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NC n.106 | Creator e brand, un matrimonio felice? | Inchiesta Social Media Power
Facciamo chiarezza: ‘influencer’ sono coloro che possono influenzare l’opinione pubblica anche senza avere un talento preciso. Come spiega una delle nostre intervistate, ne sono un esempio i personaggi usciti dai reality che, per popolarità, si ritrovano con un enorme numero di follower e che spesso sembrano fungere da ‘vetrina’ o ‘e-commerce’. I ‘creator’, invece, sono professionisti del digital, che hanno competenze specifiche e creano contenuti mirati con una creatività, uno storytelling, un obiettivo.
Sono i creator a essere, oggi, l’investimento più interessante ed efficace per i brand. A patto che sappiano sceglierli con accuratezza e instaurare una collaborazione di valore. Anche perché il pubblico dei social è da sempre abituato a fruire di contenuti gratis e tende a non accettare la pubblicità, la cui presenza è invece tollerata negli altri media come mezzo di finanziamento. Riconoscere quella dei creator come attività professionale a tutti gli effetti permette di mettere in atto delle collaborazioni trasparenti e finalizzate, senza zone d’ombra.
Ecco perché le nuove linee guida di AgCom paragonano i creator ai media tradizionali, riconoscendo loro la responsabilità editoriale dei contenuti. Ne abbiamo parlato con quattro creator di diversi settori, chiedendo loro qual è lo stato dell’arte del mondo dell’influencer marketing e quali possono essere i consigli più utili per le aziende per attivare collaborazioni virtuose.
Sarah Balivo: architetto, interior & set designer (@sarahbalivo)
Dispensatrice di consigli d’arredo, narratrice di luoghi contemporanei, esploratrice del ‘bello’ tra arte e design. Laureata in Architettura, specializzata alla Scuola Politecnica di Milano in Temporary space and exhibition design, Sarah Balivo lavora come set e interior designer vantando collaborazioni con i più grandi nomi del mondo fashion e luxury. Molto attiva sui suoi canali social, è a tutti gli effetti un’opinion leader che divulga i suoi contenuti con un tone of voice empatico e di facile comprensione. “Il mio approccio al mondo dei creator è nato in modo spontaneo durante il primo lockdown, quando ho iniziato a dare consigli di arredamento su Instagram. In una settimana ho capovolto il corso della mia carriera lavorativa, che fino ad allora era stata principalmente offline”.
Sarah parla del momento storico attuale come di una sorta di ‘anno zero’, dove i creator con contenuti di alta qualità hanno avuto la possibilità di emergere grazie alle proprie competenze. “I recenti eventi mediatici non hanno solo coinvolto i protagonisti diretti, ma anche altri profili che magari non offrivano contenuti sostanziali, perché le aziende hanno iniziato a guardare più alla credibilità che ai numeri”.
Ed ecco quindi che oggi i brand si basano sempre meno sul numero dei follower o sulla mera popolarità per individuare creator che condividano il loro mondo valoriale. Che siano ‘trustable’, si direbbe nel gergo della comunicazione. “È evidente che ci sia la necessità di educare gli utenti: i follower sono stati abituati a ricevere con- tenuti, sia di valore che non, senza pagare nulla e quindi tendono a reagire negativamente alle pubblicità. Tuttavia, quando guardano un film in tv, accettano la pre- senza di pubblicità come parte del meccanismo per finanziare il contenuto. Perché, allora, sui social questo concetto sembra essere meno valido? La consapevolezza è fondamentale: i follower devono essere informati quando un creator è pagato per promuovere un prodotto o servizio. È cruciale che comprendano che il lavoro dei creator è un’attività professionale che richiede tempo, impegno e creatività, e che è giusto che venga remunerata in modo appropriato”.
La posizione di Sarah sull’accostamento della figura del creator ai media tradizionali è, perciò, piuttosto netta. “Sono d’accordo con le nuove linee guida e ritengo sia fondamentale assumersi una responsabilità editoriale. Sono sorpresa dal clamore: io, come molti altri, ho sempre dichiarato quando un contenuto è sponsorizzato. Non solo credo che sia un comportamento onesto, ma è anche motivo di orgoglio che un brand abbia scelto di investire su di te per veicolare il suo messaggio”. Instaurare con i brand un dialogo di collaborazione a quattro mani è il modo più efficace per creare contenuti di qualità.
“Nella maggior parte dei casi le aziende mi hanno dato una libertà creativa quasi totale, previa approvazione finale. L’errore da evitare è quello di limitarsi alla cerchia di relazioni già esistenti, più facili da instaurare. Troppo spesso i brand preferiscono optare per il ‘già sperimentato’, trascurando l’opportunità di scoprire nuovi talenti. Sarebbe opportuno destinare una parte del budget anche alla sperimentazione con nuovi profili. Inoltre, evitare le collaborazioni one shot è fondamentale. Un approccio più strategico, basato su progetti semestrali o annuali, è sempre preferibile, poiché consente di accompagnare i follower lungo un percorso che porta verso il brand. I creator non sono semplici cartelloni pubblicitari. Con la nostra empatia e autenticità, siamo gli intermediari che trasmettono il messaggio in modo più coinvolgente e convincente”.
Martina Socrate, content creator, au- trice e conduttrice (@martina_socrate)
Classe 1998, Martina è una creator e TikToker che in pochi anni ha conquistato milioni di follower. Empatica, allegra e soprattutto ‘chiacchierona’, inizia il percorso sui social pubblicando sketch in cui interpreta personaggi che hanno fatto parte della sua infanzia lasciando l’au- dio originale, ma reinterpretandoli a suo modo grazie a buffe espressioni del volto. Nel 2022 inizia a creare nuovi format e a condividere con la propria community i suoi viaggi in cui va alla scoperta di luoghi particolari e chiacchiera con le persone del posto.
Quest’anno ha affrontato una nuova sfida professionale: è stata la presentatrice del programma Skillz in onda su RaiPlay. E conduttrice degli NC Digital Awards 2023. “Il ruolo del creator sta acquisendo sempre più serietà professionale e questo ci porta a essere paragonati ai media tradizionali. Io sono abbastanza d’accordo con tale accostamento, perché, a oggi, poiché la maggior parte dei brand sceglie di investire su di noi, abbiamo una grande responsabilità a cui far fronte, sia nei confronti del brand stesso che nei confronti della nostra community”.
Trovare il giusto compromesso tra le richieste delle aziende e i gusti del pubblico sembra essere la chiave del perfetto equilibrio. “La bravura di un creator, quando si collabora con i brand, sta anche in questo e noto con piacere che sempre più spesso i brand sposano la nostra creatività affidandosi al nostro tone of voice nativo. E questo, per me, è un fattore vincente”. Per una collaborazione efficace, è fonda- mentale le aziende forniscano linee guida chiare durante il briefing, ma è altrettanto essenziale che abbiano fiducia nel creator scelto e rispettino il suo stile comunicativo. “Dopotutto, se lo hanno selezionato, è perché apprezzano e rispettano il suo modo di comunicare. Quando c’è un rapporto di fiducia solido, il lavoro procede più rapidamente e con più efficacia, rivelandosi una scelta vincente per entrambe le parti”. Quali sono i criteri per individuare i creator giusti per il proprio brand? “Se fossi un’azienda, presterei attenzione alla coerenza del creator e alla qualità che mostra nei suoi contenuti. Qualità a 360°: gli argomenti scelti, le riprese pulite, il montaggio, il suono, insomma, in tutti i più piccoli dettagli. Presterei poi molta attenzione alla sua comunicazione e al suo pubblico, se è gentile o polemico, se ha molti haters o molti follower affezionati”.
Thomas Taddeo, blogger e wine ambassador (@hipster_wine)
Thomas Taddeo è un esperto di vino, con un percorso particolare, iniziato quasi per caso nel 2015, quando si è approcciato alla nicchia del ‘wine’ e ha deciso di comunicarla sui social. “Negli anni ho capito che gli strumenti divulgativi erano molto potenti e che poteva diventare un lavoro: ecco perché mi sono preparato seguendo corsi di comunicazione digitale. Tra l’altro, nell’agosto del 2022 quella del content creator è diventata una professione ufficialmente riconosciuta dalla legge in Italia, quindi ben prima del cosiddetto ‘Pandoro gate’. Grazie a un emendamento dell’articolo 28 del DDL Concorrenza, i creatori di contenuti digitali e il loro lavoro sono finalmente tutelati e regolamentati. Ed è proprio il caso di dire ‘finalmente’, dato che la figura del content creator esiste almeno da un paio di lustri”.
Sul tema della responsabilità editoriale, Thomas ribadisce la sua indipendenza. “Io sono il responsabile di quello che pubblico, perché il canale dove lo faccio è il mio. Detto questo, non sono un giornalista e non ho un codice deontologico da seguire, quindi sono libero di accettare o meno di creare dei contenuti commissionati da un cliente in base al target del mio canale. Oggi, i brand chiedono numeri e vendite, soprattutto quelli meno esperti che pensano che Instagram sia un e-commerce. In realtà, ovviamente non è così ma spesso spiegare loro queste dinamiche diventa un compito più lungo e dispendioso del lavoro stesso. Alcuni, ancora, pensano che il nostro non sia un vero e proprio lavoro e ci propongono collaborazioni in cambio merce o a budget irrisori. L’errore lo fanno quei creator che accettano tali condizioni svilendo il lavoro che i seri professionisti svolgono quotidianamente investendo in tempo, cultura e strumenti professionali per realizzare i contenuti”.
Qual è, dunque, il ruolo del creator? “Lavoriamo per incrementare la visibilità e la forza del brand, non per vendere prodotti tramite codici sconto, tattica tra l’altro ormai obsoleta. Io apprezzo chi mi chiede contenuti divulgativi ed educativi che mi ricordano ogni volta il motivo per cui ho deciso di approcciare a questo lavoro: fare cultura e informazione sul mondo del vino. Il mio suggerimento per le aziende è quello di puntare a strategie solide fin dall’inizio, confrontandosi il più possibile con il creator, piuttosto che scandagliare canali e algoritmi delle piattaforme digitali”.