Editoriale

Verso un cambio di paradigma e di business model

Se è vero che dallo storytelling si passa al technology e data-driven marketing, le agenzie di comunicazione sono pronte per trasformarsi in consulenti strategici per il business delle aziende?

Le recenti notizie relative all’uscita di alcune tra le più importanti figure ai vertici creativi e non delle agenzie internazionali suscitano nel settore un certo disorientamento e fanno riflettere sul futuro che attende le agenzie di comunicazione. Si tratta di un normale per quanto eclatante giro di poltrone o siamo di fronte a un cambio radicale di paradigma? Il dibattito è aperto.

Non intendo entrare nel merito delle persone coinvolte, mi sembra più interessante cercare di comprendere cosa sta succedendo nella industry globale della comunicazione senza timore di infrangere tabù che fino a oggi si ritenevano incrollabili. A fare un po’ di luce può aiutarci un ‘pezzo’, l’ennesimo di una lunga serie sull’argomento, uscito ieri sul sito dell’americana CNBC.  
In questo caso l’articolo (leggi news) riporta i contenuti di uno studio inviato ai propri clienti dagli analisti della Bank of America Merrill Lynch (BAML), e fotografa con inesorabile crudezza di sintesi quello che accade nello scenario globale della comunicazione.

Uno scenario caratterizzato da una crescita piatta negli ultimi tre anni delle tre principali holding - Wpp, Omnicom e Publicis - con la prima che nel corso del 2017 ha perso circa un terzo del suo valore in borsa. La causa? La clamorosa spendig review nelle spese di marketing messa in atto dai principali clienti, soprattutto del largo consumo, che hanno iniziato a valutare seriamente l’efficacia degli investimenti in advertising. P&G, ad esempio, ha recentemente annunciato di volere tagliare altri 400 milioni di dollari worldwide in aggiunta ai 750 già ‘risparmiati’ nel recente passato. Un esempio seguito da altre aziende come Nestlé e Unilever, con buona pace di Martin Sorrell.

Grazie ai big data e alle nuove prospettive delineate dalla ‘disruption’ digitale,  secondo gli analisti della BAML è ormai abbastanza chiaro che il business model della comunicazione disegnato dalle aziende clienti stia passando dallo storytelling al technology and data-driven marketing.

Per correre ai ripari, e per rispondere all’attacco delle grandi società di consulenza come Accenture, Deloitte o IBM (il cui impatto sulle quote di mercato rubate alle agenzie di comunicazione tradizionali si vedrà a partire dal 2018) le holding in questione già da diversi anni hanno risposto, e continuano a farlo, con l’acquisizione di strutture in ambito digitale (l’esempio forse più noto l’acquisizione di Sapient da parte di Publicis avvenuta nel 2014 per circa 3,7 miliardi di dollari, o ancora la messa a punto di Marcel, la piattaforma di IA affidata dal Gruppo francese a Microsoft, leggi news).

Appare sempre più evidente che ci troviamo di fronte a una vera e propria rivoluzione copernicana dove gli investimenti delle aziende vanno dove è assicurato che si possano raggiungere i target desiderati senza dispersioni e, soprattutto, dove ci si affida a partner strategici che possano indicare la strada più veloce, meno dispendiosa e più efficace. Il vecchio business model, in questo senso, non sembra essere più sostenibile per le imprese di comunicazione.

Nel nuovo contesto la creatività dovrà essere rilevante per il pubblico al quale si intende parlare, fosse anche il singolo individuo. La conoscenza delle abitudini delle persone, dei clienti, chiamiamoli pure consumatori diventa fondamentale per decidere quale contenuto veicolare e quali canali scegliere.

Per capire con un esempio concreto cosa sta succedendo leggete la notizia sulla nuova campagna del sito pornhup pubblicata ieri da Advexpress (leggi news), che dimostra come la conoscenza del target (anche in termini di media ‘consumati’) possa dare vita a insight potenti e, soprattutto, rilevanti per i consumatori (in questo caso consumatrici).

La mia impressione è che le agenzie, soprattutto nell’anziana e tv centrica Italia, debbano ancora farne di strada per essere considerate e sapersi proporre quali partner strategici a tutto tondo per il business dei propri clienti. Dalla loro hanno certamente la grande e inestimabile capacità di sapere trattare i brand e valorizzarne la equity attraverso la creatività, cosa che le varie Accenture & co. ancora (chissà per quanto) non hanno. Ma a questa devono affiancare le nuove competenze di cui sopra, e dimostrare di saperle padroneggiare.  

Cambiare pelle, fare un salto di qualità verso un ruolo strategico-consulenziale. Questa sembra essere la sfida per le agenzie di comunicazione del futuro. Una sfida in merito alla quale vi invitiamo a pronunciarvi e che non riguarda soltanto la creatività ma anche il media. Affronteremo presto il tema.

Stay tuned! 

 

Salvatore Sagone

Presidente di ADC Group