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NC n.100 | Le (non) regole dell’intrattenimento perfetto nel BC&E. Consigli per contenuti efficaci

La ricetta magica non esiste, ma esiste un fil rouge da seguire quando si desidera sviluppare progetti di BC efficaci, che siano in linea con gli obiettivi e portino ai risultati sperati. Una narrazione ben definita e solida, da declinare sui vari touch point nei formati più appropriati, coerenza con i valori del brand e linguaggi, sincerità e creatività, le ‘conditio sine qua non’ per campagne di successo.

Esistono, e quali sono, le regole per costruire programmi e piattaforme di branded content realmente efficaci? Quali i limiti da non superare? Innanzitutto, deve essere un prodotto editoriale, originale o integrato in un progetto di comunicazione preesistente, capace di intrattenere il target in modo sincero, creativo, continuativo e coerente, tanto con i valori e gli obiettivi del brand quanto con il linguaggio, tone of voice e peculiarità del contenitore che lo ospita. Questa in sintesi l’opinione dei nostri intervistati.

L’ingaggio passa da valori e linguaggi coerenti “Il BCE - spiega Chiara Niccolai, chief strategy officer Roma-Milano DlvBbdo - è un mondo in piena evoluzione, di cui si conoscono bene le potenzialità, ma non i confini. L’unica regola è che non ci sono regole, ma obiettivi e brief chiari e specifici. Sono progetti di vera co-creazione tra professionisti: aziende, agenzie, case di produzione e media e ogni contenuto e ogni progetto di BCE aumenta la definizione e perfeziona le luci e l’inquadratura”.

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Che serva una ‘bussola salda’ che faccia da guida per progetti che raggiungano gli obiettivi è ben consapevole Corrado Paolucci, chief content officer Bea (in foto): “‘People likes people’ o ‘human to human’ sono la sintesi di una regola non tanto da rispettare, ma da soddisfare, in un momento in cui le regole vengono continuamente riscritte. Serve quindi una bussola salda, una narrazione strategica solida che generi uno stile riconoscibile, dei contenuti proprietari (owned) che facciano da guida su tutto il resto, in particolare sulla conseguente e inevitabile liquefazione dei contenuti. Per usare una citazione: ‘la moda passa, lo stile resta’”.

Anche per Edgardo Di Meo, direttore marketing Italia e Grecia Spin Master, il primo step per il branded content doc è partire da un fil rouge narrativo ben definito e solido per poi declinarlo sui vari touch point nei formati più appropriati. Fondamentali, anche per lui, coerenza e intrattenimento. “La narrazione - spiega Di Meo - deve orchestrare tutti i mezzi, ognuno dei quali va rispettato nelle sue modalità di formato e declinazione del messaggio. “È importante che il messaggio oltre a essere coerente e credibile con il brand, intrattenga. È implicito nella definizione stessa di branded entertainment, ma non è così scontato. La marca deve lasciare spazio al contenuto, esserne a suo servizio, come una tela bianca a disposizione del racconto. Ciò che non funziona è quando il contenuto mette in primo piano il brand e non l’esperienza dell’audience”.

“La prima regola - aggiunge Costanza Barbara Tarola, responsabile brand, advertising and content management Enel Italia - è dunque l’ingaggio, attraverso l’intrattenimento: il brand deve inserire i contenuti che vuole veicolare nella maniera in cui il pubblico vuole sentirli. La seconda regola è restituire valore: costruire contenuti interessanti per le persone prima che per la marca. Infine, è importantissimo essere in linea con i contenitori, le piattaforme di destinazione senza alterarne i linguaggi per non rischiarare di perdere in credibilità, da parte del pubblico!”.

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Della stessa opinione Angelo Bonsignore, produttore Me Production (in foto) per il quale la forza del contenuto deve superare il perché un brand sia presente in quel programma o in quella campagna, e questo dipende dalla coerenza della categoria merceologica nella tipologia di format e dal linguaggio usato che deve essere assolutamente il più natura- le possibile e preferibilmente con finalità di servizio nei confronti del telespettatore. “La realtà nella vita è fatta di brand - aggiunge -, pertanto più la rappresentazione della realtà è naturale più il brand ha ragione di esistere in un determinato contesto”.

Il rispetto dei linguaggi per il corretto ed efficace trasferimento dei valori di brand è basilare anche per Graziano Nani, branded content lead Chora (in foto sotto): “Che si parli di documentari, di podcast o di altri formati e contenuti, è il brand che si deve adattare a questi linguaggi, e non il contrario. Le aziende hanno l’opportunità di raccontare i propri valori e la propria visione del mondo, ma verranno ascoltate solo se sono disposte a rispettare i codici del contesto comunicativo in cui si trovano”.

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Narrazione discreta e veritiera

Partire da un contesto narrativo e comunicativo in cui il brand si sente a casa (es. una famiglia, una partita di calcetto, una coppia, un viaggio...) è il primo passo. Ne

è convinto Alessio Garbin, data & digital marketing coordinator Barilla Italia: “Dal contesto narrativo si può creare una storia che abbia i valori e il tono di voce più adatti alla marca, ma che non la veda per niente protagonista... alla larga! L’unica regola è intrattenere o informare, appassionare le persone tramite la storia o tramite la bellezza estetica del contenuto. Se questo avviene e il brand è presente con discrezione... il gioco è fatto. Non si passa comunque inosservati, si sussurra un messaggio anziché urlarlo, il branded content in fondo è proprio questo, un messaggio detto a bassa voce”.

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Discrezione e regola del ‘no cheating’ (niente balle) sono da tenere sempre in considerazione anche per Emanuele Landi, chief development & commercial officer Ninetynine: “A un certo punto, nella foga di sembrare cool, si rischia di comunicare qualcosa di assolutamente non rilevante e non interessante oppure si vira verso un linguaggio eccessivamente pubblicitario pieno di compromessi e piatto. Quando fai branded content non bisogna dimenticare che stai facendo contenuto che ospita un brand, oppure rischi davvero di risultare forzato e innaturale tanto che l’effetto della comunicazione è opposto e ridicolo. Meglio allora un ottimo spot. Questo vale per ogni tipologia di mezzo o piattaforma. I marchi devono avere il coraggio di cedere un po’ di autoreferenzialità. Il branded content è uno strumento molto delicato e oggi ancora di più visto l’altissimo utilizzo di influencer sui social. Il tema della qualità e quindi dell’alto costo è superato: puoi fare operazioni con bassi budget ma non devi mai dimenticare la regola principale”. E parlando di influencer e talent con cui si costruisce il progetto di comunicazione, è necessario garantirne l’Autenticità. “Il talent - spiega Michele Arlotta, head of sales & brand solutions Realize Networks - si fa medium e portavoce delle istanze di comunicazione del brand e la differenza con un testimonial tradizionale è dovuta alla garanzia di know-how del singolo volto, che è realmente esperto e profilato in quella specifica area di competenza.

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Non di meno, è opportuno inserire il BC in un ecosistema valoriale sano e coerente, dove il contenuto stesso si inserisce con naturalezza in un flusso di comunicazione editoriale e organico, mantenendo lo stesso fil rouge di valori. Infine, è indispensabile utilizzare un tone of voice non commerciale, distante dalle call to action tipiche della comunicazione pubblicitaria tradizionale. Il pubblico e, in particolare, la fanbase del talent deve godersi il contenuto branded senza avere l’impressione di subire un contenuto promozionale”. Ecco allora che audacia, qualità e continuità possono contribuire a una campagna di branded content, perché la rendono unica e fidelizzano l’audience.

Come suggerisce Davide Schioppa, founder & ceo Podcastory: “L’utente è bombardato da contenuti, fare qualcosa come hanno già fatto gli altri potrebbe essere meno rischio- so, ma potrebbe essere anche molto meno interessante. Cercare di fare qualcosa per la prima volta è notiziabile e crea maggiore interesse presso il pubblico. Un altro suggerimento è legato alla continuità. Pubblicare pochi contenuti e poi smettere non ha alcun valore, né per l’utente né per il brand. L’ultimo suggerimento è quello di guardare meno ai numeri e più alla qualità. Il BC è uno strumento a ‘rilascio lento’ pensare di ottenere tantissimi numeri in un lasso di tempo molto breve non è sempre la strada migliore, lo scopo dovrebbe essere quello di convertire gli ‘utenti casuali’ in audience fidelizzata. Quest’operazione richiede, tempo, costanza e qualità”.

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