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NC Speciale ’20 e Altri 20’. M&C SAATCHI, ‘sporchiamoci le mani’

Essere semplici, in italia, non è facile. Lo sa bene M&C SAATCHI che dello ‘sporcarsi le mani’ ne fa un vero e proprio credo per realizzare progetti che non siano apprezzati solo dagli addetti ai lavori, ma anche dal grande pubblico. In uno scenario in cui la comunicazione dei fatti si fa sempre più real time e, in parallelo, cresce il bisogno di fuga dalla realtà. Il futuro? Nel metaverso e nei podcast di valore.

Nata nel 2010, in un momento storico post crisi decisamente sfidante, M&C Saatchi ha da sempre nel dna la volontà di mescolare le carte in tavola. Nativa digitale quando ancora il digital non era sulla cresta dell’onda, ha scelto fin da subito di differenziarsi nel mercato per il focus sulla reality advertising come evoluzione del concetto di evento, quasi a voler ricreare degli spot dal vivo, con una sceneggiatura che va in onda ‘live’ tra il pubblico.

Sorprendere il target è sempre stata la cifra stilistica dell’agenzia che, in 12 anni, ha ampliato il proprio business a tutto tondo, passando dagli iniziali cinque soci fondatori a un team di 100 persone. Con un turnover di oltre 400 risorse che, con grande soddisfazione dei soci fondatori, hanno fatto strada nel settore.

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Nel futuro, un servizio al cliente sempre più consulenziale e la volontà di continuare a produrre contenuti di valore engaging e memorabili. Ne parliamo con Luca Scotto di Carlo, creative partner & co-founder M&C Saatchi (in foto).

Iniziamo da voi. Quali sono i vostri punti di forza rispetto ai competitor? Noi da sempre crediamo nello ‘sporcarsi le mani’: come soci siamo sempre stati in prima linea,‘hands on’, come si suol dire. Ci sentiamo un po’ come quegli studi legali americani d’assalto, siamo sia orizzontali che verticali. Ci piace avere un rapporto diretto con il cliente, siamo una struttura dove i vertici si prendono responsabilità dirette. Qualcuno di noi c’è sempre, anche nei progetti più piccoli. Credo che questa cura faccia davvero la differenza. E poi, ci piace realiz- zare progetti che non siano apprezzati solo dagli addetti ai lavori, ma da tutto il pubblico: è un focus che non perdiamo mai di vista.

Il mondo della comunicazione negli ultimi 20 anni si è evoluto in maniera sorprendente. Può dirci quali sono stati i momenti chiave del cambiamento? La comunicazione è sempre strettamente collegata a ciò che accade e, a mio parere, in questo ventennio possiamo individuare due eventi ‘estremi’ che hanno cambiato il mondo. Il primo è stato il tragico 11 settembre 2001 con il crollo delle Torri Gemelle e il secondo è quella che io chiamo ‘la pandeguerra’, ovvero il periodo storico che va dallo scoppio della pandemia a oggi. Poiché la comunicazione si rivolge alle persone, parla anche ai loro stati d’animo e non può non riflettere lo scenario e il sentiment globale. Prima dell’11 settembre la comunicazione era più irriverente e surreale - pensiamo a uno humor inglese alla Monty Python - ma poi, l’11 settembre con le sue paure, le nuove norme, i controlli all’aeroporto, le azioni antiterrorismo, ha innescato un percorso verso un progressivo realismo anche nella comunicazione, perché quando ci si pone in posizioni di ‘difesa’ si è meno disposti a concedersi dei ‘salti laterali’. Si è fatto strada un racconto della realtà quasi ‘real time’ che è coinciso con lo sviluppo del digitale. Negli anni, poi, il sovraffollamento di informazioni online ha portato a ripensare i paradigmi della comunicazione: ciò che dico sempre è che oggi noi del settore non ci confrontiamo solo con altri spot, ma con tutti i video che circolano sul web.

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Un cambiamento epocale. Quindi, da una parte, abbiamo assistito a un racconto della realtà che diventa dominante mentre, dall’altra, si è notato come negli ultimi anni a essere premiate siano le serie tv fantasy per soddisfare il bisogno di evasione e fuga dalla realtà. Non a caso, è il momento dello sviluppo del metaverso, un mondo parallelo che ci dà la possibilità di fuggire dalla quotidianità.

Cosa ha comportato l’avvento della pandemia nel vostro busi- ness model e nel rapporto con il cliente? Al di là dei primi due mesi di pandemia in cui eravamo tutti blindati, da metà maggio siamo subito rientrati a lavorare in presenza nel nostro grande open space. Spesso erano i clienti a venire da noi, perché le loro aziende erano chiuse. Abbiamo costruito per loro un ta- volo gigante di confronto che rispettasse il distanziamento e ci siamo messi all’opera per trovare insieme nuove soluzioni creative. La pandemia ha sicuramente reso il nostro rapporto agenzia-cliente molto più consulenziale.

Qual è il ruolo della creatività oggi?

Credo che il ruolo della creatività, oggi, sia quello di studiare i linguaggi senza scimmiottarli e senza adattarsi a forzature dettate dai trend. Se c’è il boom di Tik Tok ma un brand non è adatto, non bisogna per forza scegliere di ricorrere a quel mezzo. Da copywriter, poi, osservo i cicli della parola e mi rendo conto che i linguaggi sono in continua evoluzione. Un esempio: negli anni ’90/2000 regnavano le immagini, il testo era passato in secondo piano. Ora la parola sta riprendendo potere, il testo ha una grandissima importanza. Questo per dirvi che se si vuole essere creativi ci si deve sempre aggiornare: andate a vedere film, mostre, eventi, informatevi, registrate i cambiamenti di scenario e cogliete le opportunità!

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Può farci un esempio di vostro progetto di successo del passato e uno più recente? Tornando al passato, cito uno dei progetti a cui sono più affezionato perché era proprio il primo. Era gennaio del 2013 e Fastweb ci aveva chiesto di ideare una campagna per Milano, città dove la fibra si stava diffondendo a macchia d’olio. Avevamo quindi pensato al claim “Ma la tua linea è così veloce?” trovando un parallelo con la metropolitana. Ci siamo inventati di ricostruire nella fermata di Moscova la stazione di Tokyo-Shibuya e abbiamo ricreato la fermata giapponese con affissioni finte, annunci audio in giapponese, comparse vestite da uomini d’affari, kimono girls e così via. È stato il nostro primo evento di reality advertising in assoluto. Il successo mediatico è stato pazzesco, abbiamo vinto due Leoni a Cannes. Una delle ultime campagne, invece, è stata quella firmata per Mini a Roma. Poiché il Gruppo Bmw è partner della Formula E World Championship e poiché la Safety Car ufficiale è una Mini elettrica potenziata, l’abbiamo presa a prestito per una notte per creare la sfida più futuristica di sempre: una gara di velocità testa a testa tra la Mini e... la metropolitana! Uno spettacolo memorabile.

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Pensiamo ai prossimi 20 anni. Quali cambiamenti vede nel futuro del settore e della comunicazione in generale? Credo che ci sarà una correlazione sempre più stretta con l’evoluzione dei media. Mi spiego: pensate ai video in verticale, sono i social che ci hanno insegnato a farli e non l’avremmo mai detto. La fruizione dei mezzi cambia di continuo e il futuro prossimo sarà caratterizzato dallo sviluppo del metaverso. Quello che c’è da capire è se resterà più o meno confinato nell’ambito del gaming o se diventerà un ‘mondo parallelo’, perché all’inizio c’è sempre la classica fase di ‘effetto wow’, ma poi bisognerà vedere come si inserirà quotidianamente nella vita delle persone. Sono molto curioso di capire come evolverà.

E poi prevedo una crescita esponenziale dei podcast, perché i contenuti sono e diventeranno sempre più centrali. È proprio nel momento di massimo sviluppo della tecnologia che abbiamo bisogno, più che mai, di storie e di sentirci ancorati a dei content di valore.

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