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NC n.100 | Branded Entertainment, da Virgilio al metaverso

Una forma di comunicazione che, nata da antiche radici, oggi sa soddisfare con grande efficacia i need dell’audience attraverso uno storytelling di intrattenimento coerente e in linea con gli obiettivi di brand. Senza cadere nella tentazione di inseguire i trend fini a se stessi. ma come sarà il futuro del be? Le parole chiave saranno: brand activism, long form e slow adv.

Il Branded Content & Entertainment ha genesi lontane. “Affonda le proprie radici nell’Eneide di Virgilio, una storia implicitamente brandizzata per l’imperatore Augusto dove l’eroe troiano Enea, ritratto come leale capostipite della Gens Iulia, nella sua discesa nel mondo dei morti riceve una profezia sulla futura grandezza dei suoi discendenti”.

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Patrizia Musso, fondatrice e direttrice di Brandforum.it (in foto) e docente universitaria specializzata in brand communication ed entertainment, ripercorre insieme a noi l’evoluzione del BE negli anni. “Venendo alla storia più recente, negli Stati Uniti, verso il 1930, P&G dà vita alla prima forma di soap opera radiofonica che apre la strada a un’innovativa intersezio- ne fra brand, media e contenuti. Oggi, lo ritroviamo come forma di comunicazione aziendale con originali narrazioni di marca, fra tv, digital, gaming, musica, podcast fino ad arrivare al metaverso”. Ma cosa ci dicono i dati oggi? Quali sono le ragioni di tale successo? Quali sono i pubblici intercettati e con quali mezzi? E quale il futuro? L’intervista per fare il punto sullo stato dell’arte.

 

Secondo i dati ufficiali, gli investimenti in Branded Content & Entertainment sono in crescita costante. Qual è il fattore chiave di tanto successo?

I dati sono da sempre un’ottima cartina di tornasole: un investimento che cresce in un particolare ambito si collega immediatamente a qualcosa che funziona e offre risultati. In effetti, anche il Monitor di Obe si sta nutrendo via via di numerosi casi di brand entertainment, anche italiani. Per quanto riguarda il motivo, penso che l’adv classico di fronte a un pubblico che potremmo definire ‘post-pandemico’ - quindi a volte in ansia, critico, sfiduciato, in cerca di contenuti di qualità e d’intrattenimento - abbia bisogno di rigenerarsi e che il Brand Entertainment sia una efficace risposta: si tratta di un approccio volto a intrattenere il pubblico in modo coerente tanto con i valori e gli obiettivi del brand quanto con gli elementi caratteristici della piattaforma attraverso cui viene distribuito. È un contenuto che, se ben ideato, va davvero a colmare le esigenze dell’audience.

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Quali sono le regole per costruire programmi e piattaforme di BE realmente efficaci? Quali i limiti da non superare?

Un primo elemento è segnalato nel naming stesso del BE, ovvero l’intrattenimento: è fondamentale costruire un contenuto che possa non tanto colpire un target, ma effettivamente coinvolgere una audience di riferimento, ragion per cui lo studio attento di questo pubblico è un requisito necessario di partenza. Come limite vedo una grande tentazione: seguire i trend di per sé senza fare un lavoro di auto-fine-tuning rispetto ai propri valori e al proprio dna.

I trend sono interessanti ma rischiosi se non si allineano con i reali valori del brand, soprattutto nell’approccio del BE dove la coerenza è fondamentale. I casi di successo, quelli più visti, condivisi e che hanno prodotto dei risultati, ad esempio in termini di awareness e posizionamento, sono quelli che non cadono nel tranello del trend fine a se stesso!

 

Lo storytelling alla base del BE agevola una narrazione di marca transmediale. Può spiegarci le differenze di approccio dei vari mezzi?

Creare uno storytelling che sia coerente con i valori del brand, divulgabile su piattaforme diverse on e offline in modo che si possa sempre ritrovare il medesimo file rouge narrativo di fondo ma che al contempo sia in grado di parlare all’audience di riferimento del canale è sicuramente mol- to challenging. La soluzione efficace parte sempre da un attento studio del o dei pubblici - non userei più la parola target -: i giovani prediligono il mondo digitale e social e tutte le soluzioni on demand, mentre il pubblico adulto rimane ancorato a logiche comunicative più tradizionali, sebbene siano in crescita anche presso gli over 40/50enni dei comportamenti di con- sumo in ottica digitale.

Credo che il recente evento di Sanremo e dei relativi branded content generati in ottica transmediale abbia dato ampia dimostrazione di questa necessaria capacità di gestione di diver- si canali, audience e contenuti. Si tratta quindi di effettuare un puntuale lavoro di communication mix con una focalizzazione però stretta sul tema ‘audience da intrattenere’ e qui torna il concetto già espresso di non pensare più al target da colpire secondo un approccio commerciale.

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Rimanendo sui diversi target, secondo studi fatti, gli utenti più giovani sono quelli che apprezzano di più i branded content. Ci spiega perché?

I giovani sono i più distanti dalla cultura pubblicitaria tradizionale: guardano poca tv e sono critici nei confronti dei ‘vecchi format pubblicitari’ anche solo per il fatto che sono quelli che guardano i loro genitori. Inoltre, in un’epoca come quella attuale caratterizzata da spazi spesso lasciati vuoti dalla politica, in senso ampio, sono molto attenti ai brand ‘attivisti’ capaci di prendere posizioni reali e operare, di conseguenza, con un forte allineamento al purpose. I consumatori più giovani oggi sono più abili - forse potremmo anche dire più obbiettivi? - nel soppesare le vere attività di csr o sostenibilità, scartando o premiando i brand, senza pensarci troppo su. Qui il BE può palesarsi ulteriormente come efficace strategia narrativa per far raccontare ai brand - con vari format e formati, anche slow, in stile cortometraggi - ragioni, sfide e azioni concrete realizzate in questi ambiti. I giovani sono in ascolto e alla ricerca costante di risposte, anche da parte dei brand.

 

Il BE si integra perfettamente nelle strategie di comunicazione audio based come i podcast. Ci spiega quali caratteristi che lo rendono ideale per i mezzi basati sull’audio?

Partiamo da un presupposto certo: l’audio è per dna votato allo storytelling e questo fattore rende i podcast particolarmente efficaci nel creare una forte connessione emotiva con i consumatori. I podcast hanno avuto, non a caso, una crescita significativa in questi anni post pandemia.

Non dimentichiamo che l’audio è altresì il linguaggio ‘mobile’ per eccellenza, l’unico fruibile ovunque senza richiedere attenzione visiva esclusiva, perfetto quindi per i giovani, ma non solo. Dai dati disponibili si vede che sono comunque soprattutto i giovani, con spiccato interesse per il mondo digitale, ad ascoltare contenuti audio e per periodi di tempo sempre più lunghi. Inoltre, come lo stesso Podcast Committe (creato da OBE nel gennaio 2021, ndr) ha ben evidenziato, il BE veicolato tramite podcast può giovarsi di uno spazio comunicativo non affollato del customer journey.

Infine, come evidenziato nella recente ricerca ‘Il mondo Podcast’ di BVA-Doxa, ben l’80% degli intervistati afferma di ricordare i contenuti pubblicitari presenti nel podcast, mentre l’81% è disposto ad ascoltare un branded podcast se interessato al contenuto trattato. Questo mix di elementi rende sicuramente il BE veicolato tramite strategie audio based una soluzione vincente.

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Anche i Branded Video Content sono tra i mezzi ritenuti più gettonati ed efficaci. Ci spiega il motivo? Grazie ai social, la fruizione di contenuti video è in continua crescita e anche qui i dati a supporto non mancano. L’intrattenimento da sempre si sviluppa, si nutre e si rigenera tramite immagini, anche per trasmettere al meglio le emozioni. I brand video content sono quindi utili per ingaggiare il pubblico, sia nella forma dell’intrattenimento puro sia in quelle più votate a obiettivi di stampo edutainment quando accompagnate anche da testi più o meno articolati.

Anche giochi come Fortnite e Animal Crossing stanno diventando le piattaforme d’elezione dove sperimentare nuove strategie di branded entertainment. Quali prospettive per il branded content nel gaming?

Il gaming è un’area particolarmente attrattiva per l’audience giovane. Se ai giochi si affiancano contenuti di interesse - e non stiamo parlando di semplice product placement, ma di veri e propri progetti narrativi che si sviluppano attraverso piattaforme ludiche - otteniamo un mix altamente ingaggiante e funzionale.

 

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Infine, quali trend e sviluppi prevede per il settore?

Sono diversi i temi chiave che potranno avere impatti significativi sulle future strategie di branding. Tra questi vorrei segnarne un paio, anche a partire da concrete case history italiane di BE veicolate in questo ultimo anno. Un primo trend riguarda la progressiva evoluzione del linguaggio pubblicitario e la crescita di formule in stile long form e slow adv che stanno portando alla costruzione di progetti che diluiscono e rendono meno netti i confini fra adv e BE. Aumentano, così, i contenuti pubblicitari che, sfruttando tempi più lunghi, possono sia arricchire le logiche di storytelling già insite nel linguaggio adv, sia vivere nei break con dei cut.

Emerge, inoltre, l’utilizzo innovativo degli spazi pubblicitari, una sorta di back to Carosello. Emblematico, al proposito, lo short film ‘Ugo’ di Mutti, andato in onda nel marzo 2022 prima della semifinale di Coppa Italia: un evento unico, in termini di media planning, per la sua durata di 5’ in prime time. Un secondo trend riguarda il già citato brand activism e la necessità per i brand di raccontarsi e raccontare al meglio le proprie attività e azioni sostenibili, attraverso contenuti coerenti e votati ai valori. Il BE diventa allora un’efficace strategia narrativa per illustrate ad audience diverse sfide e azioni concrete realizzate in questi ambiti, come mostra il progetto Adamo promosso dal brand Plasmon che sta cercando di portare all’attenzione del contesto sociale e politico il gravoso tema della decrescita demografica in Italia. Dal suo canto, il brand adotta politiche aziendali concrete come il supportare la vita familiare in azienda o estendendo il congedo parentale al secondo genitore, fino a generare la nascita di un movimento sociale con la richiesta di firme raccolte sul corporate website.

SERENA ROBERTI

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