Editoriale
Cannes 2011: l’onore è salvo ma si deve uscire dalla mediocrità
Le premesse per una debacle da fine anni ’90 c’erano tutte. Con 4 leoni salviamo la faccia e diciamo al mondo che l’Italia della comunicazione non è sparita dalla carta geografica della creatività. Senza abbandonarci in sterili piagnistei è evidente a tutti quanto sia necessario che il comparto reagisca, e quanto sia indispensabile che il dialogo tra creativi, agenzie e clienti diventi più serrato, e contribuisca a creare una coscienza comune sul valore economico della creatività.

Ed è lontano anche il ricordo del 2009 quando i leoni furono ben nove tra Media, Outdoor, Press, Cyber e Film: in totale due d’oro (uno per Baci Perugina e l’altro per Flora by Gucci), uno d’argento e sei di bronzo (e anche nel 2009 un altro leone d’argento per Citroen C3 indossava la casacca bianco blu e rossa). Metalli pesanti, che oggi sembrano un lontano miraggio.
Col risultato di quest’anno torniamo a galleggiare in quella mediocrità che, come si evince dalla tabella allegata, ha più o meno caratterizzato l’ultimo decennio. In questo senso il 2011 non fa eccezione se non per il fatto che è il terzo anno consecutivo di crisi, di sofferenza. Gli investimenti arretrano e il mercato ha i nervi scoperti: si pensi al tema della remunerazione, delle gare e, più in generale, alla difficoltà di fare percepire non solo il valore ma lo scopo stesso della creatività. Insomma, il risultato di Cannes rispecchia la realtà che stiamo vivendo e, in questo senso, non credo che potessimo attenderci di più.
Che due dei quattro leoni siano poi arrivati da due agenzie indipendenti, la Auge di Giorgio Natale e Federica Ariagno e la giovanissima Cric di Davide Mardegan e Clemente De Muro mette in evidenza un fatto positivo: dal basso si stanno liberando energie importanti che, mi auguro, possano avere la possibilità di esprimersi ancora meglio in futuro. A questo proposito mi preme sottolineare come in 24 anni di frequentazione ininterrotta del Festival di Cannes mai come quest’anno ho visto così pochi italiani, e mai così pochi giovani. La partecipazione al Festival ha ormai superato le 9.000 persone. L’atmosfera che si è percepita quest’anno è stata di grandissimo fermento. Un’energia scatenata dai numerosissimi brasiliani intervenuti (quest’anno tanti come non mai grazie anche allo straordinario boom economico che stanno vivendo), dall’est Europa che comincia a raccogliere importantissimi successi (ben due Grand Prix alla Romania nel Direct e Promo Activation), e dal Far East. La sensazione è che se non ci diamo una mossa, rischiamo davvero di estinguerci, creativamente parlando s’intende.
Senza abbandonarci in sterili piagnistei è evidente a tutti quanto sia necessario che il comparto reagisca, e quanto sia indispensabile che il dialogo tra creativi, agenzie e clienti diventi più serrato, e contribuisca a creare una coscienza comune sul valore economico della creatività. Vincere a Cannes significa, infatti, anche difendere i talenti creativi locali che, altrimenti, si vedrebbero sempre più confinati nel ruolo di semplici ‘traduttori’ di campagne ideate altrove. Vincere a Cannes significa, soprattutto, affermare la forza di un paese come sistema capace anche di attrarre interesse e investimenti da parte di quelle aziende che credono nella creatività come il mezzo migliore per raggiungere in maniera efficace i propri consumatori.
Se sabato sera a salire sul palco del Palais des Festival a ritirare il premio assegnato alla migliore holding Company (premio assegnato sulla base della creatività, ossia dai leoni vinti da ciascuna sigla appartenente o controllata dalla holding) è stato Sir Martin Sorrell ci sarà stato pure un motivo, no? Come forse avrebbero imposto l’occasione e il contesto a salire non è stato il pur blasonatissimo John O'Keeffe, ex direttore creativo esecutivo della BBH, e dal luglio del 2008 insignito del titolo di Worldwide Creative Director of WPP. Il premio l’ha voluto ritirare di persona. Dovevate vederlo Sorrell, emozionato come mai. E siccome Sorrell ha il portafoglio molto vicino al cuore significa una cosa sola. La creatività attrae clienti e, quindi, soldi. Semplice, no?
Salvatore Sagone