere molteplici: logiche di burnout, scarsa valorizzazione delle competenze accumulate, dinamiche contrattuali poco stabili, mancanza di piani di carriera evoluti. Intervenire su questi aspetti significherebbe costruire un ponte solido tra generazioni, dove la seniority diventa un asset e non un ostacolo.
ASSUNZIONI STABILI: UNA BASE SOLIDA SU CUI COSTRUIRE
Uno dei risultati più positivi dell’indagine riguarda la tipologia contrattuale: oltre il 75% del personale è assunto in forma stabile nella maggior parte delle agenzie (67,5%). Solo una piccola minoranza (7,5%) dichiara di avere meno del 25% di contratti a tempo indeterminato.
Questo dato sorprende, considerando che il settore eventi è storicamente legato a formule contrattuali flessibili, collaborazioni occasionali e progetti spot.
Si tratta di un segnale incoraggiante: significa che molte realtà stanno scegliendo di investire sulle persone, di fidelizzarle, di costruire un senso di appartenenza duraturo. La stabilità lavorativa non è solo un tema sindacale o amministrativo: è un fattore chiave per la qualità del lavoro, la trasmissione del know-how, l’efficacia operativa. Una squadra stabile è una squadra che comunica meglio, che lavora con maggiore consapevolezza, che sviluppa un’identità comune.
PRESENZA FEMMINILE: VERSO UN EQUILIBRIO, MA CON QUALCHE OMBRA
Il gender balance è un altro punto interessante. Il 27,5% delle aziende dichiara una presenza femminile tra il 61% e il 70%, mentre il 17,5% è tra il 51% e il 60%. Solo il 2,5% ha meno del 20% di donne nel team, e un altro 2,5% è completamente femminile.
In un settore dove storicamente le donne sono sempre state molto presenti, questi dati confermano una buona rappresentanza. Non solo quote rosa da esibire nei comunicati stampa: qui le donne sono davvero protagoniste. Una notizia che fa ben sperare, anche perché sappiamo che team più diversificati funzionano meglio, innovano di più e sono più redditizi.
GIOVANI TALENTI: POTENZIALE ANCORA DA VALORIZZARE
E i giovani talenti? Sì, ci sono, ma senza invadere la scena. Sebbene il 37,5% delle aziende dichiari una quota di giovani tra il 21 e il 30%, e il 12,5% tra il 31 e il 40%, ben il 30% ne ha meno del 20%. Solo il 5% supera la soglia del 50%. Questi numeri parlano di un potenziale ancora parzialmente inespresso.
I giovani non mancano, ma non sono la colonna portante delle aziende. Le ragioni possono essere diverse: difficoltà ad attrarre talenti, percezione di scarsa stabilità del settore, competenze non allineate tra domanda e offerta. In più, i giovani talenti non sono propriamente ‘giovanissimi’: la fascia più presente è quella tra i 26 e i 30 anni (65%), seguita da quella tra i 20 e i 25 (25%).
Ciò suggerisce che l’ingresso nel settore avviene con qualche anno di ritardo rispetto alla fine degli studi. Il che, a ben vedere, è una scommessa sulla qualità più che sulla sola anagrafe. Serve costruire ponti migliori tra mondo accademico e mondo del lavoro.
FORMAZIONE: IL VERO CUORE DEL SISTEMA
Una delle risposte più forti e univoche dell’indagine riguarda la formazione. Il 77,5% delle aziende intervistate prevede corsi di formazione per le figure junior, e la stessa percentuale anche per i profili senior.
Per i junior, si va da 1-2 corsi l’anno fino a 5-8 in alcuni casi. Le tematiche sono ampie: tecniche di comunicazione, project management, soft skills, aggiornamenti digitali. Alcuni partecipano a master universitari, altri seguono percorsi certificati (es. MEM di Federcongressi), altri ancora ricevono formazione interna su misura.
Per i senior, la formazione è più “su richiesta”, costruita intorno alle job description. Emergono temi legati alla cybersecurity alla compliance, dalla gestione finanziaria alla leadership. In molti casi, la formazione è trasversale, pensata per tutta l’azienda.
Questo approccio formativo indica una consapevolezza chiara: nel mondo eventi, le competenze invecchiano velocemente. La vera risorsa non è ciò che si sa oggi, ma la capacità di continuare a imparare domani.
RECRUITMENT: TRA DIGITALE E RELAZIONI
Il reclutamento segue logiche miste. Il 45% delle aziende si affida a canali online, ma il 25% si basa ancora sul passaparola, e il 20% accoglie candidature spontanee. Solo il 10% ricorre ad agenzie. Questa fotografia mostra come il digitale abbia trasformato il primo contatto, ma anche quanto sia ancora forte la componente relazionale.
In un settore dove la reputazione è tutto, le segnalazioni personali hanno un peso determinante. Ma c’è anche il rischio di chiusura: se si assume “chi si conosce”, si limita la diversità e si rischia di escludere talenti emergenti. Una strategia di employer branding più strutturata, unita a strumenti digitali avanzati (ATS, social recruiting, eventi di settore) potrebbe aiutare a rendere più inclusivo e meritocratico l’accesso alle opportunità.
UN SETTORE CHE SA DOVE ANDARE, MA CHE DEVE DECIDERE COME
Il quadro che emerge dall’indagine è quello di un settore in salute, con un capitale umano giovane, una buona presenza femminile, una struttura snella e una cultura della formazione ben radicata. Ma è anche un settore che deve fare scelte strategiche per non perdere slancio: attrarre i giovani, valorizzare i senior, promuovere la leadership femminile, innovare nei processi HR. Serve visione. Serve dialogo tra imprese, istituzioni e università.
Serve una narrazione nuova, che presenti il mondo degli eventi non come ‘luogo di passaggio” ma come destinazione professionale di lungo termine, capace di offrire stabilità, crescita e realizzazione. In un’epoca dove l’incontro fisico torna ad avere un valore inestimabile, le persone che progettano e gestiscono questi incontri devono essere messe al centro. L’indagine ce lo ricorda chiaramente: investire sulle persone non è solo una buona pratica, è una strategia vincente.
Marina Bellantoni