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NC n.100 | Transmedia storytelling, tra brand ed entertainment. Cosa ne pensano le aziende?

Target, formati, modalità di fruizione, durata e ritmo sono oggi i focus del be, in un mondo caratterizzato dalla pluralità di canali e da un approccio alla fruizione sempre più orizzontale e interattivo. Al centro, i contenuti e i valori da veicolare, veri protagonisti, insieme ai consumatori, della narrazione di marca.

Lo storytelling alla base del BE agevola una narrazione di marca transmediale, veicolando i contenuti di brand attraverso una vasta gamma di mezzi di comunicazione: da quelli tradizionali come il cinema e la tv, a quelli più recenti, primi tra tutti i social come TikTok e Instagram. Cosa ne pensano aziende e agenzie? Quali sono le differenze di approccio tra i diversi media e quali sono i target che prediligono i differenzi mezzi?

 

BE, l’evoluzione passa (anche) dalla fruizione

“La transmedialità è una delle sfide per tirare fuori il vero potenziale BE. La sua malleabilità - spiega Carlo Gea, senior strategist Different - permette a noi comunicatori di dare a quell’unico fil rouge narrativo tutte le possibili nuance dello storytelling in grado di coinvolgere ed emozionare persone di generazioni differenti con abitudine e comportamenti differenti, ma accomunate dai medesimi valori e interessi”. Ogni mezzo, infatti, ha

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un suo target di riferimento e negli ultimi due anni si è vista un’evoluzione della fruizione dei canali da parte degli utenti con un conseguente cambiamento di abitudini da parte degli utenti. “Laddove il mondo Meta dominava - precisa Matteo Ornati, senior manager, head of social media EY Yello - oggi è più in difficoltà soprattutto con le generazioni più giovani, Instagram viene soppiantato dalla GenZ in favore di TikTok che, grazie a un’interfaccia immersiva e che facilita i ‘binge watching’ tanto amato dai giovani abituati da anni di streaming di Netflix. A oggi, se dobbiamo ingaggiare un pubblico più giovane TikTok ha la precedenza ma, allo stesso tempo, dobbiamo considerare il cambio radicale di approccio che questo richiede, il brand deve riuscire ad avere un approccio comunicativo fresco e coerente, sia con il brand che con il canale, e, allo stesso tempo, riuscire a produrre contenuti che possano essere rilevanti per l’utente in un contesto altamente competitivo. In questi casi specifici, la partnership con creator può essere una chiave vincente per i brand, sia in chiave di audience hacking che di sinergie produttive. Il racconto su Instagram al contrario è più semplice in ottica di messaggio ma, allo stesso tempo, è necessario che sia cesellato per andare a parlare a un’audience più matura, con una ‘transumanza’ di utenti (Early Millennial e Genx) che hanno ormai abbandonato Facebook per ‘vivere’ digitalmente su Instagram”.

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Che sia un’epoca di cambiamenti nella fruizione di contenuti brandizzati e anche nell’approccio al branded content è convinto anche Fabrizio Fiorentino, chief marketing officer 2Watch: “Lo storytel- ling - spiega - varia significativamente a seconda del media che si sceglie per la distribuzione del contenuto. A differenza dei media tradizionali dove esiste ancora un approccio dedicato alla costruzione del contenuto artefatto, elaborato e profondamente controllato, i nuovi media e le nuove audience prediligono contenuti più diretti, più brevi e soprattutto più autentici. La motivazione è da ricercarsi nell’età del target e nella capacità dello stesso di comprendere il messaggio oltre che nei diversi touchpoint offerti dalle nuove piattaforme.

Inoltre, il media non è più rappresentato, come in passato, dai canali di trasmissione ma è rappresentato dalla persona che contribuisce a rendere il messaggio autorevole e credibile facendo leva sulla fiducia che l’utente ripone nei suoi confronti.

In futuro, per lo sviluppo di contenuti brandizzati sui nuovi media, autori e marketers dovranno accogliere una grande sfida adeguando i branded content alle logiche dei contenuti organici, abbandonando storytelling complessi e post produzione elevata del prodotto finale a favore di contenuti dall’aspetto più amatoriale e meno sofisticato e linguaggi più diretti e meno articolati, preferiti dalle nuove audience”.

 

La giusta angolatura della storia

La sfida dunque, considerando anche la pluralità di canali, è trovare la giusta angolatura della storia e del punto di vista dei protagonisti, focalizzandosi, inoltre, sul formato, la modalità di fruizione, la durata e il ritmo più corretti. “In generale - spiega Alessio Garbin, data & digital marketing coordinator Barilla Italia -, il branded

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content dovrebbe contribuire a depositare un percepito di marca che poi possa essere tesaurizzato da altre campagne, di prodotto o di brand, che lavori come apripista e sedimenti emozioni e valori nel lungo periodo. Questo appunto vale per tutti i canali, ma ognuno ha proprie dinamiche di fruizione (es. audio on/off, secondi medi di visione, device elettivo, modo orizzontale/ verticale...) per cui in genere si lavora su target (e si decide poi a quali canali dare priorità) oppure il contrario, si parte da un canale che si vuole valorizzare (chiaramente sempre perché c’è chi serve al brand) e si costruire qualcosa di ad hoc. Difficile, ma non impossibile, coprire tutti i canali con contenuti ugualmente efficaci, anche perché si rischia di disperdere il media, ma almeno progettare più canali che abbiano fruizioni simili è possibile”.

Che si parta dal target o dai canali, la pianificazione strategica è alla base di qual- siasi campagna, comprese quelle di BC. Come spiega anche Alberto Raselli, media & communication manager Gruppo Bauli: “Tutte le nostre campagne si basano sull’attivazione di diversi touchpoint, offline e online, in una combinazione sempre più integrata e studiata specifi- catamente per ciascuna marca e ciascun prodotto. Con un approccio studiato sulla singola marca e talvolta sul singolo prodotto, operiamo scelte strategiche che ci permettono di individuare il media mix più adatto per arrivare ai nostri consumatori. Che sia attraverso una challenge su TikTok (come abbiamo fatto per YoYo Motta), progetti di influencer marketing e digital PR (che attiviamo regolarmente in occasione di nuove campagne o nuovi prodotti), o contenuti social, il nostro obiettivo è sempre quello di continuare un racconto iniziato sui media tradizionali, che oggi si evolve, trasformandosi in base al canale per risultare sempre interessante e ingaggiante per il nostro target di riferimento”.

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Sicuramente il più recente avvento di piattaforme social come Instagram e TikTok ha rivoluzionato l’approccio dei brand alla comunicazione e alla creatività: si è passati così da un sistema di fruizione verticale, spesso addirittura passivo da parte dell’utente, perché impostato su un circuito chiuso, a una fruizione molto più orizzontale e interattiva.

“Il cinema e la televisione - precisa Paola Cantella, creative strategy director Cosmic - da sempre offrono un paradigma comunicativo dall’uno alla massa, in cui stilemi e linguaggi sono definiti dal brand stesso, a monte della comunicazione. Tutto risente di canoni visivi e narrazioni aspirazionali assolutamente definiti, di cui l’utilizzo di testimonial ne è l’emblema chiave: figure vicine al brand, per valore e identità, inserite all’interno della narrazione in maniera organica, ma patinata. Instagram e TikTok in un certo senso rompono questo sistema di comunicazione, ponendo al centro di essa un vero e proprio laboratorio creativo aperto anche agli utenti: la comunicazione tra brand e community è biunivoca, quasi a spirale, al punto tale che il linguaggio stesso di cui si avvale il BC&E è settato non dal brand, ma dai suoi stessi potenziali acquirenti e dalla conversazione online che nasce tra essi”. Anche la figura del ‘testimonial’ patinato e inserito all’interno della narrazione si evolve, portando a individuare il creator come figura chiave del BC&E che non solo fa parte in maniera organica della narrazione, ma ne diventa anzi il suo principale artefice. “Ad esempio in Cosmic - continua Cantella -, per la creazione e la gestione del canale TikTok dell’operatore energetico Terna, ci siamo avvalsi della collaborazione di vari creator che già organicamente si occupavano di informazione e divulgazione sui temi della trasmissione e transizione energetica, strutturando il nostro contenuto brandizzato con una sorta di palinsesto format che fosse davvero interessante e rilevante per il target di riferimento, al punto tale di permetterci di raccogliere circa 96 milioni totali di views in soli circa cinque mesi.

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Tutto questo trasforma irrimediabilmen- te il modo in cui i contenuti di intrattenimento brandizzati nascono, si evolvono, e soprattutto vengono rielaborati dalla community. Essa diventa infatti parte integrante e attiva nella narrazione di brand, avendo a sua disposizione anche strumenti di interazione attiva col contenuto, nativi soprattutto della piattaforma TikTok, come lo stitch, la reaction e banalmente l’utilizzo del format narrativo proposto dal brand in prima persona, con una continua contaminazione di linguaggi e spunti creativi utile anche ai brand per comprendere meglio il proprio target di riferimento”.

 

I confini della Narrazione trasmediale

Secondo Libera Brand Building Group il concetto di narrazione transmediale va approfondito e non confuso con la mera amplification di quello che, all’interno di un progetto, viene identificato come il contenuto principale. “La vera narrazione transmediale - precisa Roberto Botto, ceo & co-founder Libera Brand Building Group - è un racconto che si arricchisce grazie all’utilizzo di diversi mezzi, piattaforme e canali a disposizione fornendo contenuti inediti al pubblico, a seconda del touchpoint prescelto. Nella scelta di questi touchpoint è chiaro che deve necessariamente esserci una profonda analisi, del target ma non solo, che permetta di inserire il progetto in modo coerente e sinergico all’interno di una strategia di brand più ampia”. Il concetto è invece ‘morto, già superato dunque, secondo Ninetynine. “Il concetto di transmediale o cross mediale è ormai morto - Emanuele Landi, chief development & commercial officer dell’agenzia -. Non devi fare tutto. Se comunichi con la GenZ, Millennial e in parte sulla X a volte i mezzi tradizionali quasi non servono più. Devi fare poche cose, ma fatte molto bene. I social danno strumenti e tool che permettono in poco tempo di creare, ma li è il creator stesso che deve funzionare, il mezzo è il creator e il creator è il messaggio. Non c’è tempo per aggiustare o per narrare: è un sistema rigido. Mentre per i mezzi tradizionali video hai più flessibilità: scrittura, attori, puoi piegare la storia di più. Non credo ci sia un tema di target ma di cosa e quanto vuoi e puoi dire. Ovviamente, su TikTok e su Instagram l’obiettivo di vendita è più forte.

FRANCESCA FIORENTINO

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