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BEA World 2023. Inclusione e connessione: i due ingredienti che non possono mancare a un evento ricco di senso

“Non partecipi a un seminario. Ne fai parte”: questa è una delle massime di Seth Godin, imprenditore americano, esperto di marketing, condivisa da Adrian Segar, organizzatore e moderatore di conferenze con un’esperienza pluridecennale, che durante l’ultima edizione dei BEA World ha voluto condividere le tecniche più efficaci per creare eventi che non solo diventino memorabili, ma che possano provare a cambiare la vita delle persone. Eccone alcune

Fare un evento non  ha quasi mai a che fare solo con l’assemblare diverse esperienze, possibilmente “incartate” con l’effetto wow. No, oggi un evento affinché sia memorabile deve avere un senso, produrre un’eco nelle persone che vi partecipano, di modo che quello che hanno esperito, se lo possano portare a casa e lo possano ricordare per sempre.

“Un evento può cambiare la vita”, ha commentato Adrian Segar, fondatore di ‘Conferences that work’, organizzatore e moderatore di conferenze da quasi mezzo secolo, un periodo nel quale ha potuto osservare come gli eventi sono cambiati nell’arco del tempo. “Oggi le persone vogliono connettersi, vogliono essere incluse, non più solo spettatori: vogliono fare esperienza e partecipare, nel vero senso della parola”.

A lui è toccato condurre la masterclass su come creare e promuovere una partecipazione significativa agli eventi durante l’ultima edizione dei BEA World di ADC Group, svoltasi a Roma dal 23 al 25 novembre presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.

“A un evento, che sia di piccole o grandi dimensioni, bisogna avere cura che si creino delle connessioni – prosegue Segar – Ed esistono diversi modi per farlo, ma tutti hanno a che fare con il coinvolgimento, con il mettere i partecipanti al centro. Per prima cosa, bisogna proporsi di sapere un po’ di più dei partecipanti: cosa fanno nella vita, il loro ruolo… Questo potrebbe essere già un primo elemento comune da utilizzare per suddividerli in piccoli gruppi e farli interagire.

Oppure si può utilizzare la tecnica del body voting: per esempio, se poniamo una domanda su un argomento, invece di utilizzare la solita alzata di mano, li si può far alzare e far spostare nel cluster relativo alla loro risposta ideale, o farli posizionare idealmente su una linea per esprimere il grado di preferenza”.

Segar crede molto nel confronto: “Il pair share funziona sempre: se l’evento è piccolo con un numero ristretto di partecipanti, li si può mettere a coppie e sollecitarli a confrontarsi nel meccanismo di domanda-risposta, laddove uno fa le domande per dieci minuti e l’altro risponde e viceversa. Vi immaginate una platea ad ascoltare unilateralmente qualcuno che parla dal palco: funzionale, ma dopo un po’ si perde l’attenzione del pubblico”.

Una tecnica di public speaking, o più semplicemente di dialogo e di comunicazione, che Segar raccomanda, è quella della fishbowl, ovvero dell’acquario: il moderatore occupa una sedia sul palco e la rimanente o le restanti (a seconda di quanti relatori vuole prevedere durante il confronto) sono vuote. Il moderatore lancia il topic della conversazione, poi chi ha qualcosa da aggiungere alla conversazione si alza, esce dalla platea o dal cerchio e va a occupare una delle sedie. Questo gli dà diritto di parola. Una volta finito l’intervento, lascia libera la sedia a chi viene dopo. In questo modo, non esiste un esperto titolato a parlare e gli altri a essere attori secondari della conversazione, ma tutti sono alla pari, dal momento che tutti possono avere il loro spazio al centro della scena. “Questo presuppone anche un prendersi la responsabilità di ciò che si sta per dire – puntualizza Segar – Ma in questo modo permette a chi partecipa di contribuire, quindi di apportare il proprio significato, arricchendo l’esperienza della condivisione”.

Francesca Favotto