Editoriale

Cappuccino & Cornetto. About storytelling

Nella sua rubrica Marco Ferri riflette sul concetto di storytelling. "Eccoci, finalmente all’ "era dello storytelling”, che oggi, ahinoi!, ci viene indicato come la tecnicalità del successo della comunicazione commerciale contemporanea. Storytelling, parola inglese facile da pronunciare, soprattutto a sproposito, è la moda del momento, fino alla prossima sciagurata tappa di questo giro a vuoto intorno all’annoso problema: come la ricerca della pietra filosofale, tutti cercano “quello che funziona” e giurano, per il momento, di averlo scoperto niente meno che, appunto, nello storytelling". 
 Ci vorrebbe un storytelling per ogni volta che lo storytelling viene citato a sproposito.

“… noi inventori di racconti, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non sia troppo tardi per iniziare a creare l’utopia contraria. Una nuova e impetuosa utopia della vita, in cui nessuno possa decidere per gli altri perfino sul modo di morire, dove sia davvero reale l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cent’anni di solitudine abbiano, finalmente e per sempre, una seconda opportunità sulla Terra.”

Era il 1982, quando Gabriel García Márquez pronunciò queste parole davanti ai reali di Svezia e ai membri dell’Accademia svedese delle Scienze di Stoccolma che gli stavano conferendo il Premio Nobel per la Letteratura. Un discorso narrativo, diremmo oggi, parlando di storytelling. Ma, più precisamente, un pensiero narrativo.

Ecco, questo è il punto. Lo storytelling non è una delle mode passeggere, con cui il nostro mondo professionale ogni tanto si trastulla, facendo della bassa (ma bassa-bassa) sociologia. Me ne ricordo delle belle: quando certe goffe porcheriole venivano ammantate dalla definizione “commedia all’italiana”, facendo accapponare la pelle ai maestri del nostro grande cinema, uomini come Comencini, Monicelli, Risi, tanto per citarne alcuni.

Oppure, più recentemente, fu inventata la bislacca tendenza a fare “campagne ironiche”, come se l’ironia non fosse un approccio alla realtà, ma un genere pubblicitario, che ironico, appunto era per niente. E poi, dopo il periodo in cui bisognava “parlare alla pancia”, ecco arrivare ai fasti dell’ "approccio olistico”, toccasana della modernità, scoperta copernicana dei nuovi media, come si sono chiamati per un po’ (troppo) tempo i social network.

Ma eccoci, finalmente all’ "era dello storytelling”, che oggi, ahinoi!, ci viene indicato come la tecnicalità del successo della comunicazione commerciale contemporanea. Storytelling, parola inglese facile da pronunciare, soprattutto a sproposito, è la moda del momento, fino alla prossima sciagurata tappa di questo giro a vuoto intorno all’annoso problema: come la ricerca della pietra filosofale, tutti cercano “quello che funziona” e giurano, per il momento, di averlo scoperto niente meno che, appunto, nello storytelling.

Ma storytelling, che ci giunge dalle scienze sociali, vuol dire capacità di svolgere un ragionamento col pubblico, fargli arrivare contenuti comprensibili e condivisibili; significa provocare riflessione e immedesimazione; significa costruire emozioni, per facilitare la scoperta dell’autenticità delle cose che diciamo in una campagna, in un annuncio, in un tweet, in una headline.

Questione di tecnica? Maddài. Ci vogliono idee che sappiano dare vita a un pensiero narrativo, per farlo crescere e sviluppare in ogni ambito, attraverso ogni strumento e veicolo della comunicazione.

Le idea-forza capaci di suscitare una narrazione sorprendente e memorabile, non possono essere fine a se stesse, ma concepite come un tramite che favorisca la comprensione, anche critica, dei contenuti che un prodotto, un servizio, un brand voglia e necessiti raccontare ai propri clienti e ai dipendenti. Idee che proprio per questo sappiano fare surf in ogni canale di comunicazione, anche quelli che per il momento non verranno pianificati.

Gabo aveva un’idea precisa del mondo, dei suoi problemi, delle sue soluzioni. Ce li ha raccontati con “realismo magico”, come egli stesso ha definito il suo meraviglioso modo di pensare e di scrivere. È quello che
dovremmo fare noi: essere concreti e visionari, pazienti e coraggiosi, riflessivi e creativi. Difficile? Ma no, è facile, basta avere ogni volta una buona idea da raccontare. Beh, buona giornata.