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Editoriale

Cappuccino & cornetto. Come va come va, tutto ok tutto ok?

Nella sua rubrica quotidiana, Marco Ferri riflette sui risultati di una ricerca dell'Università di Cambridge secondo cui gli italiani sono i meno felici tra gli europei. "La domanda è: ma perché gli italiani non dovrebbero essere tristi? Ci siamo assuefatti, assuefatti persi. Siamo passivi, rassegnati, atarassici, e catatonici da tubo catodico".

Siamo tristi. Passiamo tante ore davanti alla tv, un pochino in Internet, leggiamo poco i giornali, per niente i libri. Raramente al cinema, qualche volta a teatro. La musica classica l'ascoltano gli stranieri, quella anglofona noi alla radio, che tanto manco capiamo le parole. L'opera lirica ha lasciato il posto alle "grandi opere", tanto decantate, mai finanziate, quindi mai ultimate, se non neppure incominciate.

Siamo tristi, perché siamo il Paese del sorriso finto, quello che viene bene davanti all'obiettivo della telecamera, l'unico obiettivo che ci prefiggiamo nella vita: come se fossimo tutti a villa Certosa, tendendoci per mano, e seduti sulle ginocchia del potente di turno, che la moglie oggi non c'è, ma il paparazzo sì. Sappiamo fare le cose sbagliate, con le persone sbagliate, nel momento sbagliato: Tangentopoli, Calciopoli, Vallettopoli.

Il sole e la buona cucina non servono più a renderci felici: addio pizza e mandolino, addio pane amore e fantasia, il luogo comune è stato smontato da una ricerca dell'Università di Cambridge per la quale gli italiani sono i meno felici tra gli abitanti dei 15 paesi che componevano l'Ue prima dell'allargamento del 2004. E le cose non vanno meglio negli altri paesi caldi: in fondo alla classifica, con noi, ci sono greci e portoghesi.

I più felici, infischiandosene del clima rigido e dei cieli sempre nuvolosi, sono i danesi, mentre nel gruppo di testa ci sono finlandesi e irlandesi. I ricercatori di Cambridge, guidati da Luisa Corrado (un cervello in fuga dal Paese triste!?), hanno analizzato i risultati dell'European Social Survey - lo avevano già fatto due anni fa - e hanno tenuto conto delle risposte della gente in categorie che ritengono indicative: affidabilità degli amici, qualità dei vicini di casa, solidità del posto di lavoro, fiducia nelle istituzioni (governo e polizia, soprattutto). Risultato, i danesi hanno un coefficiente di felicità di 8.3 su 10, contro il misero 6.28 degli italiani.

Siamo tristi, sfigati, incazzatelli, perdenti. Non c'è entusiasmo né voglia di cambiare, quella ogni tanto giusto col telecomando, ma per poco, che poi si ritorna al vecchio brodino di sempre: Porta a Porta, Matrix, Affari tuoi, Striscia la Notizia. E poi via da capo, altro giro di canali, altra corsa.

La nostra stampa è ingessata, la nostra politica è noiosa e infingarda, la nostra pubblicità non riesce neanche più ad agire sullo stimolo del vomito.

La critica del costume, che tanto aveva fatto crescere il Paese si è ridotta alla critica dei costumino da bagno, critichiamo gli smutandati, ma gli invidiamo gli addominali, le tette, le chiappe e la sfacciataggine con cui hanno fatto soldi che sperperano senza ritegno: dopo aver rinunciato a ragionare con la testa, sta andando fuori moda anche il ragionamento della pancia. Cellulite, colesterolo, rughe, lifting, ritocchini, voyeurismo: ecco i pilastri della nostra nuova cultura di massa.

Siamo trasgressivi con le trasgressioni degli altri, siamo bacchettoni che le bacchettate dei soliti bugiardi e ipocriti: chiedono la partecipazione dei cittadini alla politica e nominano parenti e amici, mentre fanno e disfano partiti, alleanza, programmi; chiedono leggi contro il precariato e pagano in nero i loro portaborse; chiedono la fine dello stato sociale e incassano finanziamenti; chiedono sostegni alle imprese e evadono il fisco; chiedono fedeltà alla famiglia e lasciano moglie e figli per un'altra, però poi dicono che i Dico sono una famiglia di serie B; dicono di non essere razzisti ma subito aggiungono un però, un chiletto di se, guarnito di tanti ma; rivendicano valori, principi e interessi comuni, ma parlano con la bocca piena di privilegi.

La domanda è: ma perché gli italiani non dovrebbero essere tristi? Ci siamo assuefatti, assuefatti persi. Siamo passivi, rassegnati, atarassici, e catatonici da tubo catodico.

Tuttavia, l'ingresso in Europa ci ha fatto fare un piccolo inerziale passo in avanti: se prima, un paio di secoli fa, qualcuno ha scritto che gli italiani erano francesi tristi, oggi, grazie a Luisa Corrado dell'Università di Cambridge sappiamo che gli italiani sono europei tristi. Coraggio, il meglio è passato. Senza lasciare tracce.

Beh, buona giornata.