Inchieste

Fare il pieno di like è un gioco da 'professionisti'. Ecco come funziona

Un'interessante indagine del Corriere della Sera pubblicata su video.corriere.it fa luce su un fenomeno in forte crescita ma che finora nessuno ha sollevato con attenzione. Stiamo parlando della vendita di pacchetti di 'mi piace', molti dei quali frutto della costruzione di profili falsi. Un metodo che permette di aumentare il numero di 'like' sul contatore della pagina ma non certo le persone che realmente la seguono. Cattive pratiche condannate anche da Facebook.

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Finalmente un giornale di larga diffusione come il Corriere della Sera, in un articolo pubblicato sul sito video.corriere.it, si occupa di un argomento, quello della costruzione di profili e like falsi, di cui nel settore molti sono a conoscenza ma che finora nessuno ha sollevato con questa attenzione. 

Cattive pratiche condannate da Facebook stesso che, avendo nella pubblicità una delle principali fonti di reddito, non trae certo beneficio dall'opportunità offerta alle aziende di investimenti alternativi all'advertising per fare brand awareness.

Il social network sta diffidando da tempo le società che propongono questo tipo di servizi, 'bannando' le pagine che ne usufruiscono
Ricordiamo a tale proposito il messaggio con cui Facebook comunicava che a partire dal 12 marzo 2015 sarebbero stati rimossi i Like degli utenti inattivi dalle pagine con l'obiettivo di rendere più chiaro agli amministratori quale fosse il reale pubblico di riferimento, quello che davvero li segue e ne anima le pagine.

Un'iniziativa questa, importante, ma che non è sufficiente ad arginare un fenomeno ancora ampiamente condiviso. Al punto che, partendo dall'ultimo caso che ha visto coinvolta la Regione Campania che ha pagato una società per aumentare il numero di fan della propria pagina Facebook (investendo 10mila euro per passare velocemente a 60mila fan dai 4mila iniziali), il Corriere della Sera ha approfondito l'argomento intervistando due ‘professionisti del like’.

Si tratta di due ragazzi di Bassano del Grappa che a poco più di 20 anni grazie alla vendita di Like fatturano 20mila euro al mese con una lista di ordini in forte crescita. Tra questi, si legge nell'intervista rilasciata al Corsera, "C’è il cantante che ha richiesto trentamila fan sulla nuova fanpage, l’attore che vuole più follower su Instagram, il politico che chiede retweet. Un filone in espansione, quest’ultimo. Ormai le campagne elettorali si sono spostate sui social network. Non ci chiedono più di diffondere loghi o slogan ma di moltiplicare i 'Mi piace' ai loro commenti" spiega uno dei due, Hamza El Hadri fondatore di Socialsite.

I costi? Da 19,90 euro fino a 1.400 euro per centomila fan.
Il Corriere ha cercato di capire come funziona questo sistema e chi sono gli utenti che cliccano 'Mi piace'. 
Secondo quanto si legge nell'articolo online sul sito del quotidiano di Rcs, "nessuno che vende questi servizi vuole svelarne il funzionamento. Sia perché non sempre è lecito sia perché ci sarebbero frotte di internauti pronti a imitarli".

I due ragazzi che sono stati intervistati hanno dichiarano che loro si limitano a ricevere gli ordini e girarli a un network che poi si occupa della raccolta 'like' e a cui va il 25% della cifra pagata per il servizio. 

Un ulteriore approfondimento viene dunque fatto con uno di questi network che fa capo a un ragazzo di 25 anni, di Belluno. Al giornalista, che si è finto un potenziale acquirente del network, il ragazzo spiega: "Non ti posso dire come faccio ma ti dirò come fanno gli altri. E sono la maggioranza. Utilizzano shell script. Hai presente quando appaiono quelle finestre di benvenuto all’apertura di una pagina? Tu clicchi sulla X credendo di chiudere il pop up invece stai mettendo un 'mi piace' da qualche parte. E chi programma questi script viene pagato profumatamente per inserirli".

Ma sono tutti profili reali? A questa domanda la risposta è stata: "In realtà mi affido a degli esperti che non sono italiani e nemmeno americani, sono soprattutto turchi e arabi che sanno generare profili falsi. Li vendono a buon mercato. Altre volte sono sviluppati da software monitorati costantemente da hacker. Così facendo se Facebook attiva l’antispam si riesce prontamente ad aggirarlo".

Un buon metodo solo per aumentare il numero di 'mi piace' sul contatore della pagina ma non certo le persone che realmente la seguono. Ed è su questo che dovrebbero riflettere soprattutto le aziende che intendono realmente costruire una relazione con i propri consumatori.

Sensibile all'argomento, anche Twitter si è attrezzata per smascherare i fake attraverso un algoritmo creato da David Gross e David Caplan con l’obiettivo di quantificare gli utenti non reali.

Si tratta di Twitter Audit, che si basa soprattutto sull’attività che i profili svolgono sul social network (la data dell’ultimo tweet, il numero di tweet, etc) considerando fake quelli che da molto tempo non usano l’account.

MF