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Festival Of Media Global /1 - Vincere le paure è la chiave per innovare

Roma. L’11° edizione del Festival Of Media Global, la terza nella Capitale, si è aperta questa mattina sotto il segno della ‘paura’: un riferimento implicito allo scenario politico globale – non sono mancate diverse frecciate e rimandi alla Brexit o alla presidenza USA – ma soprattutto un richiamo alla necessità di osare di più in comunicazione da tutti i punti di vista, a costo di sbagliare ma di imparare e migliorare. Una testimonianza diretta è arrivata da Oliver Maletz, Head of International Communications & Media Planning di Volkswagen, che ricordando ciò che è accaduto al Gruppo alla fine del 2015 ha sottolineato come non si debba “Mai sprecare l’opportunità di una crisi’.

(Dal nostro inviato Tommaso Ridolfi). Ad aprire i lavori è stato il keynote della venezuelana Michelle Poler, co-fondatrice di hellofears.com e auto nominatasi "fear facer” (ndr: letteralmente, “affronta- paure”): ideatrice di un progetto che l’ha portata ad affrontare – e sconfiggere – 100 cose o situazioni di cui aveva timore o addirittura terrore in altrettanti giorni: dal salto con il paracadute al posare nuda per un corso di disegno, dal farsi camminare un ragno sulle braccia a cantare in pubblico e fare crowdsurfing…

Poler ha raccontato come ognuno di noi vive al sicuro in una propria ‘zona di conforto’ vivendo la paura come un ostacolo: “Ribaltando la prospettiva – ha osservato però –, da ciò che di peggio potrebbe succedere a ciò che invece può andar bene, si aprono infinite possibilità. Affrontare la paura si risolve in una scelta fra ‘sicurezza’ e ‘crescita’: e scegliendo la seconda strada c’è spesso, nell’85% dei casi, la possibilità di scoprire nuove opportunità, tanto sul piano personale quanto sociale. E la lezione vale anche per il business. Come? Affrontando le paure quotidiane insieme al proprio team, un leader deve mostrare coraggio in ogni decisione che prende, incoraggiando le persone che lavorano con lui a fare lo stesso e a tirar fuori le proprie idee, dimostrando così che è proprio per quella ragione che le ha scelte. Attenzione, però: avere coraggio non significa non aver paura di nulla, perché provare paura è un’emozione, è essenziale ed è anche salutare”.

Al tema del coraggio e del possibile fallimento e di quanto spesso questi siano elementi fondamentali per avere successo è stato dedicato un panel coordinato da Gemma Greaves (The Marketing Society) cui hanno partecipato Paul Graham (Burberry), Nick Graham (Huawei) e Sarah Mansfield (Unilever), che attraverso il racconto di episodi di fallimento di un’iniziativa personale o aziendale hanno mostrato la capacità di metterli a frutto trovando nuove strade e nuove soluzioni originali. Anche in questo caso i tre marketer hanno sottolineato l’esigenza di costruire un ambiente idoneo ad affrontare le paure: “Le trasformazioni e i cambiamenti avvengono grazie all’interazione fra le persone – come ha detto Nick Graham – e non si può pensare di fare tutto da soli”.

“In realtà non è necessario fallire – ha concordato Paul Graham – ma occorre non averne paura e osare dove e quando si può, nella vita e nella routine quotidiana dei meeting day by day.

Focalizzandosi solo sugli aspetti positivi non si imparerà mai nulla di nuovo”. “Per essere pionieri e innovatori occorre accettare fin dall’inizio che qualche strada ci porterà a destinazione mentre altre le troveremo chiuse. Ma è essenziale darsi obiettivi ambiziosi – ha ribadito Sarah Mansfield – perché anche quando non si riesce a raggiungerli l’esperienza è la strada migliore per imparare a superare i propri limiti”.

OLIVER MALETZ (VOLKSWAGEN): “LE CRISI? UN’OPPORTUNITÀ DA NON SPRECARE”

Intervistato da Jeremy King, COO del Festival of Media, Oliver Maletz, Head of International Communications & Media Planning di VolksWagen ha parlato delle sfide che la sua azienda ha affrontato nell’ultimo biennio, da quando alla fine del 2015 è stata protagonista della crisi legata allo scandalo delle emissioni truccate: “Sarò forse cinico – ha commentato –, ma sono convinto che qualsiasi crisi rappresenti anche un’opportunità da sfruttare”.

Come VolksWagen è cambiata in questi due anni?

“Quella che sta cambiando è l’intera industria dell’automotive, che si sta spostando dalla vendita di prodotti a quella di servizi accessori: i clienti pagheranno per i sedili riscaldati, il navigatore, l’assistente del parcheggio e molto altro solo se e quando li vorranno utilizzare… Detto questo, la nostra industry passa molto tempo a parlare di se stessa e procede da decenni sempre nello stesso modo: creiamo un nuovo prodotto, lo diciamo alla gente e speriamo che se lo ricordi e che lo acquisti. Il fatto è che oggi le vendite si fanno essenzialmente online e che il nostro ruolo è quello di accompagnare le persone in tutte le fasi che le portano a decidere. La prima e più importante sfida che oggi dobbiamo affrontare è capire i consumatori, ma per farlo ci siamo resi conto che dovevamo cambiare. L’aspetto più difficile è stato il cambiamento interno: abbiamo completamente rivisto il metodo con cui presentiamo al mercato i nostri nuovi prodotti, passando dal media planning – cioè l’acquisto di Tv, stampa, affissioni, video e un po’ di online su cui declinare una creatività – al communication planning, in cui la ‘big idea’ creativa e il piano media nascono insieme fin dall’inizio del processo. È stato un passaggio cruciale”.

Lo scorso anno, VolksWagen è stata protagonista del più grande ‘consolidamento’ nella storia dei media, spostando in PHD l’intero budget relativo ai suoi 8 brand (un totale di 1,5 miliardi di dollari lordi all’anno). La gara relativa è durata 18 mesi, ha raccontato Maletz, dopo una serie infinita di meeting partita con l’incontro con le 7 holding globali fino alle decine e decine di e riunioni dedicate ai singoli aspetti tecnici.

Qual è stato il brief e su cosa si è basata la decisione finale, ha chiesto King?

“Per anni abbiamo chiesto alle agenzie di risparmiare, risparmiare e ancora risparmiare. Questa volta abbiamo cercato un partner che fosse sulla nostra stessa lunghezza d’onda. Devo dire che sono sorpreso da quante delle agenzie che abbiamo incontrato non fossero affatto interessate a risolvere i nostri problemi come dichiarano praticamente tutte… O almeno non sono riuscite a trasmetterci il modo in cui intendevano farlo. Seduti dall’altra parte del tavolo mi è sembrato che la differenziazione di cui tutte si vantano in realtà fosse pressoché inesistente. Un ruolo fondamentale è stato giocato dalla ‘chimica’: in PHD abbiamo trovato persone con cui lavorare in sintonia e che condividono al 90% il nostro nuovo processo di planning. A chi pensa che li abbiamo scelti solo per i savings rispondo che certo, il procurement è stato parte del processo decisionale ma non è stato l’aspetto fondamentale: esattamente come non si può attribuire il successo di una campagna all’ultimo click…”.

Che ruolo gioca il Programmatic per il vostro brand?

“Ancora non funziona al 100% a livello globale, ma io vedo il programmatic come uno strumento per aumentare i profitti, che è il nostro obiettivo finale: per esempio, non offrendo uno sconto generalizzato di 3.000 euro a tutti i potenziali clienti ma solo a quelli che altrimenti non comprerebbero una nostra auto. Inoltre il programmatic è un tool perfetto per capire e sfruttare i canali da utilizzare per raggiungere i consumatori e per capire quali messaggi veicolare e in quali momenti. Ci permette di focalizzarci sulle persone evitando rumore di fondo e dispersione, raccontando loro la nostra storia adattandola e personalizzandola per ciascun possibile segmento – che ormai sono diventati migliaia per ciascuno dei nostri modelli.

Quali le sfide poste dal Digital?

“Se ci guardiamo intorno, oggi tutto è diventato possibile. È solo una questione di prezzo accessibile e dei risultati che può dare. Solo perché si può fare qualcosa, non è detto che lo si debba fare. La sfida è nel rapporto fra costo ed efficacia: abbiamo i nostri KPI e verifichiamo costantemente che si muovano nella direzione auspicata. Se spendo 50 e ottengo 50 vale davvero la pena che io faccia quell’investimento? Lo stesso per la questione della brand safety, della viewability e via dicendo: non ho alcuna intenzione di pagare per qualcosa che dovrebbe già essere innato nella tecnologia che stiamo adoperando”.