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Kpmg ed Enel 'sostengono' il GRI
Solo due dati per ragionare l'importanza della Csr: il 45% delle economie più grandi del mondo sono aziende, non Paesi; il 90% dei minori di 18 anni cresce in Paesi in via di sviluppo, naturale essi rappresentino il mercato di domani, fondamentale dare a questa domanda l'opportunità di nascere.
Su queste premesse si è tenuto oggi, 30 marzo, a Milano presso l'auditorium Enel di via Carducci 1/3, 'G3 Sneack Peack', l'evento, tappa italiana del Global Reporting Iniziative, dedicato a tutti coloro che si occupano di Social Responsibility. Obiettivo presentare anche nel nostro Paese la bozza del 'G3 Guidelines', oltre che fare il punto sullo stato dell'arte. L'organizzazione internazionale GRI, con sede ad Amsterdam, infatti, ha già realizzato 23 analoghe presentazioni in tutto il mondo, coinvolgendo direttamente più di 3.500 persone. A collaborare alla sua realizzazione in Italia: Enel e KPMG.
Apre i lavori Piermario Barzaghi, KPMG Advisory, interrogandosi sul futuro degli standard di sostenibilità. Una provocazione per sottolineare l''anarchia' con cui convivono i temi della rendicontazione in materia, dilaniata tra indici internazionali e nazionali, ma sopratutto alle prese con prodotti non confrontabili, che in assenza di omogeneità minano le sorti stesse di una divulgazione efficace.
E' Roberto Zangrandi, responsabile Csr Enel, a entrare nel vivo della questione, movendo dai risultati di una ricerca KPMG 2005, svolta su report internazionali 2004. Ne emerge una situazione che, pur evolvendo, non si è ancora liberata delle criticità di rendicontazione, quali la compatibilità, la durabilità e l'efficacia. Inevasa anche la necessità che la Corporate Governance sia estesa ai temi sociali e ambientali e che il concetto di stakeholders si estenda a tutta la supply chain. Spesso le politiche sociali continuano a restare intento, mancando strategie e progettualità, pur concordando le aziende sul valore e sulla competitività che esse creano.
Altrettanto da primo piano le questioni della comunicazione e della gestione, per la realizzazione di processi che sappiano strutturare ogni fase, dall'analisi delle aspettative alla gestione dei rischi, dalla definizione di obiettivi all'identificazione delle risposte al sistema gestionale, fino alla misurazione dei risultati attraverso indicatori che implichino anche l'assunzione di responsabilità da parte delle diverse funzioni. Senza dimenticare che gli stessi stakeholder sono portatori di interessi contrapposti e che dunque il loro 'ascolto' potrebbe non rappresentare la via per l'identificazione delle logiche d'azione, trasformandosi addirittura in limite.
Fondamentale interrogarsi anche su chi siano i lettori dei bilanci di sostenibilità. Si tratta di uno dei dilemmi del nostro tempo, specie quando l'evidenza mostra l'interesse del pubblico direttamente coinvolto con l'azienda o con il tema, dai dipendenti alle università, ma l'assenza di partecipazione della collettività, intesa come insieme di consumatori, tanto che anche sul fronte dei media a occuparsene sono gli specializzati, a discapito dei generalisti. Non a caso un recente dibattito a porte chiuse della Ferpi, concludeva che i bilanci sociali vengono letti solo dagli addetti ai lavori, e in realtà anche non completamente. In primo piano, dunque, la necessità di renderli leggibili e accattivanti, senza per questo rinunciare a completezza e attendibilità.
Ovviamente su tutto pesa il valore della loro trasparenza, quale condizione irrinunciabile perché il rendiconto conquisti la fiducia del pubblico, al punto che essa rappresenta uno dei fini delle linee guida G3. Dall'ultima delle analisi triennali KPMG, si evidenzia come tra le grandi aziende globali analizzate, spiccano per ricorso alla pubblicazione del bilancio sociale i settori delle municipalizzate, il chimico, il petrolifero, il gas. Sorprende positivamente il finanziario, arrivato a metà della classifica, così come l'edilizia che, pur se fanalino di coda, mostra una sensibile crescita, probabilmente sintomo del riscatto voluto dal comparto nei confronti dei recenti episodi di corruzione.
Sul fronte dei Paesi, il primato va al Giappone, l'80% delle sue grandi aziende ha per la Csr una reportistica ad hoc, seguito da Inghilterra, Francia, Germania. L'Italia è nella media, mentre mostrano un calo percentuale Usa e Norvegia, in realtà dovuto a fenomeni quali le fusioni intervenute, che portano le aziende coinvolte a divenire unico soggetto, pubblicando un solo bilancio, e l'espatrio delle sedi all'estero. Ultimo in classifica il Belgio.
Per quanto riguarda poi l'approfondimento della bozza 'G3 Guidelines', il compito è spettato a Ralph Andreas Thurm, deputy chief executive GRI, che ha inaugurato il suo intervento specificando l'approccio globale del GRI, seppur attento alle peculiarità delle realtà locali. Così se in Europa la visone di responsabilità sociale risente di una visone filantropica, del valore del dare, coinvolgendo la collettività, in Giappone si traduce nel rispetto reciproco, nell'armonia, nella costruzione di ambienti su modello familiare. 4, comunque, le macro tendenze internazionali:
- standardizzazione e normazione
- consolidamento
- regolamentazione
- integrazione
per una sostenibilità intesa quale via per ripensare il processo strategico, non solo come reporting.
Per questo il report G3, rispetto al passato oggi punta a realizzare maggiormente obiettivi di comparabilità, verifica, finalizzazione ai risultati, così come le sue linee guida mirano alla semplicità di realizzazione, per una applicazione universale. In poche parole, intendono mettere fine alla cosiddetta 'sindrome da montagna azzurra' (così chiamata per il colore stesso della guida) a significare l'inutilità delle troppe cose che il bilancio sociale richiedeva fossero fatte, in nome di una versione attuale facile da comporre e da leggere.