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Voices from Storytelling by The Story Group – Nati per Raccontarti. All you need is love: Storytelling e Employer Branding
Torna anche quest’anno su ADVexpress la rubrica a cura di The Story Group – Nati per Raccontarti. Una finestra che vi aggiornerà su trend, numeri, novità e notizie riguardanti lo storytelling, una forma di comunicazione sempre più centrale nelle strategie di brand. Un osservatorio aggiornato grazie alle competenze e specializzazioni di Lifonti&Company, Cabiria BrandUniverse e Social Content Factory che insieme formano The Story Group – Nati per Raccontarti. Un team di comunicatori in costante evoluzione, nato per raccontare le migliori storie d’impresa e di brand con tutti i linguaggi della comunicazione contemporanea: parola, visual e video.
Quando nel 2015 Social Content Factory, agenzia di videostrategy, si è unita a Lifonti & Company e Cabiria BrandUniverse, formando The Story Group – Nati per Raccontarti, l’inserimento del termine “storia” nel nome dell’agenzia venne quasi naturalmente: lo storytelling, la capacità di raccontare le storie aziendali e di brand attraverso contenuti di qualità, inseriti in una narrazione a lungo termine, si stava imponendo come modalità portante di molte strategie aziendali.
Oggi, due anni dopo, la sua importanza è ulteriormente aumentata, arrivando a coinvolgere nuove dimensioni della presenza pubblica.
Le ragioni di questa preminenza? Una, in particolare: la disintermediazione, che ha creato le condizioni affinché le imprese potessero comunicare direttamente ai propri pubblici e ai propri stakeholder senza necessità di affidare i loro messaggi a un intermediario. Una nuova opportunità recepita e utilizzata in molti settori.
Bisogna però saper raccontare bene, come noi stessi ci ripetiamo ogni giorno.
Il racconto di un brand è un lavoro soprattutto umanistico, finalizzato a creare dialogo e interazioni durevoli nel tempo tra un brand e le sue culture di riferimento. Ogni segmento culturale è dotato di un proprio set di valori, preferenze e comportamenti relazionali. E’ questo insieme di aspettative a costituire il target della comunicazione, determinando la selezione delle ‘chiavi’ più adatte a mettere in scena la storia.
The Story Group, che porta in sé l’esperienza decennale nel branding e nello stakeholder engagement delle agenzie che la compongono, possiede sensibilità e strumenti per suonare nella chiave più adatta, con una narrazione che consolidi la relazione con gli interlocutori e crei risonanza con l’orizzonte culturale al quale si riferisce.
C’è però uno stakeholder che, per molti anni, è stato sottostimato dalla comunicazione aziendale: i propri dipendenti.
Eppure oggi molte aziende si trovano ad interrogarsi sulla qualità delle proprie assunzioni e sulle modalità migliori per coinvolgere i propri dipendenti nella comunicazione aziendale, in una fase in cui lo scacchiere della concorrenza tra imprese e brand si fa sempre più internazionale (perché la disintermediazione garantita dal digitale interessa anche frontiere e distanze).
Alcuni, i più lungimiranti, hanno iniziato a parlare dei propri dipendenti come Ambasciatori del brand, anziché come semplici collaboratori. Ma la concorrenza è grande se si considera che, come già ricordava una ricerca di Randstad del 2015, i membri delle generazioni più giovani (GEN Y – GEN Z) vorrebbero per il 75% lavorare in una startup o fondare una propria società.
Emerge sempre più frequentemente la necessità di lavorare sulla propria reputazione e attrarre i candidati di cui le aziende hanno bisogno. Perché è sulla base della qualità delle proprie assunzioni di oggi, e sulla capacità di trattenere i dipendenti più meritevoli, che le aziende costruiranno il proprio futuro.
Per questa ragione, anche in Italia parlare di employer branding è diventata una necessità: le aziende stanno cominciando a lavorare sulla propria capacità di attirare i candidati migliori per gli obiettivi dell’azienda, all’interno di uno scenario globale di concorrenza.
L’employer branding è un’attività che interessa molte dimensioni della vita aziendale – a metà strada tra risorse umane, comunicazione e marketing – mirata in primo luogo a rispondere ad una domanda: perché un candidato dovrebbe scegliere di lavorare per noi?
Inutile sottolineare che, anche in questo campo, lo storytelling si sta rivelando la strategia di comunicazione più efficace per raccontare senza intermediari il significato della vita in azienda, le prospettive offerte ai candidati, la strategia attraverso la quale raggiungere gli obiettivi prefissati, presentando il futuro in un’azienda florida, innovativa e impegnata a raggiungere sempre nuovi traguardi.
Questa maggior consapevolezza dell’importanza dell’employer branding non si è però accompagnata ad una completa comprensione di cosa significhi questo termine. Anche perché una traduzione, come spesso accade con i termini inglesi, non è immediata. Data questa complessità nel trovare una definizione univoca, in questa “prima puntata” ci occuperemo di vedere un po’ più da vicino di cosa si tratta e di mostrare in che modo un’agenzia come The Story Group può aiutare un’azienda a costruire, oggi, il proprio futuro.
1. Employer branding è, in primo luogo, un’offerta. Non solo di un lavoro. E’ l’offerta a un candidato di entrare a far parte di qualcosa dotato di una propria identità. Una proposta costruita intorno a ciò che l’azienda può offrire. Il termine internazionale per descrivere questo messaggio è EVP, employer value proposition: la dichiarazione di valore del datore di lavoro. Come già scrivevano Michael, Handfield Jones e Axelrod nel loro fondamentale volume del 2001 The War of Talent, “l'employee value proposition è la somma complessiva di tutto ciò che le persone vivono e ricevono nell'ambito del rapporto di lavoro con un'azienda: la soddisfazione intrinseca per il lavoro, l'ambiente, la leadership, i colleghi, la retribuzione e altro ancora. È quello che fa l'azienda per soddisfare i bisogni, le aspettative e anche i sogni dei collaboratori.”
Qualcosa di più rispetto ad un annuncio di lavoro, dunque. Anzi, un insieme di fattori dei quali la mansione da ricoprire e la retribuzione stessa – spesso considerati la ragione basilare per la quale un candidato sceglie un lavoro – sono solo capitoli.
Non dobbiamo stupirci, allora, che i più giovani preferiscano lavorare in una startup o in una società tecnologica. Oltre ad un posto di lavoro e un salario, chiediamoci cosa offrono queste aziende: bilanciamento vita/lavoro, opportunità di lasciare la nostra firma sulle grandi innovazioni di questo secolo, possibilità di realizzare il proprio percorso professionale in modo autonomo.
Ecco perché il primo passo verso ogni attività di employer branding deve vedere un’azienda interrogarsi su se stessa, sui suoi pregi e sui suoi difetti.
C’era scritto già sul Tempio di Apollo a Delfi. Vuoi agire bene? Gnōthi sautón, conosci te stesso.
2. Ecco allora che Employer branding è anche una conversazione: come facciamo a capire quali sono i nostri punti di forza e, soprattutto, i nostri punti di debolezza? Facendo un passo oltre al punto precedente: non solo dicendo “ecco cosa significa lavorare qui” ma chiedendoci “cosa cerchiamo nell’azienda, noi che già lavoriamo qui”? Employer branding è dunque una conversazione a più dimensioni tra il management dell’impresa, i suoi dipendenti, i potenziali candidati, gli ex dipendenti e, naturalmente, tutti gli interlocutori esterni come giornalisti, blogger, commentatori vari. E’ una conversazione che può interessare molti argomenti: le esperienze degli attuali lavoratori, la reputazione dell’azienda, la presenza del brand e dei suoi prodotti sul mercato, l’impatto dell’impresa nella comunità a cui appartiene il candidato.
Tutti questi elementi concorrono a formare una descrizione più o meno accurata nell’immaginario del candidato rispetto al tipo di lavoro e di vita che condurrà all’interno di un’azienda. Tanto più saremo capaci di approfondire tutte le dimensioni della nostra conversazione con i candidati, tanto più saremo in grado di coinvolgerli all’interno della nostra storia aziendale. Fare Employer Branding è molto di più che trovare un buon slogan per il nostro recruitment: significa sapere proporre un’esperienza. Com’è possibile farlo?
Naturalmente con una buona storia, nutrita da buoni esempi.
3. Buoni esempi? Ovviamente. Perché Employer Branding è anche un comportamento:è la messa in azione dei valori e della nostra identità in funzione di un obiettivo, quanto più coerente con la nostra mission aziendale e con i bisogni della società in cui ci troviamo ad operare. E’, in poche parole, l’attività di diffusione di una cultura aziendale inclusiva, mirata a coinvolgere i propri interlocutori attraverso buone pratiche. Cominciamo a chiederci perché i nostri dipendenti sono felici di lavorare con noi, o al contrario perché non lo sono.
Rendiamoci accessibili, comprensibili e trasparenti: è più facile comprendere i valori e l’identità di qualcosa disponibile ad entrare in conversazione con noi. Tutto parte dall’agilità nel saper rispondere alle richieste provenienti dall’interno, ascoltando i feedback di coloro che lavorano nella nostra impresa e, soprattutto, facendone tesoro: una critica ben posta è molto più utile di commenti sempre positivi. Perché, come dice Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, “il nostro brand è ciò che dicono di noi quando siamo fuori dalla stanza”. Cerchiamo di coinvolgere i dipendenti nella definizione della nostra immagine aziendale dotandoli di spazi, piattaforme e modalità per prendere la parola, senza paura o senza preconcetti. E’ la base dell’employee empowerment, un altro termine che diventerà centrale nei prossimi anni, il cui scopo è creare una comunità di persone all’interno della nostra azienda, ingaggiate dai valori del brand. Come da titolo: all you need is love.
4. Soprattutto, l’Employer branding è una storia: è quella narrazione in cui vita personale dei lavoratori e dei candidati, storia e valori aziendali, cultura e società esterna si toccano. E’ la modalità attraverso la quale chiediamo ai nostri interlocutori di farsi protagonisti di un racconto più grande di loro, ma che senza di loro non potrebbe arrivare ad una felice conclusione. Se abbiamo fatto tesoro dei risultati delle conversazioni con i nostri dipendenti, potremo selezionare le modalità migliori per tracciare questa storia, magnificando i nostri punti di forza e trattando in modo adeguato le nostre debolezze, comunicando in modo aperto come abbiamo intenzione di superarle. Ogni storia ha un fulcro, naturalmente: potrebbe essere la nostra innovatività (“rendiamo possibile il mondo di domani”), la grandezza dei nostri obiettivi (“cureremo il cancro”), la possibilità di crescere professionalmente (“potere alle persone”), l’opportunità di cambiare il modo in cui vediamo il mondo. Potrebbe essere l’ambiente di lavoro, la profondità dei nostri valori aziendali, l’attenzione alle necessità di clienti e dipendenti.
L’importante, come per ogni storia, è che sia autentica, vissuta, onesta. Raccontata dalla viva voce di una persona, capace di parlare alle persone e non agli algoritmi delle piattaforme sulle quali raccontiamo le nostre storie. In grado di toccare i sentimenti di ammirazione, rispetto e, se si è particolarmente bravi, di amore nei confronti del brand.
Perché, anche nella comunicazione interna e nelle attività di Employer Branding, vale quanto vi ricordavamo qualche mese fa nelle precedenti puntate di questa rubrica. Il medium non è più il messaggio.
Il messaggio sei tu. Anche quando pubblichi un annuncio di lavoro.