Editoriale

Effetti della recessione: carriera rapida ma più prudenza per i nuovi Ceo

I Ceo entrati nel mondo del lavoro durante periodi di recessione hanno una carriera molto più rapida dei colleghi, ma uno stile manageriale più prudente e minore propensione al cambiamento. Fausto Panunzi, direttore del Dipartimento di Economia Bocconi, si interroga sulle evidenze di uno studio americano.
panunzi.JPGRiprendiamo da ViaSarfatti25, la newsletter dell'Università Bocconi di Milano, un articoo di Fausto Panunzi (nella foto), ordinario di economia politica alla Bocconi dal titolo 'La recessione mette le ali ai Ceo'

"La luce in fondo al tunnel della crisi economica ancora non si vede. E questo è un fattore che nel breve periodo influenza le possibilità di trovare un impiego dei giovani che si affacciano sul mercato del lavoro e il tipo di impiego che essi troveranno. Ma c’è un altro impatto delle recessioni che è meno conosciuto: quello sul percorso di carriera dei capi-azienda.

In uno studio ('Shaped by booms and busts: how the economy impacts Ceo careers and management style'), Antoinette Schoar (Mit Sloan school of management) analizza la carriera dei Ceo di alcune delle più importanti imprese americane tra il 1992 e il 2010, distinguendo tra coloro che sono entrati nel mondo del lavoro in anni di recessione e in anni di boom economico. 

I risultati sono sorprendenti. Chi è entrato nel mondo del lavoro durante un periodo di recessione è diventato ceo più rapidamente dei suoi colleghi, ma si trova a capo di imprese più piccole, riceve un compenso più basso e ha fatto un minor numero di cambiamenti nella sua scalata ai vertici, sia in termini di imprese che di settori in cui ha lavorato. Una possibile spiegazione è che il fatto di essere entrati nel mondo del lavoro in periodi di crisi riduca il potere di negoziazione dei manager negli stadi iniziali della carriera e che ciò abbia un effetto persistente nel tempo.
 
Ma, ancora più interessante, è quest’altro risultato: l’avere iniziato a lavorare in anni di recessione ha un impatto sullo stile manageriale dei Ceo, che tende a essere più prudente, meno propenso a decisioni rischiose. Questo tipo di Ceo tende a investire meno sia in beni capitali che in ricerca e sviluppo, cerca di avere un minore ricorso all’indebitamento, tende a perseguire strategie di diversificazione ed è più attento alla riduzione dei costi dell’impresa. 

Dunque, le condizioni del mercato del lavoro quando un giovane laureato vi entra sembrano avere un effetto di lungo periodo non solo sul suo percorso di carriera ma anche sul tipo di decisioni che prenderà quando diventerà il capo-azienda, cioè a distanza di anni.
 
Ma perché la condizione del mercato del lavoro a inizio carriera ha un effetto così persistente sui comportamenti manageriali dei futuri Ceo?
Una possibilità è che i neoassunti durante recessioni e boom siano costretti ad acquisire abilità diverse o semplicemente ad avere un’impostazione del lavoro imperniata su valori diversi. In altre parole, entrare in un’impresa nei momenti di crisi potrebbe lasciare un imprinting all’insegna della prudenza e di un uso efficiente delle risorse. Ma ci potrebbe essere anche un effetto di selezione. Nei momenti di crisi è più facile che siano promossi i giovani manager più prudenti e meno propensi a decisioni potenzialmente rischiose. 

L’evidenza empirica sembra indicare che è il primo effetto a essere decisivo. Se fosse solo un effetto di selezione, esso dovrebbe essere in azione sia se la recessione colpisce all’inizio della carriera del manager o nel corso di essa. 

I dati suggeriscono invece che le recessioni in mezzo alla carriera (ma prima che il manager diventi ceo) non hanno influenza significativa sul suo stile manageriale.
Tali risultati sono molto interessanti perché suggeriscono che il tipo di ceo presente sul mercato del lavoro dipende anche da come l’economia è andata nel passato. Boom prolungati potrebbero far sparire le competenze necessarie a gestire le imprese in periodi di recessioni e viceversa. 

Insomma, si direbbe che non solo i manager devono fronteggiare l’ambiente economico del loro presente, ma anche quello del loro passato. Più di tutto però, a mio avviso, studi come questo mettono in evidenza come le barriere disciplinari tra il management e l’economia siano sempre più artificiali e che il dialogo interdisciplinare è l’unica via per un’attività di ricerca proficua".