Inchieste
Eventi non convenzionali: prima si pianifica, poi se ne parla
La condivisione è diventata, in un'epoca in cui gran parte della comunicazione viaggia attraverso i social network, una conditio sine qua non per il successo degli eventi realizzati fuori da schemi, spesso ideati e realizzati per stupire. Se è vero che il passaparola amplifica gli effetti di un evento, è anche vero che per arrivare al 'word of mouth' è necessario pianificare con attenzione gli investimenti in fase teaser e pre-evento. Articolo tratto dall'Inchiesta 'Eventi fuori dagli schemi' pubblicata su e20 maggio - giugno 2014.
Una delle caratteristiche degli eventi non convenzionali è la loro capacità di ‘vivere’ oltre l’attività stessa, in particolar modo sfruttando la comunicazione digitale e i social network, e generando così una sorta di contaminazione tra media.
Come approcciano tale ambito le agenzie? Spiega Luca Colombi, account director e socio fondatore All Communication: “In un mondo in cui viviamo con smartphone e device vari sempre con noi, se riusciamo a far sì che il target estragga da borse e tasche il telefonino o l’ipad per fotografare o filmare quello che sta vivendo e lo condivida sui social network… beh, allora sappiamo di aver realizzato qualcosa che è riuscito davvero a colpirlo. Vi sono poi eventi finalizzati a realizzare output destinati solo alla viralizzazione sul web: video che fanno vivere a tutti, indistintamente, quella sorpresa e spettacolarizzazione sperimentata live solo da chi era presente. Sono i cosiddetti eventi ibridi, molto in voga attualmente”.
La condivisione sembra essere quindi una conditio sine qua non degli eventi unconventional. “Il nuovo genera curiosità, che permette alla notizia di viaggiare a grande velocità nei social - sostiene Francesco Dobrovich, executive director Nu Factory -. Addirittura, alcune azioni vengono rilanciate nel tempo e continuano a vivere attraverso il passaparola. Un’attività è non convenzionale quando è condivisibile, perché oggi si costruisce un’espansione della propria personalità attraverso la realtà social. Lo vedo su me stesso: se qualcosa mi stupisce, ho immediatamente voglia di condividerla”.
Commenta Isabella Maggi, direttore marketing e comunicazione Gattinoni Communication: “La contaminazione tra i media è ormai una caratteristica fissa per lo standard degli eventi, sia corporate sia consumer. Da un lato l’integrazione con i social ci permette di aprire il flusso di comunicazione non solo ‘verso’ ma anche ‘da’ i partecipanti in modo semplice ed estremamente efficace; dall’altro, gli strumenti digitali sono ormai presenti in ogni momento degli eventi, convenzionali e non, sia perché permettono di migliorare l’esperienza dei partecipanti sia perché consentono di fare di più spendendo meno”.
Si delinea un quadro in cui, oggi, il peso dei social riveste un ruolo fondamentale per eventi che lascino il segno. “Il processo di una strategia di marketing non convenzionale inizia prima del lancio, creando attesa e buzz - spiega Nicoletta Caluzzi, presidente Iaki -. È l’effetto teaser che innesca le conversazioni spontanee. La strategia mira a rendere partecipi prima di tutto piccole community, affinché attivino processi di word of mouth offline e ‘raccomandazioni’ online come tweet, pin, like and sharing. Spargendo così il seme della conversazione, contaminando diversi ambiti, ci si assicura che si attivino a loro volta meccanismi di passaparola che diffondano la notizia”.
“Il ciclo di vita dell’investimento pubblicitario nel marketing tradizionale impone ingenti investimenti iniziali in visibilità e copertura media per sfruttare al massimo l’effetto sulle vendite nella fase di lancio - commenta Maurizio Murciato, client service director & business development manager Piano B -. In seguito, gli investimenti calano progressivamente fino alla maturità del prodotto, per lasciare spazio a un nuovo lancio, e quindi a un nuovo investimento, e così via. L’approccio unconventional è ribaltato. Gli investimenti pubblicitari nella fase di lancio sono limitati al coinvolgimento della nicchia di ‘early adopter’ e ‘influencer’, con l’obiettivo di trasformarli in ‘advocate’ ed ‘evangelist’. Dopo questa fase, l’iniezione di investimento è progressivamente maggiore fino al punto in cui la crescita e la diffusione organica, quindi spontanea e virale, superano quella derivata dall’effetto pubblicitario. Una campagna di successo quindi, dopo una prima fase di ‘seeding’, dovrebbe essere in grado di vivere a lungo e da sola, proprio grazie alla contaminazione dei vari media e al passaparola”.
Conclude Fabrizio Bandinelli, managing partner LookAround: “Credo che non si tratti solo di fare vivere l’evento dopo l’evento. La comunicazione digitale e i social network permettono sicuramente di allungare l’effetto generato dell’evento. È fondamentale rimanere connessi con il pubblico, trasmettendo lo spirito dell’iniziativa. Non possiamo pensare che la semplice ripresa di un momento guerrilla o di un flashmob possa bastare per impressionare il target. Dobbiamo dare un segnale forte di interazione e condivisione continua anche dopo l’evento”.
Come approcciano tale ambito le agenzie? Spiega Luca Colombi, account director e socio fondatore All Communication: “In un mondo in cui viviamo con smartphone e device vari sempre con noi, se riusciamo a far sì che il target estragga da borse e tasche il telefonino o l’ipad per fotografare o filmare quello che sta vivendo e lo condivida sui social network… beh, allora sappiamo di aver realizzato qualcosa che è riuscito davvero a colpirlo. Vi sono poi eventi finalizzati a realizzare output destinati solo alla viralizzazione sul web: video che fanno vivere a tutti, indistintamente, quella sorpresa e spettacolarizzazione sperimentata live solo da chi era presente. Sono i cosiddetti eventi ibridi, molto in voga attualmente”.
La condivisione sembra essere quindi una conditio sine qua non degli eventi unconventional. “Il nuovo genera curiosità, che permette alla notizia di viaggiare a grande velocità nei social - sostiene Francesco Dobrovich, executive director Nu Factory -. Addirittura, alcune azioni vengono rilanciate nel tempo e continuano a vivere attraverso il passaparola. Un’attività è non convenzionale quando è condivisibile, perché oggi si costruisce un’espansione della propria personalità attraverso la realtà social. Lo vedo su me stesso: se qualcosa mi stupisce, ho immediatamente voglia di condividerla”.
Commenta Isabella Maggi, direttore marketing e comunicazione Gattinoni Communication: “La contaminazione tra i media è ormai una caratteristica fissa per lo standard degli eventi, sia corporate sia consumer. Da un lato l’integrazione con i social ci permette di aprire il flusso di comunicazione non solo ‘verso’ ma anche ‘da’ i partecipanti in modo semplice ed estremamente efficace; dall’altro, gli strumenti digitali sono ormai presenti in ogni momento degli eventi, convenzionali e non, sia perché permettono di migliorare l’esperienza dei partecipanti sia perché consentono di fare di più spendendo meno”.
Si delinea un quadro in cui, oggi, il peso dei social riveste un ruolo fondamentale per eventi che lascino il segno. “Il processo di una strategia di marketing non convenzionale inizia prima del lancio, creando attesa e buzz - spiega Nicoletta Caluzzi, presidente Iaki -. È l’effetto teaser che innesca le conversazioni spontanee. La strategia mira a rendere partecipi prima di tutto piccole community, affinché attivino processi di word of mouth offline e ‘raccomandazioni’ online come tweet, pin, like and sharing. Spargendo così il seme della conversazione, contaminando diversi ambiti, ci si assicura che si attivino a loro volta meccanismi di passaparola che diffondano la notizia”.
“Il ciclo di vita dell’investimento pubblicitario nel marketing tradizionale impone ingenti investimenti iniziali in visibilità e copertura media per sfruttare al massimo l’effetto sulle vendite nella fase di lancio - commenta Maurizio Murciato, client service director & business development manager Piano B -. In seguito, gli investimenti calano progressivamente fino alla maturità del prodotto, per lasciare spazio a un nuovo lancio, e quindi a un nuovo investimento, e così via. L’approccio unconventional è ribaltato. Gli investimenti pubblicitari nella fase di lancio sono limitati al coinvolgimento della nicchia di ‘early adopter’ e ‘influencer’, con l’obiettivo di trasformarli in ‘advocate’ ed ‘evangelist’. Dopo questa fase, l’iniezione di investimento è progressivamente maggiore fino al punto in cui la crescita e la diffusione organica, quindi spontanea e virale, superano quella derivata dall’effetto pubblicitario. Una campagna di successo quindi, dopo una prima fase di ‘seeding’, dovrebbe essere in grado di vivere a lungo e da sola, proprio grazie alla contaminazione dei vari media e al passaparola”.
Conclude Fabrizio Bandinelli, managing partner LookAround: “Credo che non si tratti solo di fare vivere l’evento dopo l’evento. La comunicazione digitale e i social network permettono sicuramente di allungare l’effetto generato dell’evento. È fondamentale rimanere connessi con il pubblico, trasmettendo lo spirito dell’iniziativa. Non possiamo pensare che la semplice ripresa di un momento guerrilla o di un flashmob possa bastare per impressionare il target. Dobbiamo dare un segnale forte di interazione e condivisione continua anche dopo l’evento”.
L'articolo è inserito nell'Inchiesta 'Eventi fuori dagli schemi' di e20 maggio - giugno 2014, di cui è già stato pubblicato un altro articolo (vedi notizia correlata a fondo pagina)
Serena Roberti